Sentenza n. 44

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SENTENZA N. 44

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-         Dott. Renato GRANATA, Presidente

-         Prof. Cesare MIRABELLI

-         Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-         Avv. Massimo VARI

-         Dott. Cesare RUPERTO  

-         Dott. Riccardo CHIEPPA

-         Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-         Prof. Valerio ONIDA

-         Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-         Avv. Fernanda CONTRI

-         Prof. Guido NEPPI MODONA  

-         Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale) e dell'art. 9 (recte: 9-bis) del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promosso con ordinanza emessa il 31 ottobre 1995 dal Tribunale di Tempio Pausania, nel procedimento civile vertente tra Isoni Giovanni Battista ed altra e Murgia Salvatore, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 14, prima serie speciale dell'anno 1996;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un giudizio promosso per l'accertamento di una causa di incompatibilità a ricoprire la carica di Sindaco, nei confronti di un soggetto per il quale si assumeva sussistesse una situazione di lite pendente con il Comune, il Tribunale di Tempio Pausania, con ordinanza emessa il 31 ottobre 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, dell'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), "nella parte in cui non prevede l'estensione alla carica di Sindaco delle cause di incompatibilità ivi contemplate" per la carica, fra l'altro, di consigliere comunale, nonché dell'art. 9-bis (erroneamente indicato, nel dispositivo dell'ordinanza, come art. 9) del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), "nella parte in cui non prevede l'estensione della pronuncia di decadenza per incompatibilità dalla qualità di Sindaco".

Osserva il remittente che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), il Sindaco direttamente eletto, ancorché concorra a comporre il consiglio comunale, non riveste più la carica di consigliere comunale, onde non risulterebbe più applicabile il settimo comma dell'art. 9-bis del d.P.R. n. 570 del 1960, secondo cui la pronuncia della decadenza dalla carica di consigliere comunale produce di pieno diritto l'immediata decadenza dall'ufficio di Sindaco.

Risulta bensì tuttora applicabile -- prosegue il remittente -- l'art. 6 dello stesso d.P.R. n. 570 del 1960, secondo cui non può essere nominato Sindaco chi si trovi in uno dei casi di ineleggibilità alla carica di consigliere comunale previsti dalla legge; non si potrebbero invece più applicare le cause di incompatibilità previste per i consiglieri, cause che, avendo carattere tassativo in quanto limitative dell'esercizio del diritto ad accedere alle cariche elettive, sancito dall'art. 51 della Costituzione, non potrebbero estendersi a situazioni, come quella dell'ufficio di Sindaco, non espressamente contemplate.

Secondo il giudice a quo, peraltro, essendo la funzione di Sindaco "particolarmente rappresentativa, incisiva e determinante", non si comprenderebbe perché essa sia assoggettata a requisiti di imparzialità più limitati di quelli imposti ai consiglieri. La disciplina vigente sarebbe dunque in contrasto con il principio di cui all'art. 97 della Costituzione, poiché un Sindaco che versi in situazione di incompatibilità, discendente, come nella specie, dalla pendenza di una lite con il Comune, non garantirebbe il buon andamento e l'imparzialità della amministrazione.

In punto di rilevanza, il remittente osserva che le questioni proposte in giudizio circa la pendenza attuale della lite, la regolare costituzione di parte civile che avrebbe dato luogo a tale pendenza, e la fondatezza della domanda di accertamento della incompatibilità potrebbero essere esaminate solo dopo che sia stata risolta la questione della estensibilità al Sindaco delle cause di incompatibilità previste per i consiglieri comunali; mentre non sarebbe fondata l'eccezione proposta dal resistente in ordine alla regolarità della notifica.

2.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

L'Avvocatura osserva che la formulazione della legge n. 154 del 1981 va collegata alla vigenza del regime normativo precedente all'entrata in vigore della legge n. 81 del 1993, nel quale il Sindaco veniva eletto dal consiglio fra i propri componenti, e di conseguenza doveva avere i requisiti di eleggibilità e di compatibilità per essi previsti.

