SENTENZA N.283
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 ottobre 1994 dal Pretore di Asti, nel procedimento penale a carico di Bergadani Giuseppina, iscritta al n. 1338 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale dell'anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento penale a carico di persona imputata di maltrattamenti in famiglia in danno della figlia maggiorenne affetta da oligofrenia, il Pretore di Asti, con ordinanza dell'11 ottobre 1994, pervenuta a questa Corte il 7 dicembre 1996, ha sollevato, su istanza del pubblico ministero, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 498, comma 4, codice di procedura penale, "nella parte in cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermità psichica lo stesso trattamento processuale previsto per il minore".
Il giudice remittente premette che la particolare natura del reato per il quale si procede e il rapporto che lega la persona offesa all'imputata postulano l'esigenza di procedere all'esame testimoniale della prima con peculiari cautele; che la medesima é astrattamente capace di deporre, ai sensi dell'art. 196 del codice di procedura penale, e il comma 2 di tale articolo consente, ai fini di verificare se la teste sia in grado di fornire una testimonianza attendibile, di disporre una perizia psichiatrica. Ma osserva che il sistema normativo non prevede, una volta accertata in concreto l'idoneità del teste a rendere la deposizione, modalità particolari per l'assunzione della prova, poichè la valutazione dell'attendibilità del teste, prevista dall'art. 196, comma 2, presuppone che l'escussione sia già avvenuta.
Il giudice a quo rileva quindi che, relativamente alle modalità di assunzione della prova testimoniale, l'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale, in attuazione di un'apposita norma della legge di delega, prevede, per il teste minore di età, che l'esame sia condotto dal presidente, e soprattutto che questi, per condurre l'esame, possa avvalersi dell'assistenza di un familiare del teste o di un esperto in psicologia infantile: ciò al fine di garantire un efficace controllo sull'attendibilità del teste, di scongiurare i rischi di un suo condizionamento ad opera di una delle parti, e, in ultima analisi, di tutelare la persona del minore di fronte alla intrinseca tensione scaturente da ogni dibattimento penale.
Escluso di potere estendere in via interpretativa tali modalità alla testimonianza del maggiorenne incapace di intendere e di volere, data la tassativa dizione della norma, sia perchè l'art. 189 del codice di procedura penale, che consente di dare ingresso a prove atipiche, non si riferisce a modalità atipiche di assunzione di un mezzo di prova codificato come la testimonianza, sia perchè l'estensione interpretativa ipotizzata potrebbe turbare la parità fra le parti (tanto che l'art. 567 codice procedura penale consente bensì al pretore di condurre direttamente l'esame dei testimoni, ma solo sull'accordo delle parti), il remittente ritiene condivisibile la censura di incostituzionalità prospettata dal pubblico ministero in ordine all'art. 498, comma 3 (recte: comma 4), del codice di procedura penale nella parte in cui non equipara la posizione dell'incapace per infermità mentale a quella del minore, prevedendo così un trattamento dissimile per situazioni che sarebbero sostanzialmente analoghe.
Infatti, secondo il giudice a quo, la ratio della disposizione in esame, da ravvisarsi nella considerazione della fragilità del minore, il quale perciò abbisogna di particolari cautele quando sia chiamato a rendere testimonianza nel processo penale, dovrebbe valere anche per il teste maggiorenne incapace per infermità mentale, che presenta a sua volta una situazione psicologica di debolezza la quale ne consiglierebbe l'esame da parte del presidente con l'eventuale ausilio di un familiare o di un esperto di psicologia: e del resto, si osserva, in numerosi casi l'ordinamento penale e processuale penale prevede una simile equiparazione, come in tema di esercizio del diritto di querela e di remissione della querela (artt. 121 e 153 del codice penale) e in tema di costituzione di parte civile (art. 77 del codice di procedura penale).
Considerato in diritto
1.- La questione sollevata investe l'art. 498, comma 4, del codice di procedura penale - il quale prescrive che l'esame testimoniale del minorenne sia condotto, anzichè direttamente dalle parti, dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti, potendo avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile, salva la possibilità per lo stesso presidente, sentite le parti, di disporre che la deposizione prosegua nelle forme ordinarie, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste - nella parte in cui non riserva al teste maggiorenne incapace per infermità psichica lo stesso trattamento processuale previsto per il minore.
