Sentenza n. 203

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SENTENZA N. 203

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), promosso con ordinanza emessa il 21 settembre 1995 dal T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Vladimorova Eva contro il Ministero dell'interno, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale dell'anno 1996.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio promosso da una cittadina bulgara per l'impugnazione di un provvedimento di revoca del permesso di soggiorno per motivi di famiglia, il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza emessa il 21 settembre 1995, pervenuta a questa Corte il 29 gennaio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 10, 30 e 31 della Costituzione, dell'art. 4, comma 1, della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), "nella parte in cui non consente il ricongiungimento ad un figlio minore di un cittadino extracomunitario non legato all'altro genitore da vincolo di coniugio".

Il giudice a quo premette in fatto che la ricorrente, che convisse more uxorio con altro cittadino extracomunitario, col quale ebbe una figlia, riconosciuta da entrambi i genitori, aveva ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, in seguito revocato col provvedimento impugnato, poichè la stessa ricorrente non risultava coniugata. Nell'atto introduttivo del giudizio a quo si sosteneva che l'art. 4 della legge n. 943 del 1986 - ai cui sensi "i lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia ed occupati hanno diritto al ricongiungimento con il coniuge nonchè con i figli a carico non coniugati, considerati minori dalla legislazione italiana, i quali sono ammessi nel territorio nazionale e possono soggiornarvi per lo stesso periodo per il quale é ammesso il lavoratore e semprechè quest'ultimo sia in grado di assicurare ad essi normali condizioni di vita" - si applica anche alle famiglie di fatto, e che qualora la norma dovesse interpretarsi diversamente sarebbe contraria alla Costituzione.

Il remittente afferma che l'impugnato provvedimento di revoca del permesso di soggiorno risulta conforme alla norma citata, poichè il termine "coniuge" in essa contenuto fa riferimento ad un vincolo matrimoniale legittimo: di qui discenderebbe la rilevanza della questione di legittimità costituzionale ai fini della decisione definitiva circa la sospensione richiesta (dopo quella provvisoriamente concessa dallo stesso Tribunale), apparendo il provvedimento fondato appunto su detta norma.

Ad avviso del Tribunale l'art. 4, comma 1, della legge n. 943 del 1986, ancorchè inserito in una legge relativa al collocamento e al trattamento dei lavoratori extracomunitari, avrebbe l'ulteriore scopo di favorire la riunificazione delle famiglie: ma con questa finalità contrasterebbe la limitazione del ricongiungimento ai soli figli nati nel matrimonio. Con ciò si realizzerebbe una discriminazione tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori di esso, si limiterebbe il diritto-dovere dei genitori di educare i figli, e correlativamente il diritto dei figli di essere accuditi da entrambi i genitori, in contrasto con gli articoli 30 e 31 della Costituzione; e si violerebbe la garanzia di speciale protezione dell'infanzia sancita dal citato art. 31.

La disposizione sarebbe inoltre, sempre secondo il giudice a quo, in contrasto con l'art. 10 della Costituzione, che garantisce allo straniero una tutela in conformità ai trattati internazionali: fra questi assumerebbe rilievo in particolare l'art. 8 (concernente il diritto della persona al rispetto della sua vita privata e familiare) della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, cui si é data esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848; nonchè il principio sesto della dichiarazione dei diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1959), secondo cui "il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre".

2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

L'Avvocatura erariale osserva anzitutto che la questione andrebbe riconsiderata, ai fini della rilevanza, dal giudice a quo, dato che in materia di ricongiungimento sono sopravvenuti gli artt. 10 e 11 del d.l. 18 gennaio 1996, n. 22.

Afferma poi che é infondato il sospetto di una discriminazione a danno dei figli nati fuori dal matrimonio: infatti la norma denunciata considera il ricongiungimento con i figli minori a carico non coniugati, indipendentemente dal fatto che essi siano nati o meno nel matrimonio. Quest'ultimo potrebbe venire in rilievo solo in relazione al ricongiungimento con il coniuge, mentre la questione é prospettata con riferimento ai figli minori: ciò che non potrebbe non riflettersi sulla rilevanza della questione medesima.

Parimenti, secondo la difesa del Presidente del Consiglio, si riflette sulla rilevanza la circostanza che nella specie non si é in presenza di un lavoratore extracomunitario residente che abbia chiesto il ricongiungimento con un figlio minore da ammettere al soggiorno in Italia, ma di una cittadina extracomunitaria, non legalmente residente, che vorrebbe essere ammessa al soggiorno in Italia per ricongiungersi ad una figlia minore, non a suo carico, che già vi soggiorna. Si verserebbe quindi nell'ambito di applicabilità non già della norma denunciata, bensì eventualmente dell'art. 2 del d.l. n. 416 del 1989, convertito dalla legge n. 39 del 1990, che disciplina l'ammissione dei cittadini extracomunitari all'ingresso nel territorio nazionale.

