ORDINANZA N.258
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1996 dal Pretore di Sassari sui ricorsi riuniti proposti da Bernardini Loris ed altri contro Banca di Sassari s.p.a., iscritta al n. 13 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visti gli atti di costituzione della Banca di Sassari s.p.a. e del Sindacato Nazionale Personale Direttivo del Credito nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 1° luglio 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi gli avv.ti Lucio Laurenti per la Banca di Sassari s.p.a. e Manlio Abati per il Sindacato Nazionale Personale Direttivo del Credito.
Ritenuto che -- nel corso di un giudizio promosso dalla Sidirbank e da alcuni funzionari della Banca di Sassari s.p.a. a contestazione del diritto del datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro con questi ultimi, secondo la procedura di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 -- il Pretore di Sassari, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 24 della legge n. 223 del 1991;
che, secondo il rimettente, l'interpretazione letterale delle disposizioni che disciplinano la fattispecie de qua -- ed in particolare del richiamo operato dalla norma impugnata tra l'altro al comma 9 dell'art. 4 della stessa legge, che individua negli impiegati, negli operai e nei quadri le categorie di lavoratori collocabili in mobilità -- non consente di estendere al personale avente qualifica dirigenziale la procedura del licenziamento collettivo oggetto del giudizio, in quanto l'espresso rinvio contenuto nella norma riguardante tale procedimento porta ad escludere che il legislatore abbia voluto introdurre differenziazioni in merito ai lavoratori destinatari delle due distinte procedure;
che ulteriori ragioni militanti per tale esclusione vengono ravvisate dal rimettente nella incoerenza di una previsione di licenziamento collettivo dei dirigenti -- che necessariamente avrebbe tra i suoi presupposti di validità la sussistenza di un giustificato motivo obiettivo -- rispetto al regime di recedibilità ad nutum del loro rapporto di lavoro, nonchè nelle diverse conseguenze previste in caso di non corretto svolgimento da parte dell'impresa della procedura di licenziamento collettivo (cioé l'inefficacia del provvedimento risolutorio e il ripristino del rapporto), ovvero di ingiustificato licenziamento individuale del dirigente, che di norma comporta sanzioni di tipo indennitario;
che, ciò posto, il Pretore osserva come l'esclusione tout court della categoria dei dirigenti dalla procedura in questione sia ingiustificata e lesiva dell'art. 3 Cost. "in riferimento agli altri lavoratori", stanti le caratteristiche oggi assunte dal rapporto di lavoro del personale dirigenziale, in ragione: a) del consistente allargamento della figura del "dirigente", che ricomprende -- per effetto delle determinazioni della contrattazione collettiva soprattutto nel sistema bancario -- anche lavoratori come appunto i funzionari, di elevato grado di qualificazione professionale, ai quali, pur non essendo essi posti al vertice dell'impresa o di un suo ramo (essendo tuttavia sovraordinati al rimanente personale), é attribuita una rilevante autonomia ed il c.d. potere di firma; b) dell'estensione, sempre su base convenzionale, ai "mini-dirigenti" delle norme limitative, previste per gli altri lavoratori, in caso di licenziamento individuale, consentito solo in presenza di un giustificato motivo ex art. 3 della legge n. 604 del 1966, con conseguente tutela reale ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori;
che dunque, a giudizio del rimettente, l'elemento fiduciario non caratterizza più in modo determinante il rapporto di lavoro di tutto il personale direttivo, per cui, se la presenza dell'intuitus personae vale a dare ragione della diversità della disciplina in tema di recesso tra i dirigenti e gli altri lavoratori, tale differenziazione appare ingiustificata nel caso in cui, per legge o per convenzione, anche il rapporto di lavoro dei dirigenti non risulta più improntato principalmente sull'elemento fiduciario, e, di conseguenza, la scelta legislativa di sottrarre dalla procedura di cui all'art. 24 tutto il personale direttivo si appalesa ancor più irragionevole ove si abbia riguardo al fatto che, in tema di licenziamento collettivo, l'intuitus personae non rileva assolutamente, discendendo la determinazione del recesso del datore dalla presenza di un giustificato motivo obiettivo;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità ovvero per l'infondatezza della questione, in ragione della disomogeneità delle categorie di lavoratori posti a confronto e della differenziazione del rapporto di lavoro dei dirigenti (cui vengono equiparati i funzionari) da quello degli operai, impiegati e quadri, che giustifica la diversa disciplina tanto dei licenziamenti individuali, quanto di quelli collettivi;
che si é costituito il Sindirigenticredito -- Sindacato nazionale personale direttivo del credito (già Sidirbank) -- che ha concluso per l'infondatezza della questione, con specifico richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'esclusione ex lege del personale dirigenziale dall'àmbito di applicabilità delle disposizioni di legge limitative del potere di recesso dell'imprenditore non viola nè il principio di uguaglianza nè, più in generale, la garanzia di parità di trattamento dei lavoratori;
che si é costituita, altresì, la Banca di Sassari s.p.a., la quale ha chiesto -- per il caso in cui si accedesse all'interpretazione del limitato àmbito di applicazione della norma censurata -- l'accoglimento della sollevata questione, sulla base di motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dal rimettente.
Considerato che il giudizio a quo ha per oggetto l'applicabilità (o non) ai funzionari del settore bancario e creditizio, della procedura di licenziamento collettivo prevista dall'art. 24 della legge n. 223 del 1991;
che -- secondo il rimettente -- tale norma sarebbe irragionevole e contraria al principio di eguaglianza nella parte in cui, richiamando l'art. 4, comma 9, della stessa legge, viene ad escludere la categoria dei dirigenti dalla procedura in questione, valevole unicamente per gli operai, gli impiegati e i quadri;
che, tuttavia, dal contesto dell'ordinanza non appare in alcun modo esplicitato l'assunto -- costituente l'imprescindibile presupposto ermeneutico su cui il rimettente, in base alla sua stessa prospettazione, avrebbe dovuto fondare la questione sottoposta al vaglio della Corte -- di una piena equiparazione della categoria dei funzionari a quella dei dirigenti;
che d'altronde una tale premessa interpretativa -- controversa in giurisprudenza, con riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro, stipulato il 22 novembre 1990 e rinnovato il 22 giugno 1995, il cui art. 1 distingue espressamente il personale direttivo in dirigenti e funzionari -- si porrebbe altresì in palese ed insanabile contraddizione con la contestuale affermazione, fatta dal rimettente, dell'estensibilità ai funzionari, in caso di licenziamento illegittimo, della tutela reale, esclusa per i dirigenti;
che dunque la questione, così come prospettata, non attinge il livello d'una necessaria verifica di costituzionalità, rimanendo ancora nell'àmbito della mera interpretazione (di esclusiva competenza del giudice del lavoro) della denunciata disposizione, implicante la indispensabile previa qualificazione dei destinatari di questa, anche alla stregua delle norme del contratto collettivo che regolano l'inquadramento nelle varie categorie di lavoratori;
che, pertanto, la questione é manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Sassari, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Cesare RUPERTO
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.