SENTENZA N.234
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 1, del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360, 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero 183), promosso con ordinanza emessa il 16 aprile 1996 dal Pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Florioli Guido, iscritta al n. 1047 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Udito nella camera di consiglio del 23 aprile 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato del reato di cui all'art. 24, comma 1, del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360, 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero 183) norma che punisce "chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza l'autorizzazione, ovvero ne continua l'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l'ordine di chiusura dell'impianto", comminando la "pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni" il Pretore di Brescia, con ordinanza del 16 aprile 1996, pervenuta a questa Corte il 2 settembre 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, per violazione dei criteri della delega fissati dall'art. 16, lettera c, della legge 16 aprile 1987, n. 183 (Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari).
Il remittente osserva che la legge di delega, sulla cui base é stato emanato il d.P.R. n. 203 del 1988, nel consentire la previsione di sanzioni penali per le violazioni della normativa recata dai provvedimenti delegati, stabiliva espressamente il limite della "ammenda da lire duecentocinquantamila a lire due milioni o dell'arresto fino a tre anni" (art. 16, comma 1, lettera c, della legge n. 183 del 1987), contemplando così la sola pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda; laddove l'art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 203 del 1988 prevede la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, e dunque un trattamento sanzionatorio più grave di quello consentito, violando così i limiti della delega.
Considerato in diritto
1.- La questione sollevata, avente ad oggetto l'eccesso di delega in cui é incorso il d.P.R. n. 203 del 1988, per avere, all'art. 24, comma 1, previsto la pena congiunta dell'arresto e dell'ammenda, é fondata.
L'art. 16 della legge n. 183 del 1987 detta i principi e i criteri cui doveva informarsi l'esercizio della delega legislativa conferita dall'art. 15 della stessa legge, concernente l'emanazione delle norme necessarie per dare attuazione a direttive della Comunità economica europea, indicate fra l'altro nell'elenco C allegato alla legge, fra le quali sono comprese le direttive nn. 80/779, 82/884, 84/360, 85/203, attuate con il d.P.R. n. 203 del 1988 in materia di qualità dell'aria e di inquinamento prodotto da impianti industriali.
Fra tali criteri figura quello enunciato nella lettera c di detto art. 16, a tenore del quale "saranno previste, quando sia necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti delegati, salve le norme penali vigenti, norme contenenti le sanzioni amministrative e penali, o il loro adeguamento, per le eventuali infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi nei limiti, rispettivamente, della pena pecuniaria da lire cinquecentomila a lire cinque milioni e dell'ammenda da lire duecentocinquantamila a lire due milioni o dell'arresto fino a tre anni".
Le sanzioni penali consentite sono dunque, alternativamente, l'arresto o l'ammenda, nel limite quantitativo indicato dalla legge di delega per ciascuna specie di pena. Nè si può intendere diversamente la norma della legge di delega, dato che, nel linguaggio del legislatore penalistico, l'impiego della disgiuntiva "o" indica la previsione alternativa delle due pene, laddove la congiunzione "e" indica la previsione delle pene congiunte.
Il legislatore delegato, negli artt. 24, 25 e 26, ha previsto, in relazione ad una molteplicità di fattispecie diverse, pene graduate in relazione, evidentemente, alla maggiore o minore ritenuta gravità della violazione sanzionata; e in quest'ambito, in particolare, ha inteso riservare il trattamento più severo all'ipotesi, ragionevolmente giudicata più grave, della costruzione o dell'esercizio di un impianto in assenza di una efficace autorizzazione o nonostante l'ordine di chiusura (art. 24, comma 1). Tuttavia, nell'effettuare tale graduazione il legislatore delegato non solo doveva restare, come in effetti é restato, entro i limiti quantitativi previsti per ciascuna specie di pena dalla legge di delega (tre anni per l'arresto e due milioni di lire per l'ammenda), ma doveva altresì, nel caso di previsione tanto dell'arresto che dell'ammenda, attenersi al criterio dell'alternatività fra le due pene. La norma impugnata prevede invece le due pene congiuntamente, e in tal modo, se fissa il massimo della pena detentiva ad un livello inferiore a quello ammesso dalla legge di delega (due anni anzichè tre), impone in ogni caso l'irrogazione di entrambe le pene, in contrasto con il criterio dell'alternatività prescritto dalla legge di delega medesima.
Nemmeno é sostenibile che tali limiti potessero essere superati trattandosi di violazioni già sanzionate penalmente nella legislazione preesistente. Vero é, infatti, che la legge di delega faceva salve espressamente "le norme penali vigenti". Ma la fattispecie penale sanzionata dall'art. 24, comma 1, del d.P.R. n. 203 del 1988 é di nuova creazione, in relazione alla introduzione, effettuata per la prima volta proprio con tale decreto delegato, dell'istituto dell'autorizzazione alle emissioni; e comunque la fattispecie che, nella legislazione preesistente, più si avvicinava a quella ora delineata dal legislatore delegato, vale a dire la violazione dell'obbligo di eliminare gli inconvenienti riscontrati negli stabilimenti industriali di cui si fosse accertata la non conformità alle volute caratteristiche in relazione all'obbligo di possedere impianti e dispositivi atti a contenere le emissioni (art. 20, quarto comma, ultimo periodo, della legge 13 luglio 1966, n. 615), era assoggettata alla sola pena dell'ammenda da lire trecentomila a lire tre milioni; e anche l'art. 674 del codice penale, che vieta le emissioni pericolose o moleste nei casi non consentiti dalla legge, commina la pena alternativa dell'arresto fino ad un mese o dell'ammenda fino a lire quattrocentomila: onde in nessun caso il criterio della pena congiunta adottato dal legislatore delegato potrebbe giustificarsi a titolo di conservazione di previsioni sanzionatorie previgenti.
2.- Avendo previsto congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria, il legislatore delegato é incorso nella violazione dei criteri della delega, e dunque dell'art. 76 della Costituzione. La norma denunciata va pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui commina le pene congiunte dell'arresto e dell'ammenda anzichè la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda.
3.- Poichè identica norma sanzionatoria, parimenti eccedente i limiti della delega, é dettata dall'art. 25, comma 5, dello stesso d.P.R. n. 203 del 1988, in relazione all'ipotesi parallela a quella di cui all'art. 24, comma 1, ed evidentemente giudicata dal legislatore della medesima gravità di chi "continua l'esercizio dell'impianto esistente con autorizzazione sospesa, rifiutata, revocata, ovvero dopo l'ordine di chiusura dell'impianto", anche tale disposizione va dichiarata costituzionalmente illegittima negli stessi limiti, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 1, del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360, 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero 183), nella parte in cui stabilisce, per le violazioni ivi previste e punite, "la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni" anzichè "la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni";
dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 5, del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, nella parte in cui stabilisce, per le violazioni ivi previste e punite, "la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni" anzichè "la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
Presidente: Renato Granata
Redattore: Valerio Onida
Depositata in cancelleria il 13 luglio 1997.