Il parametro di legittimità costituzionale espressamente indicato dal remittente é l'art. 3 della Costituzione, in relazione alla differenza, ritenuta ingiustificata, fra il trattamento riservato al minore e quello previsto per l'infermo di mente; ma nella motivazione dell'ordinanza si fa riferimento all'esigenza di tutela della personalità del teste affetto da infermità psichica, il che rinvia altresì all'imperativo costituzionale di rispetto e tutela della persona, riconducibile al parametro dell'art. 2 della Costituzione. E' secondo questa più ampia prospettazione che la Corte ritiene di dover esaminare la censura proposta.
2.- La questione, così delineata, é fondata nei limiti di seguito precisati.
Non può condividersi la meccanica equiparazione che il remittente vorrebbe effettuare fra la situazione del teste minorenne e quella del teste maggiorenne infermo di mente. Si tratta infatti di situazioni non omogenee, anche se in concreto esse possano manifestare, come si dirà, analoghe esigenze di tutela della personalità.
Per i minorenni, infatti, il legislatore ha ragionevolmente presunto - in relazione ad una condizione obiettiva come l'età - una situazione di difficoltà, in ragione della insufficiente maturità psicologica, a rispondere ad un interrogatorio condotto dalle parti in vista dei rispettivi interessi, e dunque eventualmente anche con intenti e modalità che risultino aggressivi; e perciò ha prescritto che in via normale l'esame venga condotto attraverso il "filtro" del presidente, che pone, eventualmente con l'ausilio di un familiare o di un esperto, le domande e le contestazioni proposte dalle parti, salvo che lo stesso presidente, sentite le parti, valuti invece, in concreto, che l'esame diretto non possa nuocere alla serenità del teste.
Nel caso dell'infermo di mente, le situazioni concrete possono essere le più varie, in relazione al tipo e alla maggiore o minore gravità dell'infermità della persona maggiorenne chiamata a testimoniare: onde é ragionevole che il legislatore non abbia esteso ad esso le prescrizioni dettate per la testimonianza del minore. Ciò avrebbe comportato infatti la necessità in ogni caso di un preventivo accertamento della situazione di infermità psichica, che avrebbe comportato l'applicazione della disciplina speciale, con l'attribuzione al teste di una sorta di "connotato" legale suscettibile esso stesso di tradursi in una lesione della sua personalità.
3.- La disciplina della testimonianza e delle modalità per raccoglierla risponde anzitutto all'esigenza di assicurare la genuinità della prova, ma non può essere insensibile alla necessità di tutelare la persona del teste nel delicato momento in cui é chiamato a deporre sui fatti e le circostanze dedotti in contraddittorio fra le parti. La testimonianza é infatti funzione resa obbligatoria dalla legge in vista delle esigenze del processo. Proprio per questo, se esige impegno e può comportare anche difficoltà per il teste, chiamato ad enunciare con verità davanti al giudice le informazioni in suo possesso, non deve mai tradursi, per il modo in cui é condotta, in violazioni della dignità e del rispetto dovuto alla persona del teste medesimo.
Non mancano, nell'ordinamento processuale, regole intese ed idonee, in generale, ad evitare quanto più possibile rischi di compromissione della genuinità della testimonianza dovuti al tipo di domande proposte o al modo in cui avviene l'esame, nonchè rischi di lesione del rispetto della persona del teste. Valgono, nel primo senso, i divieti delle domande "che possono nuocere alla sincerità delle risposte" (art. 499, comma 2, del codice di procedura penale), nonchè delle domande "che tendono a suggerire le risposte", limitatamente all'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del teste (art. 499, comma 3). Nel secondo senso vale soprattutto la regola secondo cui "il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona" (art. 499, comma 4). Alla tutela di siffatte esigenze sono intesi i poteri che la legge riconosce al presidente del collegio o al giudicante: in particolare, il potere ad esso attribuito dall'ultimo comma dell'art. 499 del codice di rito, di intervenire, anche d'ufficio, "per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni".