Nè rileverebbe assumere che, se l'interessata fosse unita in matrimonio con il padre della minore, potrebbe ottenere il ricongiungimento al coniuge e dunque alla figlia. Infatti tale assunto avrebbe potuto venire in rilievo solo nell'ipotesi, nella specie non ricorrente, in cui fosse il convivente more uxorio, legalmente residente in Italia e occupato, che avesse chiesto il ricongiungimento per la sua convivente. In tale caso però il sospetto di incostituzionalità riguarderebbe i limiti del ricongiungimento col coniuge e perciò potrebbe venire in rilievo solo in un giudizio in cui di ciò si discutesse. In ogni caso, secondo l'Avvocatura, ai fini del ricongiungimento sarebbe diversa la situazione di coloro che sono uniti in matrimonio rispetto a quella di coloro che versino in situazione di semplice convivenza, per di più non attuale, come é postulato dalla normativa sul ricongiungimento.

La questione sarebbe dunque inammissibile e comunque infondata sotto il profilo degli artt. 30 e 31 della Costituzione, mentre del tutto non pertinente sarebbe il richiamo all'art. 10 della Costituzione medesima.

Considerato in diritto

1.- La questione sollevata investe l'art. 4, comma 1, della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), che regola il "diritto al ricongiungimento" con il coniuge e con i figli minori non coniugati, spettante ai lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia ed occupati, alla sola condizione che questi siano in grado di assicurare ai congiunti normali condizioni di vita; ma in realtà evoca una situazione che va al di là di quella contemplata da detta disposizione, e che riguarda il diritto - il cui mancato riconoscimento fonda la censura di incostituzionalità - del cittadino extracomunitario, privo di altro titolo di legale soggiorno in Italia, a rimanere nel territorio nazionale per vivere con un figlio minore nell'ambito della "famiglia di fatto" costituita con l'altro genitore - a sua volta legalmente residente in Italia - con il quale non sia unito in matrimonio. Tale assenza di riconoscimento del diritto alla permanenza nel territorio nazionale appare al giudice remittente in contrasto con le norme degli artt. 30 e 31 della Costituzione, che sanciscono l'eguale tutela dei figli nati fuori dal matrimonio e la speciale protezione dell'infanzia, nonchè con l'art. 10, in relazione alle norme convenzionali internazionali che affermano il diritto alla protezione della vita familiare e delle relazioni affettive del minore.

2.- Non vi é motivo per restituire gli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza, in relazione alla sopravvenuta emanazione del d.l. n. 22 del 1996, e dei successivi decreti legge che ne hanno reiterato la disciplina. Da un lato, infatti, detti decreti sono tutti decaduti per mancata conversione in legge; dall'altro lato, la clausola di sanatoria degli effetti e dei rapporti giuridici sorti sulla loro base, contenuta nell'art. 1, comma 1, della successiva legge 9 dicembre 1996, n. 617, non é in grado di incidere in alcun modo sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo, posto che le modifiche apportate da detti decreti alla disciplina dei ricongiungimenti familiari non riguardavano in alcun modo la situazione dedotta in tale giudizio. Infatti essi sostanzialmente riprendevano, quanto al contenuto essenziale, il disposto dell'impugnato art. 4 della legge 30 dicembre 1986, n. 943, pur estendendo il diritto al ricongiungimento ai "cittadini", anzichè ai soli "lavoratori", extracomunitari legalmente residenti in Italia, e dettando una disciplina parzialmente diversa delle condizioni per il ricongiungimento con il coniuge e con i figli minori.

3.- L'eccezione di irrilevanza della questione, sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio, non merita accoglimento.

E' ben vero, infatti, che - come si é accennato - la situazione della ricorrente nel giudizio a quo é diversa da quella presa in considerazione dalla norma denunciata, e che lo stesso impugnato provvedimento di revoca del permesso di soggiorno non si identifica con un provvedimento di diniego del ricongiungimento, e non si fonda direttamente sull'art. 4, comma 1, della legge n. 943 del 1986, ma piuttosto sull'asserita erroneità, nella specie, di un permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato alla cittadina extracomunitaria non coniugata.

Ma é altrettanto vero che la situazione giuridica fatta valere dalla ricorrente nel giudizio dinanzi al TAR altro non é che quel "diritto al ricongiungimento" - visto ex parte dello straniero che intenda raggiungere nel territorio italiano il familiare ivi legalmente residente - che proprio e solo la norma impugnata contempla, ma appunto esclusivamente in capo al coniuge e ai figli minori dello straniero legalmente residente, non prevedendolo invece in capo al genitore di figlio minore a sua volta legalmente residente in Italia con l'altro genitore, al primo non coniugato ma con lui convivente more uxorio, nell'ambito dunque di una "famiglia di fatto".

In effetti il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, e dunque il diniego del titolo a permanere nel territorio nazionale, adottato a carico della ricorrente, é motivato dal fatto che essa "é nubile e non ha qui formato una famiglia, nè ci sono elementi per ritenere che intenda farlo in futuro"; é cioé motivato proprio in relazione alla differenza che sussiste tra coniuge e convivente more uxorio, prescindendo del tutto dalla presenza di figli minori che vivano o per i quali si chiede che possano vivere con entrambi i genitori, nell'ambito della stessa "famiglia di fatto".

