Sentenza n. 364/97

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SENTENZA N. 364

 

ANNO 1997

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Renato GRANATA, Presidente

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

-        Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-        Prof. Valerio ONIDA

-        Prof. Carlo MEZZANOTTE

-        Avv. Fernanda CONTRI

-        Prof. Guido NEPPI MODONA

-        Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.70, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 19 dicembre 1996 dal Tribunale di sorveglianza di Bari sull'istanza proposta da Ignazio Passantino, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

 

1. -- Giudicando su un'istanza di rinvio dell'esecuzione della pena, il Tribunale di sorveglianza di Bari, con ordinanza emessa il 19 dicembre 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 70 (esattamente: comma 6) della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) -- nel testo sostituito con l'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) --, nella parte in cui non prevede che il magistrato di sorveglianza, il quale abbia provveduto sulla domanda di rinvio immediato dell'esecuzione della pena detentiva ai sensi dell'art. 684, comma 2, cod. proc. pen., non possa far parte del collegio del tribunale di sorveglianza chiamato ad adottare le determinazioni definitive sul caso, ai sensi dell'art. 147, primo comma, numero 2, cod. pen.

La disposizione denunciata, nel disciplinare le funzioni ed i provvedimenti del tribunale di sorveglianza, costituito presso ciascun distretto di corte d'appello, prevede che uno dei magistrati ordinari che compongono il collegio sia il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione e' posto il condannato, in ordine alla cui posizione si deve provvedere.

Il Tribunale di sorveglianza di Bari era stato chiamato a pronunciarsi sul rinvio dell'esecuzione della pena detentiva per grave infermità fisica del condannato (art. 147, primo comma, numero 2, cod. pen.), sull'istanza del quale il Magistrato di sorveglianza, poi chiamato a presiedere il Tribunale che decideva nel merito, aveva ritenuto che non sussistessero i presupposti per il differimento immediato dell'esecuzione in attesa della decisione del Tribunale (art. 684, comma 2, cod. proc. pen.).

Il giudice rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale che, con riguardo a varie situazioni processuali, ha affermato il principio secondo il quale il giudice penale, nel decidere conclusivamente sul merito dell'imputazione, non deve essere condizionato dalla cosiddetta forza della prevenzione, cioé dalla naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso in altri momenti dello stesso procedimento (sentenza n. 432 del 1995). Questa situazione si verificherebbe anche per il magistrato di sorveglianza che ha provveduto in via immediata su una domanda di rinvio dell'esecuzione e debba poi comporre il tribunale di sorveglianza per le definitive determinazioni. Ad avviso del giudice rimettente, le due decisioni, provvisoria e definitiva, sarebbero del tutto sovrapponibili, sicchè il magistrato di sorveglianza potrebbe sentirsi indotto a difendere il proprio provvedimento mediante un giudizio conforme del tribunale.

La partecipazione del magistrato di sorveglianza, sotto la cui giurisdizione e' posto il condannato, al collegio del tribunale di sorveglianza si giustificherebbe quando il giudizio riguardi non fatti, bensì persone, delle quali debba essere valutata in particolare la pericolosità sociale o il percorso di reinserimento sociale. In tal caso la partecipazione al collegio del magistrato di sorveglianza assicurerebbe l'introduzione nel giudizio del maggior numero di elementi di conoscenza della personalità del condannato e del grado di maturazione dallo stesso conseguita con il trattamento rieducativo.

Diverso sarebbe, invece, il caso del rinvio dell'esecuzione della pena, nel quale il giudice non e' chiamato a valutare la personalità del condannato, la sua pericolosità o la motivazione a reinserirsi nel tessuto sociale, ma deve invece verificare se l'esecuzione della pena detentiva debba considerarsi contraria al senso di umanità (art. 27 Cost.), a causa di una grave infermità fisica del condannato, ovvero se la salute di questi sia pregiudicata per la inadeguatezza del trattamento sanitario che può essere praticato nel corso dell'espiazione della pena. In questo caso si tratterebbe di un giudizio non sulla persona del condannato, ma sul suo diritto alla salute in conflitto con altri interessi giuridicamente tutelati, sicche' il condizionamento del giudicante che ha già manifestato il proprio convincimento sulla medesima situazione determinerebbe il denunciato contrasto con la Costituzione.

2. -- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Ad avviso dell'Avvocatura, la giurisprudenza costituzionale sull'incompatibilità del giudice risponderebbe all'esigenza di garantire il "giusto processo", con riferimento alla decisione sul merito della pretesa punitiva nell'ambito del giudizio di cognizione (sentenze n. 432 del 1995 e n. 131 del 1996). Una esigenza di eguale pregnanza non potrebbe essere configurata in rapporto alla decisione sull'istanza di differimento della pena (art. 147 cod. pen.), che si inserisce come un incidente nella fase esecutiva ed attiene soltanto alle concrete modalità di attuazione di una pretesa punitiva ormai definitivamente accertata.

In riferimento alla denunciata violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, mancherebbe inoltre, nell'ordinanza di rinvio, un idoneo elemento di comparazione che consenta la valutazione della disparità di trattamento, giacche' la situazione presa in considerazione non sarebbe omologa a quella prevista dall'art. 34 cod. proc. pen., cui si riferiscono le pronunce di illegittimità costituzionale.

L'Avvocatura sottolinea che, nei casi in cui il tribunale di sorveglianza decide in sede di appello sui ricorsi avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza, quest'ultimo non fa parte del collegio (art. 70, comma 2, della legge n. 354 del 1975). Ma nel caso del rinvio dell'esecuzione della pena non si tratterebbe dell'impugnazione di un provvedimento del magistrato di sorveglianza, giacche' la decisione che questi e' chiamato ad emettere sull'istanza di differimento immediato ha carattere meramente delibativo e finalità puramente cautelare, mirando ad evitare, in via interinale, un danno imminente al condannato.

