SENTENZA N.242
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Liguria, notificato il 1° marzo 1996, depositato in Cancelleria il 14 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri della difesa, dei trasporti e della navigazione e delle finanze del 21 dicembre 1995, comunicato con nota del Commissario del Governo nella Regione Liguria n. 2452 del 29 dicembre 1995, con il quale é stato definito l’elenco delle aree demaniali marittime escluse dalla delega di cui all’art. 59 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, per quanto riguarda le aree site nella Regione Liguria, ed iscritto al n. 5 del registro conflitti 1996.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Liguria e l’avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. L’art. 59, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22 luglio 1975, n. 382) dispone che sono delegate alle Regioni "le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative", escludendo dalla delega le funzioni in materia di navigazione marittima, di sicurezza nazionale e di polizia doganale.
Il secondo comma del medesimo art. 59 stabilisce però che la delega in questione "non si applica ai porti e alle aree di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima". L’identificazione delle aree escluse avrebbe dovuto essere effettuata, entro il 31 dicembre 1978, "con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri per la difesa, per la marina mercantile e per le finanze, sentite le Regioni interessate". Con lo stesso procedimento l’elenco delle aree escluse dalla delega può essere modificato.
Non avendo il Governo provveduto entro il termine stabilito all’emanazione del decreto ivi previsto, é prevalsa la tesi, affermata anche da questa Corte nell’ordinanza n. 579 del 1988, secondo cui la delega restava inoperante in attesa della individuazione delle aree escluse.
Con l’art. 6, comma 1, del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, venne stabilito che, ove entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto medesimo il Governo non avesse provveduto agli adempimenti necessari per rendere effettiva la delega delle funzioni amministrative alle Regioni ai sensi dell’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977, dette funzioni sarebbero state "comunque delegate alle Regioni". Nemmeno quest’ultimo termine venne però rispettato. Esso fu invece prorogato al 31 dicembre 1995 con una serie di decreti legge reiterati, a partire dal decreto legge 21 ottobre 1994, n. 586 (art. 2, comma 2) e fino al decreto legge 12 aprile 1996, n. 202 (art. 2, comma 2), tutti decaduti per non essere stati convertiti in legge; poi nuovamente con il decreto legge 17 giugno 1996, n. 322 (art. 12, comma 1) e con il decreto legge 8 agosto 1996, n. 430 (art. 12, comma 1), pure essi non convertiti; e infine con l’art. 16, comma 3, del decreto legge 21 ottobre 1996, n. 535, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647.
La legge di conversione di quest’ultimo decreto, all’art. 1, comma 2, ha stabilito altresì che "restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base", fra l’altro, dei decreti legge che avevano in precedenza disposto la medesima proroga.
Nel frattempo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua le aree demaniali escluse dalla delega di funzioni in questione venne emanato il 21 dicembre 1995, nel vigore di uno dei decreti legge sopra ricordati, che prorogavano il termine, e precisamente del decreto legge 18 dicembre 1995, n. 535 (art. 2, comma 2), anch’esso decaduto e i cui effetti sono stati oggetto della sanatoria disposta dalla legge n. 647 del 1996.
2. Con ricorso notificato il 1° marzo 1996 la Regione Liguria ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione in relazione al citato d.P.C.m. 21 dicembre 1995. La ricorrente premette che con nota del 13 luglio 1995 il Commissario del Governo presso la Regione medesima aveva trasmesso la proposta governativa di elenco delle aree da escludere dalla delega, informando che, trascorsi 60 giorni dalla data di ricezione senza che fossero fatte pervenire osservazioni, il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio avrebbe ritenuto acquisito il parere favorevole ed avrebbe attivato la procedura per il concerto interministeriale ai fini dell’emanazione del decreto; che la Regione aveva immediatamente contestato l’iniziativa, sia con riguardo alla perentorietà ed incongruità del termine fissato, sia dal punto di vista della elusione del sistema delle competenze regionali che sarebbe emersa dalla proposta; che, attivata l’istruttoria sulle aree di cui si proponeva l’individuazione, il 5 dicembre 1995 la Giunta regionale aveva inviato al Commissario del Governo la propria proposta di parere, formulata con riguardo alle singole aree, e sottoposta al Consiglio regionale, che deliberava il parere medesimo il 22 dicembre 1995, cioé il giorno successivo a quello di emanazione del decreto governativo.