Peraltro -- prosegue l'interveniente -- nella legge n. 81 del 1993 non si rinviene alcuna disposizione che abroghi la previsione dei predetti requisiti per il Sindaco; l'art. 34 della legge, nell'abrogare espressamente una serie di norme contenute nel d.P.R. n. 570 del 1960, non ha inciso in alcun modo sulla disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità previste per le cariche elettive negli enti locali. Ciò significa, secondo l'Avvocatura, che in base all'interpretazione logico-sistematica non si può ravvisare alcun vuoto normativo.

Sul piano sostanziale, del resto, secondo l'interveniente, le cause di ineleggibilità e di incompatibilità, nel sistema previgente, pur riferite formalmente ai consiglieri comunali, sarebbero state poste essenzialmente a garanzia del buon andamento e dell'imparzialità nell'esercizio delle funzioni degli organi di governo degli enti locali; e tale esigenza non è venuta meno con l'introduzione dell'elezione diretta del Sindaco, cui anzi le stesse cause ostative dovrebbero ritenersi a maggior ragione applicabili, avendo egli la veste di principale responsabile della funzione di gestione dell'ente.

Infine l'Avvocatura osserva, per completezza, che in sede di formazione dei testi unici di riordino della materia, previsti dalle stesse fonti normative che hanno dato luogo alla questione di costituzionalità, potrà trovare una migliore definizione la disciplina delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità per il consigliere comunale e per il Sindaco.

Considerato in diritto

1.                      -- Nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione si indica come norma denunciata, oltre all'art. 3 della legge n. 154 del 1981, l'art. 9 del d.P.R. n. 570 del 1960 (che concerne la perdita della qualità di assessore verificandosi una delle incompatibilità previste dalla legge rispetto alla carica di consigliere). Ma dalla motivazione della medesima ordinanza risulta chiaro che tale indicazione è frutto di un errore materiale, mentre la disposizione che si è inteso denunciare è quella dell'art. 9-bis dello stesso decreto legislativo, ove si disciplina la decadenza dalla carica di consigliere comunale per il verificarsi, fra l'altro, di una causa di incompatibilità: disposizione, quest'ultima, espressamente citata nella motivazione come oggetto del dubbio di costituzionalità.

2.                      -- La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.

La premessa su cui si fonda l'ordinanza di rimessione è che, a seguito della nuova disciplina dettata dalla legge n. 81 del 1993 sulla elezione diretta del Sindaco, a quest'ultimo non si possano più applicare le disposizioni dell'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154, che prevedono le cause di incompatibilità con la carica di consigliere comunale. Mentre le cause di ineleggibilità a tale carica si estenderebbero al Sindaco, in forza del richiamo contenuto nell'art. 6, primo alinea, del t.u. 16 maggio 1960, n. 570, secondo cui non può essere nominato Sindaco chi si trova in uno dei casi di ineleggibilità a consigliere comunale previsti dalla legge, viceversa le cause di incompatibilità -- nella specie quella prevista, per chi abbia lite pendente con il Comune, dall'art. 3, numero 4, della legge n. 154 del 1981 -- non si estenderebbero al Sindaco, che non rivestirebbe più la carica di consigliere comunale: onde non troverebbe più applicazione nemmeno l'art. 9-bis, settimo comma, del d.P.R. n. 570 del 1960, che sancisce la decadenza dall'ufficio di Sindaco di colui nei cui confronti sia pronunciata la decadenza dalla qualità di consigliere comunale.

