ORDINANZA N. 199
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 12, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1996 dal Magistrato di sorveglianza di Firenze, nel procedimento di sorveglianza nei confronti di GONNELLA Giacomo, iscritta al n. 1232 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1996.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 1997 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, in un procedimento instaurato per la conversione di pena pecuniaria in detentiva, il Magistrato di sorveglianza di Firenze, con ordinanza del 10 giugno 1996, pervenuta a questa Corte il 14 ottobre 1996, ha sollevato, su istanza del condannato, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 47, comma 12, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), a tenore del quale l’esito positivo del periodo di affidamento in prova al servizio sociale "estingue la pena e ogni altro effetto penale", nella parte in cui esclude l’estinzione della pena pecuniaria;
che, ad avviso del remittente, la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo in quanto la decisione, intervenuta nel caso di specie, della Corte di cassazione, la quale ha annullato l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che dichiarava estinta, a seguito dell’esito positivo della prova, anche la pena pecuniaria inflitta al condannato, imporrebbe di procedere alla conversione della pena pecuniaria medesima, senza poter praticare una diversa interpretazione della norma denunciata che la adegui al dettato costituzionale;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la norma impugnata, interpretata nel senso che esclude l’estinzione della pena pecuniaria, contrasti col principio di ragionevolezza, in quanto l’esito positivo della prova attesta che il fine complessivo della pena é stato raggiunto, onde la permanenza della pena pecuniaria assolverebbe ad una funzione meramente afflittiva, priva di significato rieducativo, compromettendo altresì, per assicurare l’inderogabilità della pena, il principio per cui questa deve tendere alla rieducazione del condannato; e, nel caso di impossibilità di adempiere da parte del condannato, comporterebbe, a seguito della conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, limitazioni della libertà di movimento normalmente più afflittive di quelle connesse all’affidamento in prova;
che, sempre secondo il remittente, la stessa norma violerebbe il principio di eguaglianza e quello di personalità della responsabilità penale, di cui all’art. 27, primo comma, della Costituzione, per la diversità di conseguenze che si verificano in capo a chi, essendo in condizioni di estinguere col pagamento la pena pecuniaria, può evitarne la conversione, e a chi vi deve invece sottostare per una situazione oggettiva di insolvibilità a lui non imputabile;
che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
che l’Avvocatura erariale, richiamate le argomentazioni con le quali la Corte di cassazione ha seguito l’interpretazione dell’art. 47, comma 12, dell’ordinamento penitenziario ritenuta dal giudice remittente in contrasto con la Costituzione, osserva che é da ritenersi ragionevole che l’affidamento in prova, misura alternativa alla sola pena detentiva e non misura premiale che limiti la funzione della pena nel suo complesso, estingua soltanto la pena detentiva; che la presunta disparità di trattamento fra condannati che possono pagare e condannati che non possono pagare la pena pecuniaria sarebbe irrilevante perchè riguarderebbe non la norma impugnata, ma semmai la disciplina in tema di conversione della pena pecuniaria; che infine non sussiste la violazione del principio di rieducatività della pena, poichè esso riguarda sia la pena detentiva sia quella pecuniaria, sicchè l’espiazione della prima esaurisce la funzione rieducativa della sola componente detentiva della pena nel suo complesso.
Considerato che il Magistrato di sorveglianza remittente é chiamato a procedere, ai sensi degli artt. 660 e 678 del codice di procedura penale, alla conversione della pena pecuniaria "previo accertamento dell’effettiva insolvibilità del condannato", laddove la pronuncia sulla estinzione della pena a seguito dell’esito positivo del periodo di affidamento in prova spetta esclusivamente alla competenza del Tribunale di sorveglianza, a mente dell’art. 236, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale;
che il giudice a quo non é dunque chiamato, in tale sede, a fare applicazione della norma di cui all’art. 47, comma 12, dell’ordinamento penitenziario, che regola l’effetto estintivo della pena connesso all’esito positivo del periodo di prova, applicazione definitivamente operata, nella specie, con la sentenza della Corte di cassazione, menzionata dallo stesso remittente, che ha annullato senza rinvio l’ordinanza 28 dicembre 1994 del Tribunale di sorveglianza di Firenze limitatamente alla declaratoria di estinzione della pena pecuniaria: il remittente infatti si trova a dover provvedere non quale giudice di rinvio, vincolato al punto di diritto affermato dalla Corte di cassazione, nel procedimento relativo alla dichiarazione di estinzione della pena, bensì come preposto all’autonomo procedimento di conversione della pena pecuniaria in detentiva, di cui il primo procedimento, e il provvedimento che lo ha concluso, costituiscono solo presupposti;
che, pertanto, la questione si appalesa prima facie irrilevante, e va dunque dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 12, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Valerio ONIDA
Depositata in cancelleria il 24 giugno 1997.