3. In diritto, la Regione ricorrente fonda l’impugnazione su tre ordini di motivi.
Con il primo sostiene che la decadenza del decreto legge 18 dicembre 1995, n. 535, il cui art. 2, comma 2, prorogava al 31 dicembre 1995 il termine, decorso il quale la delega sarebbe divenuta comunque operante - disposizione nel cui vigore il provvedimento é stato adottato -, avrebbe travolto il provvedimento medesimo, che sarebbe invasivo delle attribuzioni regionali in quanto emesso al di fuori dei presupposti temporali previsti dalla legge per l’esercizio del potere governativo, e in quanto sottrarrebbe alla Regione, al di fuori dei presupposti di legge, ambiti di funzioni che dovrebbero ritenersi già ad essa delegati.
Ad avviso della Regione, poi, se dovesse attribuirsi all’art. 2 del sopravvenuto decreto legge n. 65 del 1996, che nuovamente aveva prorogato al 31 dicembre 1995 il termine in esame, l’effetto di sanare, sotto il profilo indicato, il provvedimento impugnato, dovrebbe ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detta norma, per violazione dell’art. 77 della Costituzione e dell’art. 2, lettera d, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in quanto, prorogando con decreto legge il termine già scaduto fino ad una data già trascorsa, si sarebbero illegittimamente regolati i rapporti sorti sulla base del precedente decreto legge non convertito.
4. Con il secondo motivo di ricorso la Regione lamenta che il provvedimento configurerebbe, nel suo contenuto, una illegittima invasione delle attribuzioni regionali, in quanto riserverebbe allo Stato, con riferimento alle aree elencate, funzioni che invece spetterebbero alla Regione in base al quadro delle attribuzioni risultante dalla Costituzione (artt. 117 e 118) e dalle leggi (art. 2 d.P.R. n. 8 del 1972, art. 59 d.P.R. n. 616 del 1977, art. 5 legge n. 84 del 1994), attribuzioni riconducibili sostanzialmente alle materie dell’urbanistica, del turismo ed industria alberghiera, della viabilità, degli acquedotti e dei lavori pubblici di interesse regionale. In particolare, sarebbero state illegittimamente incluse nell’elenco aree attualmente destinate ad attività turistica e ricreativa, aree per le quali non si rileverebbe alcuna connessione con il "preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima", di cui all’art. 59, secondo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977; e ancora gli approdi, i porti turistici e le zone portuali a prevalente o esclusiva funzione turistica, nonchè i porti per i quali le relative opere sono state trasferite alla competenza regionale. Il ricorso rinvia all’elenco allegato al parere regionale per l’indicazione dei casi specifici in cui, ad avviso della ricorrente, mancherebbero i presupposti per la riserva a favore dello Stato.
5. Con il terzo motivo di ricorso la Regione lamenta che l’iniziativa statale sia stata attuata con modalità di per sè lesive delle attribuzioni regionali. Anzitutto non sarebbero stati resi noti alla Regione i criteri generali e specifici in base ai quali il Governo ha individuato le aree incluse nell’elenco, e sarebbe stata omessa ogni motivazione in ordine a tali criteri e alle specifiche ragioni per le quali é stato ritenuto sussistente il preminente interesse nazionale che giustificherebbe la riserva allo Stato. In secondo luogo, sarebbe stata insufficiente l’istruttoria eseguita, essendosi talora erroneamente qualificati o inesattamente delimitati gli ambiti oggetto della riserva, ed essendosi inclusi beni per i quali viene dichiarata ancora in corso l’istruttoria. Tali vizi comporterebbero violazione del principio di leale cooperazione e degli artt. 97 e 118 della Costituzione, incidendo sulla stabilità e sulla corretta definizione delle attribuzioni regionali.
Infine il provvedimento sarebbe stato adottato senza considerare il parere formulato dalla Regione, trasmesso dopo il termine illegittimamente assegnato dal Governo, e dando atto della sola consultazione della Conferenza Stato-Regioni, esclusa ogni altra forma di partecipazione delle Regioni al procedimento.
