ORDINANZA N. 71
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 59 legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 9 febbraio 1996, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Pisa, nel procedimento penale a carico di Pasquini Annalia, iscritta al n. 395 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che, all'esito del giudizio con rito abbreviato nei confronti di persona imputata del delitto di oltraggio aggravato, il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Pisa, rilevato che la "modestia dell'episodio" e la "personalità dell'imputata" avrebbero reso più conforme alla finalità rieducativa della pena la sostituzione della pena detentiva irrogabile con la libertà controllata, ma che la detta sostituzione risultava preclusa dai precedenti penali della giudicabile, ha, con ordinanza del 9 febbraio 1996, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 59 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale pone limiti, derivanti dai precedenti penali dell'imputato, alla "facoltà di sostituire pene detentive brevi con sanzioni sostitutive";
che, sia sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto il profilo del perseguimento della funzione rieducativa della pena, il giudice a quo rileva come il regime delle esclusioni soggettive previsto dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981 aveva una sua indiscutibile giustificazione e si inseriva in un sistema rigorosamente coordinato alla disciplina delle norme dell'ordinamento penitenziario che stabilivano precise limitazioni alla possibilità di concedere l'affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà comunque subordinati ad un periodo di osservazione in carcere: un limite ormai scomparso dall'ordinamento potendo l'affidamento in prova essere concesso senza la preclusione derivante da limiti oggettivi e soggettivi e, quel che più importa, potendo tutte le misure alternative alla detenzione essere applicate direttamente dalla libertà attraverso la procedura prevista dall'art. 47, quarto comma, dell'ordinamento penitenziario;
che, dunque, di fronte al sistema attualmente vigente riguardo alla fase di esecuzione della pena i limiti soggettivi stabiliti dalla norma denunciata risultano davvero anacronistici oltre che irragionevoli e contrastanti con il principio della funzione rieducativa della pena, potendo - oltre tutto - il tribunale di sorveglianza, nei casi previsti dall'art. 59 della legge n. 689 del 1981, concedere al condannato l'affidamento in prova al servizio sociale o altra misura alternativa;
che la possibilità per il giudice della cognizione di applicare le sanzioni sostitutive a prescindere dalle preclusioni scaturenti dalla norma ora sottoposta al vaglio della Corte consentirebbe, da un lato, di adeguare la valenza antisociale del fatto alle effettive esigenze punitive ed alle concrete possibilità di reinserimento del reo e, dall'altro lato, di conformarsi alle prospettive di riforma che consentono al giudice della cognizione di disporre egli stesso le misure alternative alla detenzione sin dal momento della condanna;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata, in quanto le esclusioni soggettive all'applicazione delle sanzioni sostitutive corrispondono a criteri di evidente razionalità basandosi il regime previsto dall'art. 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981 sulla "lievità" del fatto globalmente considerato alla luce dei criteri di cui all'art. 133 del codice penale;
che, inoltre, l'ordinanza di rimessione perverrebbe ad una sorta di arbitraria assimilazione dei presupposti e delle condizioni per la sostituzione delle pene detentive brevi a quelli che l'ordinamento penitenziario prevede per l'applicazione delle misure alternative, così da "sovrapporre e confondere" i ruoli del giudice della cognizione e del giudice dell'esecuzione;
che, in conclusione, l'imposizione di condizioni soggettive alla sostituzione della pena detentiva corrisponde (al pari della previsione delle esclusioni oggettive) a criteri di logicità e rientra comunque nell'esercizio del potere discrezionale del legislatore senza trasmodare nell'irragionevolezza.
Considerato che, come risulta dal certificato del casellario giudiziale, richiamato dall'ordinanza di rimessione, l'impedimento alla concessione delle sanzioni sostitutive, non essendo l'imputata stata condannata più di due volte per delitti della stessa indole, non deriva dall'art. 59, secondo comma, numero 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689, ma dal primo comma dello stesso articolo che preclude la sostituzione della pena detentiva nei confronti "di coloro che, essendo stati condannati con una o più sentenze, a pena detentiva complessivamente superiore a due anni di reclusione, hanno commesso il reato nei cinque anni" dalla condanna precedente, così venendo in considerazione, ai fini della rilevanza, solo tale norma della legge n. 689 del 1981;
che la questione è, peraltro, manifestamente infondata perché, a parte la non corrispondenza tra la ratio alla base delle sanzioni sostitutive e quella alla base degli istituti di ordinamento penitenziario, la finalità perseguita con il regime delle esclusioni soggettive all'accesso alle sanzioni sostitutive risponde ad un'esigenza di prevenzione speciale che non può considerarsi né irrazionale né in contrasto con la finalità rieducativa della pena, basandosi la detta preclusione su una prognosi di meritevolezza del condannato e di specifica e concreta attitudine di costui a commettere reati, così da contemperare il reinserimento sociale alle esigenze di difesa sociale, nel quadro di un bilanciato apprezzamento comunque rientrante nell'ambito esclusivo della discrezionalità legislativa.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 59, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Pisa con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.
Giuliano VASSALLI, Presidente e redattore
Depositata in cancelleria il 28 marzo 1997.