Sentenza n. 79

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SENTENZA N. 79

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI  

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 46, sesto comma, legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), promosso con ordinanza emessa il 16 gennaio 1996 dal Tribunale di Asti, nel procedimento civile vertente tra Mortarotti Eliana ed altra e Cantamessa Sergio, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1996;

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

  1. -- Nel corso di un procedimento civile -- avente ad oggetto la risoluzione per inadempimento di un contratto di affittanza agraria ed il rilascio del fondo -- la sezione specializzata agraria del Tribunale di Asti, con ordinanza emessa il 16 gennaio 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 46, sesto comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), nella parte in cui consente al conduttore di sanare la morosità mediante il semplice pagamento dei canoni scaduti, rivalutati e con gli interessi legali, senza prevedere altresì il pagamento delle spese processuali.

  Premessa la rilevanza della questione nel giudizio a quo, stante l'avvenuta formulazione da parte del conduttore della richiesta di sanatoria -- la quale dovrebbe necessariamente essere accolta dal collegio, nella ritenuta impossibilità d'applicare in via analogica la disciplina sancita in tema di equo canone per gl'immobili urbani dall'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 --, osserva il rimettente come la mancata previsione dell'obbligo per il conduttore di offrire anche il pagamento delle spese legali sostenute dall'attore contrasti tanto con il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, quanto con quello del diritto alla difesa in giudizio.

  La norma censurata, infatti, rappresenta da un lato una remora all'instaurazione del giudizio per il proprietario che deve sopportare in ogni caso le spese legali, pur dopo il verificarsi della morosità e l'inutile esperimento del tentativo di conciliazione. Dall'altro lato, si traduce in un vantaggio eccessivo ed ingiustificato per il conduttore moroso, il quale, consapevole dell'inesistenza di un onere a suo carico, può astenersi dal rispettare il contratto con la certezza di essere chiamato unicamente al pagamento di quanto dovuto e degli accessori.

  Dalla compressione del diritto di difesa del proprietario, nell'ipotesi di inadempimento pur pervicace e ripetuto dell'affittuario, il rimettente configura altresì un contrasto con la tutela costituzionale della proprietà.

  2. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, dovendosi ritenere che rientri nel potere discrezionale del legislatore disciplinare l'istituto della sanatoria della morosità in modo diverso, a seconda degli interessi che intende tutelare. Così, nella specie -- in cui il termine deve essere concesso, contrariamente alle ipotesi di locazione degli immobili urbani (posto a comparazione), dove detto termine può essere concesso -- la più pregnante tutela accordata al conduttore appare giustificata dal fatto che questi viene normalmente a perdere, con il bene oggetto del contratto agrario, la principale se non l'unica fonte del suo sostentamento.

  Nè risulta ravvisabile quella situazione di grave compromissione del diritto di agire del proprietario -- il quale ben potrebbe richiedere al giudice di proseguire il giudizio per la liquidazione delle spese -- cui la Corte ha sempre fatto riferimento per affermare la violazione dell'art. 24 della Costituzione. Mentre, infine, l'asserita violazione del diritto di proprietà non avrebbe una sua autonomia nella prospettazione del rimettente, risolvendosi in una mera argomentazione svolta per supportare la dedotta lesione del diritto alla difesa.

Considerato in diritto

  1. -- La sezione specializzata agraria del Tribunale di Asti, in sede di giudizio di risoluzione per inadempimento di un contratto di affittanza agraria e di rilascio del fondo, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 46, sesto comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203, recante norme sui contratti agrari, nella parte in cui consente al conduttore di sanare la morosità mediante il semplice pagamento dei canoni scaduti, rivalutati e aumentati degli interessi legali, senza prevedere altresì il pagamento delle spese processuali.

  Secondo il collegio rimettente, la norma censurata contrasterebbe: a) con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per violazione del principio di uguaglianza, attesa la disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata, per le locazioni degli immobili urbani, dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978; b) con l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto la norma stessa porrebbe una remora all'instaurazione del giudizio da parte del proprietario, attribuendo contestualmente un vantaggio eccessivo ed ingiustificato al conduttore moroso, il quale, consapevole dell'inesistenza di ulteriori oneri a suo carico, può astenersi dal rispettare il contratto; c) con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione, poichè la lesione del diritto di difesa comprimerebbe altresì la tutela costituzionale della proprietà.

  2. -- La questione non é fondata.