Sarebbero così state violate le modalità procedimentali imposte dall’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977: il termine assegnato di sessanta giorni per il parere della Regione sarebbe incongruo e palesemente insufficiente per l’istruttoria su 117 ambiti territoriali diversi. Il parere della Conferenza Stato-Regioni, espresso, lo stesso giorno dell’emanazione del decreto, sull’elenco relativo a tutte le Regioni, non può, secondo la ricorrente, ritenersi equivalente al parere della Regione interessata, richiesto dall’art. 59 citato, nè assorbirlo. Sarebbe evidente l’intento del Governo di prescindere dall’apporto partecipativo delle Regioni; sarebbe pertanto violato il principio di leale cooperazione, e si prospetterebbe la lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione per il mancato perfezionamento dei meccanismi di partecipazione regionale alle determinazioni statali, previste dalla legge, sul riparto delle competenze.
6. Resiste al ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che esso sia dichiarato "irricevibile per tardività, inammissibile e infondato".
In una memoria successivamente depositata, l’Avvocatura erariale, senza più tornare sull’eccezione di tardività, sostiene che il ricorso é al tempo stesso infondato e inammissibile. Non ricorrerebbe, infatti, nè l’ipotesi di vindicatio potestatis, nè quella di illegittimo esercizio di un potere cui consegua la menomazione della sfera di attribuzioni della ricorrente.
La materia del demanio marittimo - osserva la difesa del Presidente del Consiglio - non é inclusa fra quelle di spettanza delle Regioni, onde ogni potere legislativo e amministrativo in ordine ad essa appartiene allo Stato, anche se riconducibile a materie come il turismo e l’industria alberghiera. Nè dall’esercizio del potere statale potrebbe derivare una menomazione delle attribuzioni regionali, poichè lo Stato, con il provvedimento impugnato, non ha preteso di dettare regole che valgano fuori del demanio di sua pertinenza. Eventuali violazioni della legge ordinaria, che abbia delegato funzioni alle Regioni, non implicano compressioni delle attribuzioni costituzionali di queste, e non potrebbero perciò essere denunciate con conflitto di attribuzioni davanti a questa Corte.
Le denunciate violazioni degli artt. 117 e 118 della Costituzione sarebbero dunque insussistenti, mentre le censure di violazione delle norme ordinarie sarebbero inammissibili.
In subordine, l’Avvocatura sostiene che tali ultime violazioni comunque non sussistono. Il decreto impugnato é stato adottato nel vigore del decreto legge n. 535 del 1995, che prorogava il termine per l’individuazione delle aree escluse dalla delega al 31 dicembre 1995, e la successiva decadenza di detto decreto non potrebbe caducare gli effetti perfezionatisi nel periodo della sua vigenza.
Nè sussisterebbero difetti procedurali: l’onere di sentire le Regioni sarebbe stato pienamente rispettato sia per ogni singola Regione, nella fase di predisposizione degli elenchi, sia portando la questione all’esame della Conferenza Stato-Regioni, apparsa la sede più idonea per il contemperamento degli interessi statali e regionali.
7. La Regione ricorrente ha a sua volta depositato memoria, nella quale, anzitutto, contesta l’eccezione di tardività del ricorso, genericamente avanzata dall’Avvocatura erariale, osservando come non risulti che il provvedimento impugnato sia stato portato a conoscenza di alcun organo regionale prima del 3 gennaio 1996.
La Regione afferma poi l’ammissibilità del ricorso, in particolare sostenendo che la delega in questione attiene direttamente alla materia del turismo e dell’industria alberghiera, onde essa costituisce integrazione necessaria di una competenza propria della Regione, ed é stata conferita allo scopo di consentire l’esercizio di tale competenza, senza che vi siano momenti di concorrenza fra attribuzioni statali e regionali: onde sarebbe ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzioni, secondo i criteri enunciati nella giurisprudenza di questa Corte.
