Sentenza n. 292

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SENTENZA N. 292

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-quater del decreto legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1996 dalla Corte di cassazione, sul ricorso proposto dall’INAIL contro Carlo Gavazzi - Impianti S.p.a., iscritta al n. 933 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di costituzione dell’INAIL, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 giugno 1997 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Saverio Muccio per l’INAIL e l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza emessa il 15 marzo 1996, pervenuta a questa Corte il 29 luglio 1996, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, su istanza del pubblico ministero, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-quater del decreto legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

2. La vicenda normativa che ha dato luogo alla proposizione della questione trae origine dalla interpretazione ed applicazione del disposto di cui all’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), che ha introdotto un nuovo testo dell’art. 29 del t.u. delle disposizioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto 30 giugno 1965, n. 1124, il cui secondo comma stabilisce, al numero 1, che sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni sul lavoro le somme corrisposte al lavoratore a titolo "di diaria o d’indennità di trasferta in cifra fissa, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare". La ratio di tale disposto viene indicata dalla giurisprudenza nella presunzione legale che le somme in questione abbiano in parte natura di risarcimento del lavoratore per le maggiori spese incontrate a seguito della trasferta, e in parte carattere retributivo, come compenso del maggior disagio derivante dalla prestazione di lavoro resa al di fuori della sede ordinaria.

Si é posto nella pratica, ed é stato affrontato dalla giurisprudenza, il problema delle indennità corrisposte ai lavoratori tenuti per contratto ad una attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quello della sede aziendale (c. d. "trasfertisti"), discutendosi se anche tali indennità fossero soggette a contribuzione solo per il 50 per cento o invece per l’intero. Presso i giudici di legittimità si era infine consolidata questa seconda tesi interpretativa, escludendosi che in tale ipotesi ricorressero i presupposti della trasferta (prestazione del lavoro, in via temporanea, fuori dalla sede di normale svolgimento), e attribuendosi alle indennità in questione natura esclusivamente retributiva e non restitutoria.

Senonchè l’art. 9-ter del decreto legge 29 marzo 1991, n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1° giugno 1991, n. 166, stabilì che "l’articolo 12, secondo capoverso, numero 1, della legge 30 aprile 1969, n. 153, va inteso nel senso che nella diaria o nell’indennità di trasferta sono ricomprese anche le indennità spettanti ai lavoratori tenuti per contratto ad una attività lavorativa in luoghi variabili e sempre diversi da quello della sede aziendale, anche se corrisposte con carattere di continuità".

La Corte di cassazione ha ritenuto che a tale ultima disposizione si dovesse attribuire natura non già interpretativa, bensì innovativa: onde ne ha negato l’efficacia retroattiva, continuando a ritenere l’indennità in questione soggetta per intero a contributo, per quanto riguarda i rapporti contributivi sorti prima del 1° giugno 1991, data di pubblicazione della legge di conversione.

A questo punto é intervenuto però l’art. 4-quater del decreto legge 15 gennaio 1993, n. 6, il quale ha disposto che "per i periodi anteriori al 1° giugno 1991 sono fatti salvi e conservano la loro efficacia gli importi contributivi già corrisposti sulla diaria o sulla indennità di trasferta e versati dai datori di lavoro che abbiano avuto in forza lavoratori tenuti per contratto anche con carattere di continuità a prestare la propria opera in luoghi diversi dalla sede aziendale ai sensi dell’art. 12, primo comma, secondo capoverso, numero 1, della legge 30 aprile 1969, n. 153, così come interpretato dall’art. 9-ter del decreto legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166".