Appare quindi sostanzialmente corretta la motivazione con cui il giudice a quo ha sostenuto la rilevanza della questione, con la quale si denuncia l'esistenza di una lacuna nella norma vigente sul diritto al ricongiungimento, e dunque al soggiorno nel territorio nazionale, dei congiunti dello straniero legalmente residente in Italia. Essendo il citato art. 4 della legge n. 943 del 1986 l'unica norma che disciplina tale diritto al ricongiungimento, é proprio ad esso che va riferita la censura di incompletezza.

Altre sono infatti le finalità e la ratio delle norme che prevedono il rilascio di permessi di soggiorno "per motivi di famiglia", come l'art. 2 del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416: il quale - come la Corte ha osservato nella sentenza n. 28 del 1995, proprio al fine di respingere una analoga eccezione di irrilevanza della questione allora sollevata - lascia alla discrezionalità dell'amministrazione l'apprezzamento della consistenza di tali motivi, e non collega la durata del permesso di soggiorno a quella del legale soggiorno del familiare rispetto a cui il ricongiungimento si opera (e anzi prevede che il permesso possa avere durata inferiore a due anni quando é concesso "per visite a familiari di primo grado": art. 2 cit., comma 4, secondo periodo).

Nella specie, ciò che viene in considerazione non sono, viceversa, i parametri normativi offerti dall'ordinamento per l'uso di tale potere discrezionale dell'amministrazione, ma un vero e proprio diritto fondamentale - in ipotesi illegittimamente disconosciuto - del genitore straniero di figlio minore legalmente residente in Italia con l'altro genitore, non legato al primo da vincolo matrimoniale, ad entrare e rimanere nel territorio nazionale al fine di poter realizzare e mantenere quella comunità di vita fra figli e genitori, che é appunto l'oggetto sostanziale del diritto invocato. Ed é in questa prospettiva che la Corte ritiene debba essere esaminata la questione sollevata.

4.- Nel merito, la questione é fondata.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la garanzia della "convivenza del nucleo familiare" si radica "nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell'ambito di questa, ai figli minori"; e che "il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sè, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell'unità della famiglia, sono (...) diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri", cui si riferisce l'art. 4 della legge n. 943 del 1986 (sentenza n. 28 del 1995).

Nella specie allora decisa, l'affermazione di questi principi (unitamente al richiamo al carattere generale del principio costituzionale di tutela del lavoro "in tutte le sue forme", di cui all'art. 35 Cost.) condusse la Corte ad interpretare l'art. 4 citato nel senso che il diritto al ricongiungimento con il figlio minore residente all'estero riguarda anche gli stranieri legalmente residenti che in Italia svolgano attività lavorativa nell'ambito della propria famiglia.

La presente questione riguarda un profilo in un certo senso simmetrico: é il genitore straniero di un figlio minore legalmente residente in Italia con l'altro genitore che invoca il diritto a ricongiungersi con il figlio.

In entrambi i casi, tuttavia, vengono in considerazione tanto il diritto fondamentale del minore a poter vivere, ove possibile, con entrambi i genitori, titolari del diritto-dovere di mantenerlo, istruirlo ed educarlo; quanto il conseguente diritto dei genitori a realizzare il ricongiungimento con il figlio.

Tali diritti sono violati da una disciplina normativa che, ai fini del ricongiungimento, ignora la situazione di coloro che, pur non essendo coniugati, siano titolari dei diritti-doveri derivanti dalla loro condizione di genitori.

La situazione, dunque, alla quale si collega il diritto al ricongiungimento familiare qui affermato non concerne il rapporto dei genitori fra di loro, bensì il rapporto tra i genitori e il figlio minore, in funzione della tutela costituzionale di quest'ultimo.

5.- La Corte ha già osservato che la legge può legittimamente sottoporre l'esercizio del diritto al ricongiungimento a condizioni volte ad assicurare "un corretto bilanciamento con altri valori dotati di pari tutela costituzionale" (sentenza n. 28 del 1995), e così alla condizione che sussista la possibilità di assicurare al familiare, con cui si opera il ricongiungimento, condizioni di vita che consentano un'esistenza libera e dignitosa. In tal senso, com'é noto, provvede proprio l'art. 4 della legge n. 943 del 1986, che subordina il diritto al ricongiungimento alla condizione che lo straniero residente legalmente in Italia sia in grado di assicurare al familiare "normali condizioni di vita". Nel caso in cui il ricongiungimento riguardi il genitore straniero di figlio minore legalmente residente in Italia, la medesima condizione potrà essere assolta sia attraverso le disponibilità economiche dell'altro genitore, sia attraverso le eventuali disponibilità economiche di cui possa godere il medesimo genitore straniero che chiede di ricongiungersi al figlio minore.

6. - Restano assorbiti gli altri profili della questione sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), nella parte in cui non prevede, a favore del genitore straniero extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia, semprechè possa godere di normali condizioni di vita, per ricongiungersi al figlio, considerato minore secondo la legislazione italiana, legalmente residente e convivente in Italia con l'altro genitore, ancorchè non unito al primo in matrimonio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.

Presidente: Renato Granata

Redattore: Valerio Onida

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1997.