Nell'applicazione di tali regole e nell'esercizio dei poteri presidenziali volti a garantirne il rispetto, non é affatto escluso, ma anzi é implicito, che si debba tenere conto anche delle particolari caratteristiche della persona del teste, e così di una sua fragilità psicologica. E' esplicitamente previsto che, qualora sia necessario verificare l'idoneità fisica e mentale del testimone a rendere testimonianza, il giudice possa disporre "gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge", i cui risultati tuttavia non precludono l'assunzione della testimonianza (art. 196 codice procedura penale). E nulla esclude che tali accertamenti - i quali possono consistere anche in una perizia, e ben possono intervenire anche in via preventiva rispetto all'assunzione della testimonianza, contrariamente a quanto mostra di ritenere il remittente - siano volti ad appurare le condizioni in concreto specificamente richieste per evitare i rischi di un esame lesivo del rispetto della persona; come nulla esclude che il giudicante possa avvalersi delle valutazioni del perito al fine di esercitare efficacemente i poteri a lui spettanti per garantire tale rispetto e la genuinità della testimonianza.
4.- Resta però il fatto che il vigente ordinamento processuale non consente in nessun caso, nell'assunzione della testimonianza di un maggiorenne, di derogare alla regola dell'art. 498 del codice, secondo cui "le domande sono rivolte direttamente dal pubblico ministero o dal difensore che ha chiesto l'esame del testimone" (comma 1), e altre domande possono essere rivolte sempre dalle parti (commi 2 e 3).
Tale regola assume certo un'importanza fondamentale nell'ambito dell'ordinamento ispirato ai principi del processo "accusatorio", in quanto diretta a consentire alle parti di introdurre direttamente nel processo, attraverso l'esame e il controesame dei testi, gli elementi probatori dei quali esse intendono avvalersi, senza l'intermediazione del giudicante, il quale dovrà trarre elementi di convincimento dall'esame dei testi così come condotto dalle parti. L'applicazione di tale regola non può però mai tradursi nella lesione di altri interessi non solo costituzionalmente protetti, ma preminenti, come quello del rispetto della persona.
Allo scopo, come si é visto, lo stesso legislatore appresta una deroga alla regola medesima, per quanto concerne la testimonianza dei minorenni (art. 498, comma 4). Ma la garanzia del diritto fondamentale al rispetto della personalità esige che la stessa regola sia derogabile, non già in via generale, bensì in relazione alla concretezza delle circostanze, nel caso della testimonianza di persona inferma di mente. Ben può accadere infatti che, nonostante le norme dettate dall'art. 499 per l'esame testimoniale, e nonostante l'esercizio dei poteri presidenziali volti a garantirne l'osservanza, la modalità dell'esame diretto del teste ad opera delle parti (ancorchè condotto da soggetti dotati di specifica competenza e tenuti alla leale osservanza di dette regole, come sono il rappresentante della pubblica accusa e i difensori, ai quali é riservata la facoltà di porre domande e contestazioni al teste) si traduca, in fatto, in una vicenda suscettibile di pregiudicare la personalità particolarmente fragile del teste affetto da infermità mentale.
In questo caso il presidente deve essere abilitato, ove constati in concreto, in relazione al complessivo contesto processuale, che l'esame diretto può nuocere alla personalità del teste (e dunque con una valutazione del caso specifico, speculare rispetto a quella ad esso attribuita nel caso del teste minorenne al fine di consentire la prosecuzione dell'esame nelle forme ordinarie), a disporre che la deposizione abbia luogo attraverso l'esame condotto dal presidente medesimo su domande e contestazioni proposte dalle parti.
5.- L'art. 498 del codice di procedura penale ignora questa eventualità, e non prevede alcuna possibilità di derogare alla modalità dell'esame diretto ad opera delle parti nel caso del teste maggiorenne infermo di mente. Da ciò deriva l'illegittimità costituzionale, nei limiti ora precisati, della disposizione denunciata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 498 del codice di procedura penale nella parte in cui non consente, nel caso di testimone maggiorenne infermo di mente, che il presidente, sentite le parti, ove ritenga che l'esame del teste ad opera delle parti possa nuocere alla personalità del teste medesimo, ne conduca direttamente l'esame su domande e contestazioni proposte dalle parti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.