Il giudice di legittimità, chiamato nuovamente a pronunciarsi su rapporti controversi relativi a periodi contributivi passati, ha ritenuto in alcune pronunce che l’art. 9-ter, originariamente non retroattivo, abbia acquistato valore retroattivo per effetto dell’art. 4-quater del decreto legge n. 6 del 1993, che l’ha qualificato come norma interpretativa, ma contemporaneamente ha introdotto una deroga alla sua efficacia retroattiva, prevedendo la conservazione degli effetti dei versamenti contributivi avvenuti anteriormente al 1° giugno 1991. Altre pronunce hanno ritenuto che la disposizione da ultimo citata del decreto legge n. 6 del 1993 abbia attribuito all’art. 9-ter del decreto legge n. 103 del 1991 efficacia retroattiva limitatamente all’avvenuto adempimento degli obblighi contributivi per i periodi anteriori al 1° giugno 1991, per i quali si applica ai c.d. "trasfertisti" la contribuzione sul 50 per cento della diaria e della indennità di trasferta.

3. Sulla base di tale ultimo indirizzo la Corte di cassazione ha sollevato la presente questione di legittimità costituzionale. Premesso che essa appare rilevante, in quanto la interpretazione dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969, alla luce delle disposizioni sopravvenute, é decisiva nel giudizio a quo, il remittente sostiene che sarebbe palese la irragionevolezza del diverso trattamento riservato dal legislatore ai datori di lavoro che, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 9-ter del decreto legge n. 103 del 1991, hanno adempiuto alla obbligazione contributiva assoggettando a contributo l’intero ammontare dei compensi corrisposti, e a quelli che invece hanno versato i contributi solo sul 50 per cento di tale ammontare. Il legislatore del 1993 avrebbe concesso una "sanatoria totale senza alcuna contropartita", premiando un adempimento delle obbligazioni contributive effettuato in maniera ridotta, in violazione - si sostiene - degli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 421 del 1995, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 9-bis, comma 1, primo periodo, dello stesso decreto legge n. 103 del 1991, in relazione cioé ad una "sanatoria" che il remittente considera "analoga" a quella disposta con la norma ora impugnata.

4. Si é costituito l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), ricorrente nel giudizio a quo, affermando anch’esso che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4-quater del decreto legge n. 6 del 1993 la disposizione dell’art. 9-ter del decreto legge n. 103 del 1991 ha assunto efficacia retroattiva per quanto concerne l’avvenuto adempimento degli obblighi contributivi relativi a periodi antecedenti al 1° giugno 1991, con applicazione della contribuzione sul 50 per cento della indennità di trasferta; e sostenendo che, "così interpretato", l’art. 4-quater concretizzerebbe una irragionevole disuguaglianza fra datori di lavoro che si trovano in identica posizione. La parte chiede quindi che la disposizione impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.

5. E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

L’Avvocatura sostiene che la fattispecie decisa con la sentenza n. 421 del 1995 di questa Corte era diversa da quella in esame. In quest’ultima non sarebbe presente quella particolare situazione di conflitto fra due interessi, uno individuale e uno pubblico, con la necessità di tutelare quest’ultimo, che condusse la Corte, nella sentenza n. 421 del 1995, a ritenere in contrasto con i principi di razionalità-equità e di solidarietà la mancata previsione, per il passato, del "contributo di solidarietà" come "contropartita" della esclusione di determinate somme dalla base contributiva. Qui, al contrario, sarebbe in discussione soltanto il trattamento diverso fra datori di lavoro che hanno eseguito versamenti in misura diversa, realizzato in base ad una norma dichiaratamente interpretativa, resa necessaria dalla formulazione poco chiara della disposizione interpretata.

Secondo l’Avvocatura, l’interpretazione di una norma in materia di prestazioni previdenziali rientra nella discrezionalità del legislatore, e non si comprende quale "contropartita" dovesse essere introdotta, non risultando in discussione nemmeno l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale imposti dall’art. 38, secondo comma, della Costituzione.

6. In prossimità dell’udienza ha depositato memoria l’INAIL, affermando la necessità che venga rimosso il "privilegio" che la norma denunciata riconoscerebbe ai datori di lavoro che hanno versato i contributi nella misura ridotta. In proposito, la parte ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "dalla disciplina costituzionale in vigore non é dato desumere, per i diritti di natura economica, una particolare protezione contro l’eventualità di norme retroattive, salvo soltanto il limite del principio di ragionevolezza".

