Ordinanza n. 420/97

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ORDINANZA N.420

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 303, 304, comma 2, e 477, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 1997 dal Tribunale di Napoli - Sezione per il riesame, sull'appello proposto da D'Alessandro Michele, iscritta al n. 204 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Napoli, giudicando in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. avverso l'ordinanza con la quale la Corte di assise di Napoli aveva sospeso i termini di durata massima della custodia cautelare e disposto per un tempo superiore a dieci giorni il rinvio del dibattimento "per esigenze 'organizzative' del ruolo dell'ufficio, gravato dalla contestuale celebrazione di più 'maxi-processi'", ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 303, 304, comma 2, e 477, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 13, secondo e quinto comma, e 111, primo comma, della Costituzione;

che le censure del giudice rimettente si rivolgono agli articoli denunciati nella parte in cui, in caso di rinvio di un dibattimento particolarmente complesso per taluno dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., consentirebbero di ricomprendere nella sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare disposta a norma dell'art. 304, comma 2, cod. proc. pen. anche il periodo che, per ciascun rinvio, eccede il termine massimo di dieci giorni prescritto dall'art. 477, comma 2, cod. proc. pen.;

che, in particolare, il rimettente lamenta, con riferimento all'art. 3 Cost., la disparità di trattamento tra imputati tratti a giudizio avanti al medesimo ufficio giudiziario per i quali é possibile, nei processi di particolare complessità, disporre la sospensione dei termini di custodia cautelare, e imputati nei cui confronti tale sospensione non é praticabile, nonchè, in caso di diversi procedimenti per i quali é stata disposta la sospensione dei termini prevista dall'art. 304, comma 2, cod. proc. pen., l'irragionevolezza di fare dipendere la durata della custodia cautelare dalla "scelta che necessariamente il giudice deve operare per attribuire precedenza alla trattazione dell'uno o dell'altro procedimento, in ipotesi egualmente complessi e urgenti";

che, in riferimento all'art. 13, secondo e quinto comma, Cost., secondo il rimettente la disciplina impugnata violerebbe il principio di legalità in tema di determinazione dei limiti massimi della custodia cautelare, in quanto l'inserimento ad opera del diritto vivente di fattori extraprocessuali (quali il carico di lavoro giudiziario, la carenza di organico, la mancanza di aule, la contestuale celebrazione di altri maxi-processi) tra i casi di particolare complessità del dibattimento determinerebbe "un'alea, inconciliabile con il rigore dei limiti predeterminati" imposti dalla Costituzione al sacrificio della libertà personale;

che risulterebbe inoltre violato il principio della riserva di legge stabilito dal secondo comma dell'art. 13 Cost. in quanto, alla stregua del diritto vivente, l'estensione in malam partem della nozione di dibattimento particolarmente complesso a situazioni di natura organizzativa e logistica comporterebbe che nella sospensione dei termini ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen. venga compreso anche il periodo eccedente i dieci giorni previsto dall'art. 477, comma 2, cod. proc. pen.;

che, infine, con riguardo all'art. 111, primo comma, Cost., sarebbe impossibile per il giudice di appello verificare, in caso di rinvio superiore al termine di dieci giorni prescritto dall'art. 477, comma 2, cod. proc. pen., se nella motivazione del provvedimento impugnato vi sia stato "un corretto bilanciamento tra il diritto dell'imputato detenuto alla spedita trattazione del processo" e le esigenze "della corretta e funzionale esplicazione dell'attività amministrativa logistica, di programmazione ed organizzativa dell'ufficio giudiziario", in quanto riferite a situazioni extraprocessuali estranee al paradigma della particolare complessità del procedimento e per le quali non può esistere alcuna documentazione negli atti processuali;

che, in punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che, non essendo ammessa impugnazione contro il provvedimento di rinvio del dibattimento, l'unico rimedio concesso dalla legge all'imputato per evitare l'illegittima dilatazione dei termini di durata massima della custodia cautelare sarebbe l'appello ex art. 304, comma 3, cod. proc. pen.;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata e, comunque, contestando che, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, si sia formato un diritto vivente in tema di ricomprensione di mere esigenze extraprocessuali di carattere logistico e organizzativo tra i presupposti della particolare complessità del dibattimento.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale é impostata dal rimettente con riferimento al "combinato disposto" degli artt. 303, 304, comma 2, e 477, comma 2, cod. proc. pen., cioé sovrapponendo due istituti - la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare nel caso di dibattimenti particolarmente complessi e la sospensione del dibattimento per ragioni di assoluta necessità - concettualmente del tutto autonomi, volti a fronteggiare esigenze che operano su terreni completamente diversi e sorretti da diverse finalità;

che, in particolare, l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare é normalmente autonoma e separata dal provvedimento con cui viene disposto il rinvio del dibattimento e può essere adottata, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità, anche anteriormente alla formale apertura del dibattimento, a nulla rilevando che nel caso di specie i due provvedimenti siano stati occasionalmente disposti con un'unica ordinanza;

che l'autonomia dei due provvedimenti trova conferma in recenti sentenze di legittimità, ove si é precisato che in sede di appello dell'ordinanza di sospensione dei termini i poteri di controllo del tribunale sono limitati alla verifica dei presupposti menzionati dall'art. 304, commi 2 e 3, cod. proc. pen. (che vi sia la relativa richiesta del pubblico ministero, che si tratti dei reati indicati nell'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. e che si versi in ipotesi di dibattimento particolarmente complesso), ma non possono estendersi al sindacato sulla legittimità del provvedimento di rinvio del dibattimento disposto a norma dell'art. 477, comma 2, cod. proc. pen.;

che in sede di appello é pertanto preclusa la sindacabilità dell'ordinanza di cui all'art. 304, comma 2, cod. proc. pen. sotto il profilo dei suoi effetti sul decorso dei termini massimi di custodia cautelare, con specifico riferimento, per quanto qui interessa, al computo della durata dei termini stessi nel caso in cui il rinvio del dibattimento sia stato disposto per un periodo superiore al termine di dieci giorni prescritto dall'art. 477, comma 2, cod. proc. pen.;

che profili di legittimità costituzionale attinenti al calcolo dei termini di sospensione della custodia cautelare, quali quelli prospettati in relazione al computo dei tempi morti tra le varie udienze nell'ipotesi in cui il dibattimento sia stato rinviato per un periodo superiore a dieci giorni, potrebbero essere, se del caso, sollevati in sede di decisione sulla richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini, ovvero di impugnazione avverso l'ordinanza che abbia respinto tale richiesta;

che le considerazioni sinora svolte rendono evidente che l'art. 477, comma 2, cod. proc. pen., erroneamente richiamato nel combinato disposto degli artt. 303 e 304, comma 2, cod. proc. pen., non é applicabile nel giudizio a quo;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 303, 304, comma 2, e 477, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 13, secondo e quinto comma, 111, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Napoli, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 18 dicembre 1997.