  2.1. -- La norma denunciata riproduce la previsione contenuta nell'art. 4, ultimo comma, della legge 10 dicembre 1973, n. 814, che imponeva al giudice, nella "prima udienza, prima di assumere ogni altro provvedimento", di concedere all'affittuario convenuto in giudizio per morosità "un termine non inferiore a trenta giorni per il pagamento dei canoni scaduti".

  Peraltro, in una nuova prospettiva di maggiore tutela della posizione del proprietario del fondo, la ora vigente norma sancisce altresì che i canoni scaduti -- il cui pagamento determina la produzione dell'effetto sanante della morosità dedotta -- vengano rivalutati fin dall'origine, in base alle variazioni della lira secondo gli indici ISTAT, e maggiorati degli interessi di legge; ma tace ancora con riguardo alle spese processuali.

  2.1.1. -- Risulta d'immediata percezione la diversità strutturale di questo meccanismo processuale rispetto a quello predisposto dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978, relativamente alle locazioni degli immobili urbani. Tale ultima norma, infatti, non solo stabilisce il numero massimo di possibilità per il conduttore di sanare la morosità nel corso di un quadriennio, ma prevede la semplice facoltà, e non già l'obbligo, per il giudice di assegnare il termine di grazia, ponendo inoltre la condizione che esistano "comprovate difficoltà del conduttore"; e non contempla la rivalutazione delle somme, ma all'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori aggiunge gli interessi legali e le spese giudiziali liquidate nella stessa sede.

  Sotto il profilo teleologico, poi, é da osservare che il contratto agrario, organicamente disciplinato dalla legge n. 203 del 1982, si connota per la sua peculiare funzione economico-sociale (del tutto estranea ai contratti di locazione degli immobili urbani), intesa alla prioritaria salvaguardia della posizione dei coltivatori diretti, nella tendenziale valorizzazione dell'impresa agricola ed a garanzia di un'equa remunerazione del lavoro (cfr. sentenza n. 139 del 1984). Il genetico collegamento causale dello schema negoziale con lo svolgimento dell'impresa agricola si presenta, dunque, come ulteriore elemento di eterogeneità delle fattispecie poste a confronto dal giudice a quo, le quali in modo evidente risentono del diverso grado di bilanciamento degli interessi contrapposti dei soggetti coinvolti nelle due vicende contrattuali.

  La non simmetrica costruzione delle norme, lungi dal determinare la prospettata disparità di trattamento, trova allora la sua giustificazione nella diversità di ratio sottesa ai due strumenti procedimentali, che costituiscono sistemi in sè compiuti, affatto autonomi e diretti a regolare materie non omogenee. Il che spiega, del resto, perchè nella legge sui contratti agrari non sia stata mutuata la pur preesistente disciplina di cui al succitato art. 55 della legge n. 392 del 1978.

  Donde l'inconfigurabilità dell'asserita violazione del principio di uguaglianza.

  2.1.2. -- Quanto alla denunciata lesione del diritto di difesa dell'affittante, con contestuale compressione del suo diritto di proprietà (dovendosi ritenere tale ultima censura prospettata dal giudice a quo, non già in modo autonomo, bensì quale mera ricaduta della dedotta violazione del diritto di azione), va rilevato come la norma in esame si limiti a ricollegare al pagamento dei canoni scaduti, rivalutati e con gli interessi, la sanatoria della morosità dedotta in giudizio.

  Tale sanatoria, che riveste natura spiccatamente sostanziale, ha la sua incidenza nel processo, solo in quanto esclude che possa essere accolta la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento ex art. 5 della legge n. 203 del 1982, facendo venir meno la relativa causa petendi. Resta infatti fermo ogni altro effetto di carattere processuale della domanda stessa, e in particolare la responsabilità per le spese processuali sostenute dall'attore, il quale può comunque chiedere la condanna del convenuto ex art. 91 cod. proc. civ. instando affinchè venga emessa sentenza per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, attraverso la quale é dato appunto al giudice di provvedere al regolamento delle spese processuali fra le parti. E' appena il caso di ricordare, al riguardo, che proprio in ragione dell'applicabilità delle generali norme previste dal codice di procedura civile venne respinto, durante i lavori preparatori presso il Senato, un puntuale emendamento diretto ad inserire nella norma de qua, dopo le parole "maggiorati degli interessi di legge", le altre :"Alla suddetta somma sono aggiunte anche tutte le spese processuali e legali liquidate in tale sede dal giudice" (cfr. Atti parlamentari del Senato della Repubblica, VIII legislatura, 427^ seduta).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, sesto comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Asti, sezione specializzata agraria, con l'ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore.

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1997.