Considerato in diritto

1. La Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 4-quater del decreto legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale), convertito con modificazioni dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, in tema di contributi previdenziali sulla diaria o sulla indennità di trasferta corrisposta ai lavoratori tenuti per contratto, anche con carattere di continuità, a prestare la propria opera in luoghi diversi dalla sede aziendale (c.d. "trasfertisti").

Detta disposizione stabilisce che per i periodi anteriori al 1° giugno 1991 (cioé alla pubblicazione della legge di conversione del decreto legge 29 marzo 1991, n. 103, legge che ha introdotto nel decreto l’art. 9-ter) sono fatti salvi e conservano la loro efficacia i versamenti contributivi effettuati assumendo come imponibile il 50 per cento degli importi in questione, in conformità all’art. 12, primo comma, secondo capoverso, numero 1, della legge 30 aprile 1969, n. 153, "così come interpretato dall’articolo 9-ter" del decreto legge n. 103 del 1991.

Secondo il giudice a quo, tale disposizione, riconoscendo efficacia retroattiva, limitatamente all’avvenuto adempimento degli obblighi contributivi su un imponibile commisurato al 50 per cento degli importi corrisposti ai lavoratori, all’art. 9-ter citato, al quale la giurisprudenza aveva attribuito natura innovativa e dunque non retroattiva, introdurrebbe una disuguaglianza irragionevole fra datori di lavoro che hanno versato i contributi sull’intero importo delle somme corrisposte, e datori di lavoro che invece hanno effettuato il versamento sul 50 per cento di dette somme; e, concedendo "una sanatoria totale senza alcuna contropartita", premierebbe un adempimento in misura ridotta della obbligazione contributiva, in violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.

2. La questione non é fondata.

L’art. 9-ter del decreto legge n. 103 del 1991 ha stabilito l’equiparazione delle indennità corrisposte ai così detti "trasfertisti" alle indennità di trasferta vere e proprie, assoggettandole alla contribuzione previdenziale nella misura del 50 per cento, sul presupposto, evidentemente, che anche le prime indennità rivestano parzialmente carattere di risarcimento dei lavoratori per le maggiori spese che essi incontrano dovendo prestare la propria opera fuori dalla sede aziendale.

Si può prescindere qui dall’esattezza o meno della tesi, affermatasi in giurisprudenza, secondo cui tale disposizione avrebbe avuto carattere innovativo e non interpretativo, e dunque sarebbe stata priva di efficacia retroattiva. Sta di fatto che il nuovo intervento legislativo effettuato con l’art. 4-quater del decreto legge n. 6 del 1993 ha avuto chiaramente lo scopo di ricondurre anche i versamenti effettuati per i periodi contributivi anteriori al 1° giugno 1991, che la giurisprudenza continuava a ritenere soggetti all’obbligo nella misura intera, al regime contributivo ridotto stabilito dal legislatore con il medesimo decreto legge del 1991: così realizzando una parificazione, a questo fine, fra le situazioni relative ai periodi contributivi anteriori e quelle relative ai periodi successivi, pacificamente regolate dalla nuova disposizione.

Del resto, il riferimento legislativo ai versamenti effettuati ai sensi dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969 "così come interpretato dall’art. 9-ter del decreto legge n. 103 del 1991" mostra con evidenza l’intenzione del legislatore di ricondurre anche i versamenti anteriori effettuati nella misura ridotta alla disciplina prescelta dallo stesso legislatore fin dal 1991.

In tal modo, non si é realizzata nemmeno propriamente una "sanatoria" - come ritiene il remittente -, cioé una rinuncia a perseguire comportamenti illeciti che tali continuano ad essere qualificati (ciò che, peraltro, non é di per sè sempre precluso al legislatore), ma si é semplicemente estesa nel tempo l’efficacia del regime legittimamente disposto dal legislatore per la materia in questione, superando il contenzioso rimasto aperto, con riguardo al passato, dopo l’intervento legislativo del 1991, a seguito dell’affermazione giurisprudenziale del carattere innovativo e non retroattivo della disciplina così introdotta.