Nel merito, la Regione osserva anzitutto che il provvedimento impugnato é stato adottato al di fuori dei limiti temporali previsti dall’art. 6 del decreto legge n. 400 del 1993, e che la proroga di tale termine, successivamente disposta, o é priva di efficacia, in quanto i vari decreti legge che l’avevano prevista sono decaduti, o appare viziata dall’abuso dell’istituto della decretazione d’urgenza, onde, ai fini che interessano, deve ritenersi come inesistente. In particolare la ricorrente sostiene che, se anche il legislatore, convertendo in legge il decreto n. 535 del 1996, che nuovamente prorogava il termine, ha sanato il vizio derivante dalla ripetuta reiterazione dei decreti decaduti, non per questo può ritenersi che abbia sanato gli effetti degli atti adottati in base al decreto legge decaduto. A sua volta la clausola di sanatoria degli effetti dei decreti decaduti, contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge di conversione dell’ultimo decreto, sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto la discrezionalità del legislatore nel sanare gli effetti dei decreti legge non convertiti, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, incontrerebbe il limite degli altri principi di rilievo costituzionale, soprattutto quando incide sui rapporti tra lo Stato e le autonomie costituzionalmente garantite: onde il legislatore non potrebbe fornire a posteriori base legislativa ad un provvedimento lesivo delle attribuzioni regionali, soprattutto quando questo é oggetto di impugnazione. Sarebbe pertanto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 3, del decreto legge n. 535 del 1996, nella parte in cui conferma la proroga al 31 dicembre 1995 del termine per la individuazione delle aree escluse dalla delega, nonchè dell’art. 1, comma 2, della legge 23 dicembre 1996, n. 647, nella parte in cui fa salva la validità dell’atto impugnato e la proroga sul cui presupposto esso é stato adottato, sulla base di un decreto legge decaduto.
La Regione ribadisce poi le censure relative al contenuto dell’atto, là dove esso individua aree che non corrisponderebbero ai criteri indicati nell’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977: in particolare sarebbero state illegittimamente escluse dalla delega le aree indicate come basi logistiche di corpi dello Stato in consegna ad amministrazioni statali, ma in realtà destinate a stabilimenti balneari, ancorchè utilizzati da personale statale; le aree costituenti punti di attracco per piccole imbarcazioni o approdi o scali per piccoli natanti, ovvero porti turistici o approdi turistici, nonchè i porti di IV classe per i quali tale classificazione non é più coerente; le aree date in concessione a cantieri navali, la cui individuazione non ha alcuna attinenza con gli interessi nazionali indicati nell’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977.
Infine la Regione ribadisce che le concrete modalità di formazione del provvedimento sono di per sè lesive dei principi che governano il riparto delle attribuzioni e i rapporti tra Stato e Regioni; e conclude chiedendo che esso sia annullato per la parte relativa all’approvazione degli elenchi riguardanti la Regione Liguria, o quanto meno là dove riserva allo Stato le aree per le quali la Regione ha espresso parere negativo.
Considerato in diritto
1. L’eccezione di tardività del ricorso, sollevata in un primo tempo dalla difesa del Presidente del Consiglio, non é stata coltivata, nè é stato documentato che l’atto impugnato sia pervenuto alla Regione prima del 3 gennaio 1996, data tenendo conto della quale il ricorso risulta tempestivo. L’eccezione va dunque disattesa.
2. Le censure mosse con il ricorso della Regione, come si è detto nell’esposizione in fatto, sono di tre ordini. In primo luogo si sostiene che il provvedimento impugnato sia lesivo delle attribuzioni regionali in quanto adottato al di fuori dei presupposti temporali previsti dalla legge e quando gli ambiti di funzioni da esso sottratti alla delega a favore della Regione dovevano già ritenersi delegati alla medesima ex lege, in forza della scadenza del termine fissato dall’art. 6, comma 1, del decreto legge n. 400 del 1993, convertito dalla legge n. 494 dello stesso anno. In secondo luogo si lamenta che siano state sottratte alla delega aree che non presentano le caratteristiche a tal fine stabilite dall’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977. In terzo luogo si sostiene che sarebbero lesive le modalità con le quali é stata attuata l’iniziativa statale, per la omissione di ogni motivazione in ordine ai criteri seguiti nella individuazione delle aree, per insufficienza e difetto di istruttoria, e infine per aver omesso di considerare il parere della Regione, imposto dall’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977.