Si sarebbe in presenza di una "cautela" piuttosto in senso processual-civilistico o amministrativistico che non in senso penalistico, trattandosi di misura diretta ad evitare che il tempo necessario per aver ragione torni a danno di chi ha ragione. Ed in questo quadro l'identità della persona fisica del giudicante nelle due fasi, della cautela e del merito, non pregiudicherebbe il principio del giusto processo.

Considerato in diritto

 

1. -- La questione di legittimità costituzionale attiene alla composizione del tribunale di sorveglianza nel giudizio per il rinvio dell'esecuzione della pena restrittiva della libertà personale, che può essere differita, tra l'altro, quando il condannato si trova in condizioni di grave infermità fisica.

L'art. 70, comma 6, delle norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà personale (legge 26 luglio 1975, n. 354), nel testo sostituito con l'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, prevede che uno dei magistrati ordinari che compongono il collegio debba essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione e' posto il condannato o l'internato, in ordine alla cui posizione si deve provvedere.

Il Tribunale di sorveglianza di Bari ritiene che questa disposizione possa essere in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e con la garanzia del diritto di difesa (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost.), quando il tribunale di sorveglianza sia chiamato a giudicare sul rinvio dell'esecuzione, in ordine al quale il magistrato di sorveglianza abbia adottato un provvedimento provvisorio, positivo o negativo. Tale provvedimento può essere adottato, con effetti sino alla decisione del tribunale, quando la detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato o vi e' fondato motivo per ritenere che sussistano i presupposti perche' il tribunale disponga il rinvio dell'esecuzione (art. 684, comma 2, cod. proc. pen.).

In questo caso, ad avviso del giudice rimettente, l'imparzialità del giudice sarebbe pregiudicata, avendo un componente del collegio giudicante già adottato, nello stesso procedimento, una decisione che implica una valutazione di merito sovrapponibile a quella definitiva del tribunale.

2. -- La questione non e' fondata.

L'ordinamento penitenziario, nel delineare l'articolazione e le competenze dei giudici di sorveglianza, attribuisce alcuni provvedimenti alla cognizione del magistrato di sorveglianza, giudice monocratico che, oltre ad esercitare la vigilanza sull'esecuzione della pena e sull'attuazione della rieducazione, decide sui reclami dei detenuti e provvede in materia di pericolosità sociale del condannato o di misure di sicurezza (art. 69 della legge n. 354 del 1975). Altri provvedimenti, che riguardano la durata, l'estinzione o il rinvio dell'esecuzione della pena, sono attribuiti alla competenza del tribunale di sorveglianza, alla cui composizione il magistrato di sorveglianza ordinariamente concorre.

Nel sistema delineato dal legislatore, contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza nelle materie che incidono sulle misure di sicurezza personali (art. 69, comma 4, della legge n. 354 del 1975) e' ammesso appello al tribunale di sorveglianza. In tal caso, il giudice che ha adottato la decisione sottoposta a gravame non fa parte del collegio (art. 70, comma 2, della stessa legge).

Diversa e' la situazione per il rinvio della esecuzione della pena, direttamente attribuita alla cognizione del tribunale di sorveglianza, alla cui composizione concorre, secondo la regola generale, il magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sul condannato (art. 70, comma 6, della legge n. 354 del 1975).

In tal caso non si ha un provvedimento del giudice monocratico che ha definito il merito del giudizio ed e' sottoposto a gravame o riesame collegiale, ma, invece, una competenza propria del giudice collegiale. Ciò non esclude, tuttavia, che vi possa essere un provvedimento provvisorio ed urgente che, in attesa della definizione del giudizio, mantenga le condizioni perche' il giudizio possa avere effetto, assicurando in concreto la protezione del bene tutelato suscettibile di rimanere irreparabilmente compromesso nell'attesa della decisione. Difatti le situazioni che legittimano il differimento della esecuzione della pena detentiva, in linea con il senso di umanità che deve essere rispettato dalla pena (art. 27 Cost.), possono essere tali da rendere immediatamente incompatibile lo stato e le condizioni della detenzione con beni essenziali della persona, quali la maternità o la salute, la cui protezione si intende assicurare.

Il legislatore ha corrisposto all'esigenza cautelare prevedendo che, in attesa del giudizio di merito sul rinvio dell'esecuzione, possa essere adottato un provvedimento che ha effetto sino alla decisione del tribunale, essenzialmente basato sul grave pregiudizio che arrecherebbe al condannato la immediata esecuzione della pena o la protrazione dello stato di detenzione (art. 684, comma 2, cod. proc. pen.).

Si tratta di una valutazione che implica la ricognizione dell'esistenza dei presupposti previsti dal legislatore per il rinvio, ma che rimane incentrata sulla necessità di immediatezza di un provvedimento idoneo ad evitare che risultino irreparabilmente pregiudicate, nell'attesa del giudizio, la efficacia in concreto della decisione di merito che potrà essere adottata e la finalità stessa del rinvio dell'esecuzione.

La natura del provvedimento ed i limiti della delibazione che esso comporta, ristretti alla esistenza estrinseca dei presupposti per la richiesta di rinvio ed alla valutazione della immediata gravità del danno, consentono di ritenere che esso non implichi quella anticipazione del giudizio di merito che, incidendo sulla imparzialità del giudice, e' idonea a determinarne l'incompatibilità a garanzia del giusto processo.

Così ricostruito il contesto nel quale si colloca la disposizione denunciata e delineati i limiti del contenuto normativo di essa, non sussiste la prospettata illegittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) -- nel testo sostituito con l'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) --, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/97.

Renato GRANATA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Relatore

Depositata in cancelleria il 28/11/97.