Se dunque di disparità si dovesse parlare, essa non andrebbe ravvisata nel trattamento, che si assume di favore, fatto ai datori di lavoro che avevano versato i contributi sull’imponibile ridotto, in conformità alla determinazione del legislatore del 1991, ma semmai, in ipotesi, nell’esclusione, implicitamente operata dalla disposizione impugnata, della ripetibilità degli eventuali versamenti nella misura intera, volontariamente effettuati con riferimento ai periodi contributivi anteriori al 1° giugno 1991. Ma siffatta censura non é sollevata dal remittente, che esplicitamente si pone dal punto di vista opposto, ritenendo illegittima la "sanatoria" disposta riguardo ai versamenti effettuati in misura ridotta; e non sarebbe comunque rilevante nel giudizio a quo, nel quale si controverte di un rapporto contributivo, relativo a periodi anteriori al 1° giugno 1991, nel quale il datore di lavoro aveva effettuato i versamenti nella misura ridotta, contestata dall’istituto previdenziale.

3. Nemmeno é fondata la censura di violazione dell’art. 38 della Costituzione, che il remittente àncora alla tesi secondo cui nella specie il legislatore avrebbe disposto una "sanatoria totale senza alcuna contropartita".

Il richiamo del giudice a quo al precedente di questa Corte, che sarebbe costituito dalla sentenza n. 421 del 1995, non é appropriato. In quell’occasione infatti la Corte, investita di una censura relativa alla mancata estensione della totale esenzione contributiva concessa, solo per il passato, sulle somme destinate al finanziamento di forme di previdenza complementare, a coloro che avessero già effettuato i versamenti alla data di entrata in vigore della relativa disciplina, aveva sollevato di fronte a se stessa la questione di costituzionalità della norma nella parte in cui esonerava tali somme dal pagamento dei contributi; e l’aveva quindi ritenuta illegittima non in quanto disponesse una deroga retroattiva in funzione di sanatoria (ciò che la Corte considerò di per sè non censurabile), ma in quanto tale sanatoria totale veniva disposta senza alcuna contropartita analoga al "contributo di solidarietà" che lo stesso legislatore aveva imposto per il futuro: così ponendosi in contrasto "col principio di razionalità-equità (art. 3 Cost.) coordinato col principio di solidarietà, col quale deve integrarsi l’interpretazione dell’art. 38, secondo comma, Cost.", in forza del quale - ritenne la Corte - la tutela dell’interesse individuale dei lavoratori ad usufruire di forme di previdenza complementare non deve andare disgiunto, in misura proporzionata, da un "dovere specifico di cura dell’interesse pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti ai soggetti economicamente più deboli".

Nel caso ora in esame, invece, non é in gioco l’equilibrio fra tutela dell’interesse individuale e dovere di cura dell’interesse pubblico di natura previdenziale, poichè la disciplina prescelta dal legislatore - sia pure, in un primo momento, solo per il futuro, secondo l’interpretazione giurisprudenziale - era ed é nel senso del solo parziale assoggettamento delle somme in questione all’obbligo contributivo, in vista della funzione solo parzialmente retributiva che, secondo l’apprezzamento del legislatore, esse vengono ad assumere nell’ambito del rapporto di lavoro. Pertanto nessuna "contropartita" si può configurare rispetto alla parziale esenzione dall’obbligo contributivo disposta dalla legge. E se nessuna "contropartita" si configura per il futuro, non si vede perchè essa dovrebbe essere costituzionalmente imposta per il passato, a cui il legislatore, nella sua discrezionalità, ha inteso estendere il regime di parziale sottrazione all’obbligo contributivo. Il legislatore insomma, come era libero di definire per il futuro tale regime, così poteva estenderlo a periodi contributivi pregressi: mentre il limite frapposto a tale retroattività in relazione ai versamenti volontariamente effettuati nel passato in misura superiore non é oggetto, come si é detto, di questioni rilevanti in questa sede.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-quater del decreto legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.