3. La censura per prima indicata é infondata.
Non é necessario, al fine del giudizio chiesto alla Corte, rispondere agli interrogativi posti dalla circostanza che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia stato emanato - quando era da tempo scaduto il termine (fissato dall’art. 6, comma 1, del decreto legge n. 400 del 1993) alla cui vana decorrenza la legge collegava l’operatività de jure della delega a favore delle Regioni relativamente a tutte le aree demaniali aventi utilizzazione per finalità turistiche e ricreative - sotto il vigore di un decreto legge (il decreto legge 18 dicembre 1995, n. 535), che prorogava bensì tale termine al 31 dicembre 1995, ma che aveva perso efficacia, a seguito della mancata conversione, al pari dei successivi decreti legge reiterati i quali pure, retrospettivamente, disponevano tale proroga, fino a quando, convertito l’ultimo decreto legge contenente la proroga (21 ottobre 1996, n. 535), venne disposta la salvezza degli effetti dei decreti non convertiti (art. 1, comma 2, legge n. 647 del 1996). Nè occorre valutare la fondatezza della censura di legittimità avanzata dalla Regione nei confronti sia dei decreti legge che hanno reiterato a posteriori, e cioé dopo il 31 dicembre 1995, la proroga a tale data del termine originariamente stabilito, sia della clausola di sanatoria degli effetti dei decreti decaduti, tra cui era il decreto legge n. 535 del 1995 nel cui vigore il provvedimento governativo venne emanato; e neppure domandarsi se possa avere qualche effetto in ordine alla qualificazione giuridica e agli effetti da attribuirsi al provvedimento impugnato la circostanza che la "catena" di decreti legge che disposero la proroga del termine al 31 dicembre 1995 non si presenta come del tutto continua, ma venne interrotta per qualche giorno, ad esempio nel passaggio tra il decreto legge 17 giugno 1996, n. 322, al decreto legge 8 agosto 1996, n. 430, pubblicato nella G.U. del 22 agosto 1996, n. 196.
E’ decisiva infatti la considerazione che il fondamento normativo del provvedimento governativo di individuazione delle aree demaniali escluse dalla delega a favore delle Regioni non risiede nelle norme che stabilirono, e poi prorogarono, ex ante ed ex post, il termine, scaduto il quale la delega diveniva comunque operante, ma nell’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977; e che, a norma dell’ultima parte del secondo comma di tale art. 59, l’elenco delle aree escluse dalla delega perchè ritenute di preminente interesse nazionale può essere (in ogni tempo) modificato dal Governo con lo stesso procedimento previsto per la prima identificazione di tali aree. Onde il potere governativo di individuazione delle aree escluse non é mai stato sottoposto, nel suo esercizio, ad un termine propriamente perentorio, nel senso che il potere venisse meno per effetto del suo vano decorso.
Mentre originariamente il mancato rispetto da parte del Governo del termine fissato dalla legge per la individuazione delle aree escluse non era destinato a produrre alcun effetto sulla operatività della delega, che sarebbe rimasta comunque quiescente fino a quando il Governo non si fosse pronunciato, successivamente la fissazione del nuovo termine fu accompagnata invece dalla previsione che il suo vano decorso determinasse l’operatività ex lege della delega, ma non il venir meno del potere governativo, che avrebbe comunque sempre potuto esercitarsi sottraendo all’ambito di operatività della delega stessa aree successivamente individuate come di preminente interesse nazionale: ciò é reso palese dalla espressa previsione della modificabilità in ogni tempo dell’elenco delle aree escluse, sia quindi nel senso della sua estensione, sia nel senso della sua riduzione.
In altri termini, la particolare disciplina impressa dal legislatore a questa delega - collegata non già a caratteristiche permanenti delle aree, ma alla loro concreta utilizzazione in atto o prevista, soggetta a variare nel tempo - fa del potere governativo un potere permanente, esercitabile sia nei riguardi di aree non ancora passate alla competenza delegata delle Regioni, sia nei riguardi di aree per le quali la delega sia già divenuta operante.
E’ pertanto irrilevante, ai fini di stabilire se il potere governativo sia stato esercitato nel rispetto o invece in violazione delle attribuzioni regionali, la circostanza controversa dell’essere il provvedimento intervenuto in una situazione normativa nella quale debba ritenersi - ora per allora - non ancora operante, ovvero già divenuta operante la delega alla Regione, in relazione alla efficacia da attribuirsi alle varie disposizioni di proroga del termine al 31 dicembre 1995, nonchè alla legittimità o meno di tali disposizioni, e di quella che ha disposto la salvezza degli effetti dei decreti decaduti: restando estranea all’ambito del presente giudizio ogni questione sulla operatività della delega, con riferimento alle aree escluse, nel periodo anteriore all’emanazione del provvedimento governativo impugnato. In ogni caso, il Governo era, come resta, competente ad individuare le aree "di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato e alle esigenze della navigazione marittima", sottraendole all’ambito della delega a favore delle Regioni di cui all’art. 59, primo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977.
4. In ordine logico, la Corte deve ora prendere in esame, per il suo carattere pregiudiziale, la censura, mossa nell’ultima parte del terzo motivo del ricorso, avverso la procedura seguita dal Governo, che adottò il provvedimento senza attendere il parere formale della Regione Liguria - espresso dal consiglio regionale solo il giorno successivo a quello di adozione del decreto (e cioé il 22 dicembre 1995) - e senza farsi carico dell’avviso negativo su molte aree espresso nella motivata proposta di parere della giunta trasmessa al consiglio, e fatta conoscere al Governo.
In proposito, non può accogliersi l’eccezione del Presidente del Consiglio, secondo cui tale censura, al pari delle altre riferite alla violazione di norme di legge ordinaria, quale é l’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977, ove si stabilisce la procedura che il Governo doveva seguire, e in particolare si impone ad esso di provvedere "sentite le Regioni interessate", sarebbe inammissibile, perchè non attinente alla pretesa violazione delle norme costituzionali che definiscono le attribuzioni della Regione.
In realtà, con la censura in esame, la ricorrente lamenta la violazione di quel principio di leale cooperazione che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve governare i rapporti fra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi (cfr. sentenza n. 341 del 1996). Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, "riconosce e promuove le autonomie locali", alle cui esigenze "adegua i principi e i metodi della sua legislazione" (art. 5 Cost.), va al di là del mero riparto costituzionale delle competenze per materia, e opera dunque su tutto l’arco delle relazioni istituzionali fra Stato e Regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diretto la distinzione fra competenze legislative esclusive, ripartite e integrative, o fra competenze amministrative proprie e delegate.
Nella specie il legislatore delegato del 1977, chiamato a definire gli ambiti e i limiti del passaggio di funzioni amministrative alle Regioni, ha individuato un ambito - quello delle aree del demanio costiero a destinazione turistica e ricreativa - in cui concorrono e interferiscono fra loro competenze statali e competenze regionali: lo ha disciplinato in linea di principio attraverso la previsione di una delega generale alle Regioni, limitata dalla riserva allo Stato delle funzioni in materia di navigazione marittima, sicurezza nazionale e polizia doganale; ha però previsto l’esclusione della delega con riguardo ad aree determinate, caratterizzate dalla preminenza di interessi nazionali. L’individuazione di tali aree é dunque un procedimento volto tipicamente alla delimitazione in concreto e alla composizione di interessi facenti capo rispettivamente ad attribuzioni statali e ad attribuzioni regionali: coerentemente pertanto il legislatore ha previsto un procedimento destinato bensì a sfociare in un atto delle autorità centrali di governo, ma nel cui ambito si colloca, a presidio degli specifici interessi regionali coinvolti, un parere obbligatorio, benchè non vincolante, delle Regioni interessate. Tale partecipazione procedimentale rappresenta la modalità concreta con cui si realizza, nel caso, il contemperamento dei diversi interessi, e dunque una modalità di concorso e di confronto che deve rispondere al canone costituzionale della leale cooperazione. La partecipazione regionale al procedimento, di cui la legge stabilisce le modalità, é perciò costituzionalmente indefettibile, deve essere resa effettivamente e non solo formalmente possibile, e il provvedimento governativo deve tener conto dei risultati di tale partecipazione.
Ciò non significa che ogni eventuale scostamento del contenuto dell’atto governativo rispetto ai parametri legali che ne condizionano il contenuto possa automaticamente considerarsi come una lesione della sfera costituzionale di attribuzioni della Regione, suscettibile di essere fatta valere attraverso il ricorso per conflitto di attribuzioni, anzichè solo come un vizio di legittimità dell’atto suscettibile di essere fatto valere con gli ordinari rimedi giurisdizionali: ma integra senz’altro siffatta lesione la deviazione dal modello procedimentale imposto dalla legge a tutela del principio di cooperazione.
5. Nel merito, la censura é fondata.
E’ ben vero che l’elenco delle aree che il Governo intendeva escludere dalla delega venne inviato alcuni mesi prima dell’emanazione del decreto alla Regione, invitando quest’ultima ad esprimersi entro sessanta giorni, in mancanza di che si avvertiva la Regione che si sarebbe considerato acquisito il suo parere favorevole. Ma, in primo luogo, nessuna norma prevedeva siffatto termine, e tanto meno autorizzava a presumere favorevole il parere della Regione che non si fosse espressa entro il termine medesimo. La Regione Liguria da un lato non mancò di contestare l’eccessiva brevità del termine, e il significato che il Governo intendeva attribuire al suo vano decorso; dall’altro lato, trasmise tempestivamente al Governo la proposta circostanziata di parere, prima che il consiglio l’adottasse definitivamente (quando ormai però l’atto governativo era stato emanato). Ciononostante il provvedimento é stato adottato senza che - come risulta dalle stesse premesse dell’atto - si sia tenuto alcun conto delle posizioni espresse dalla Regione, ma limitandosi solo ad acquisire in extremis il parere della Conferenza Stato-Regioni. Quest’ultimo parere - a parte le modalità con cui é stato acquisito - non poteva in alcun modo sostituire o assorbire il "parere delle Regioni interessate" prescritto dall’art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977 (cfr. sentenza n. 338 del 1994): infatti le valutazioni destinate ad esprimersi nei pareri non attenevano solo ai criteri generali di esercizio del potere governativo, in ipotesi suscettibili di essere considerati unitariamente per tutto il territorio nazionale, ma anche alle caratteristiche e alle situazioni delle singole aree costiere, in relazione alle quali solo la Regione rispettivamente interessata era ed é abilitata a far valere i relativi interessi.
L’assenza, nella legge, della previsione di un termine per l’espressione del parere avrebbe bensì giustificato, da parte del Governo, la richiesta alla Regione di esprimersi entro un termine massimo, tenendo ragionevolmente conto del tempo necessario per un effettivo confronto di posizioni, eventualmente anche con riferimento ai principi ricavabili, in tema di adempimenti consultivi all’interno dei procedimenti, dall’art. 16, commi 1 e 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Ma in ogni caso non era consentito al Governo, nella situazione data, adottare il provvedimento in assenza del prescritto parere, pur ormai preannunciato e portato a conoscenza del medesimo Governo allo stadio di proposta, e omettendo ogni considerazione ed ogni motivazione in ordine alle risultanze della partecipazione regionale.
La sostanziale omissione, nel procedimento, di modalità di consultazione e di confronto conformi al principio di leale cooperazione costituisce dunque una lesione della sfera di attribuzioni costituzionali della Regione ricorrente, e comporta l’annullamento dell’atto impugnato, per la parte che concerne il territorio della stessa Regione: fermo restando che il Governo potrà provvedere comunque, ai sensi dell’art. 59, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 616 del 1977, e con il procedimento ivi previsto, assicurando la debita partecipazione della Regione alla individuazione di aree demaniali da sottrarre alla delega in quanto di preminente interesse nazionale ai sensi del medesimo art. 59, secondo comma.
6. Restano assorbite le altre censure mosse nel ricorso, sia in ordine al contenuto del provvedimento impugnato, sia in ordine alla sua motivazione, ai suoi presupposti di fatto e all’istruttoria che lo ha preceduto, senza che la Corte debba, in proposito, esprimersi a riguardo della stessa ammissibilità di tali censure in sede di conflitto di attribuzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, adottare il decreto di individuazione delle aree demaniali escluse dalla delega di cui all’art. 59, primo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della l. 22 luglio 1975, n. 382), senza il prescritto parere delle Regioni interessate, da acquisire con modalità conformi al principio di leale cooperazione; e conseguentemente annulla il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 1995, impugnato con il ricorso di cui in epigrafe, limitatamente alla parte che concerne aree del territorio della ricorrente Regione Liguria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1997.