3. -- Tale premessa non appare però esatta. In base alla riforma recata dalla legge n. 81 del 1993, il Sindaco, eletto direttamente, non è più scelto sulla base della sua precedente investitura nella carica di consigliere comunale, come avveniva in forza dell'abrogato art. 5, primo comma, del t.u. n. 570 del 1960, ma è pur sempre membro del consiglio comunale, secondo l'art. 34, comma 1, della legge n. 142 del 1990 (nel testo risultante dalla novella recata dall'art. 16 della legge n. 81 del 1993), e come è ribadito dall'art. 1 della stessa legge n. 81 del 1993, secondo cui "il consiglio comunale è composto dal Sindaco" e da un numero di membri variabile secondo la popolazione del Comune. In tale qualità egli, anche quando non presiede il consiglio, come può accadere nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (art. 1, comma 2, della legge n. 81 del 1993), ha diritto di voto per le delibere consiliari, e viene computato ad ogni fine tra i componenti del consiglio stesso.

In tale quadro sistematico, non vi è difficoltà a ritenere che le cause di incompatibilità a suo tempo stabilite dalla legge per i consiglieri comunali (e che valevano ipso jure anche per i Sindaci quando questi erano eletti dai consigli nel proprio seno) -- la cui ratio consiste evidentemente nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del Comune o i quali comunque si trovino in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità -- valgano oggi anche per i Sindaci direttamente eletti, tuttora componenti dei consigli e come tali compartecipi a pieno titolo delle relative funzioni.

D'altra parte questa interpretazione è l'unica che consente di attribuire al contesto normativo un significato esente dal vizio di irragionevolezza che discenderebbe, come osserva lo stesso remittente, dal non considerare efficaci nei confronti proprio del Sindaco, rappresentante del Comune, le cause di incompatibilità che il legislatore del 1981 aveva ritenuto di dover stabilire nei confronti di tutti i componenti dei consigli comunali, i quali allora rivestivano tutti all'origine la carica di consigliere comunale, anche quando poi venivano eletti Sindaci o assessori; cause che successivamente il legislatore ha espressamente esteso agli assessori che possono essere scelti fuori dall'ambito dei consigli, ai quali non potrebbero applicarsi di per sé le incompatibilità sancite per i membri dei consigli medesimi (cfr. art. 33, commi 3 e 4, della legge n. 142 del 1990, come sostituito dall'art. 23 della legge n. 81 del 1993).

4.-- La disposizione dell'art. 9-bis, settimo comma, del testo unico n. 570 del 1960, secondo cui la pronuncia della decadenza dalla carica di consigliere comunale produce di pieno diritto la immediata decadenza dall'ufficio di Sindaco, e quella parallela dell'art. 9, che sancisce la perdita della qualità di assessore col verificarsi di una delle cause di incompatibilità contemplate dalla legge, avevano nel sistema preesistente alla riforma del 1993 il solo valore di disciplinare dal punto di vista del procedimento e della decorrenza la decadenza dalle cariche dei membri degli esecutivi comunali, non quello di estendere l'ambito di applicabilità di cause di ineleggibilità e di incompatibilità che riguardavano la carica di consigliere, e che si applicavano a Sindaci e assessori in quanto questi dovevano essere anche (e prima) consiglieri comunali. Oggi la disposizione dell'art. 9-bis, settimo comma, non fa che confermare la impossibilità di scindere, anche per il Sindaco direttamente eletto, la permanenza in detta carica dalla permanenza della qualità di componente del consiglio comunale, concorrendo quindi a rafforzare l'interpretazione qui proposta.

5.-- Non è di ostacolo, nei riguardi di quest'ultima, l'obiezione mossa dal giudice a quo, secondo cui, essendo le cause di incompatibilità limitative del diritto costituzionalmente garantito di accesso alle cariche elettive, esse hanno carattere tassativo e non potrebbero dunque estendersi a situazioni non espressamente disciplinate. Infatti non si tratta di applicare per analogia ai Sindaci le cause di incompatibilità stabilite per i consiglieri comunali, ma, ben diversamente, di interpretare ragionevolmente (sia pure in senso estensivo rispetto alla mera lettera delle disposizioni, riferita ai "consiglieri comunali") le norme che stabiliscono le cause di incompatibilità per i componenti del consiglio comunale, fra i quali si annovera, come si è visto, anche il Sindaco pur eletto direttamente.

6.-- Così ricostruito il sistema normativo, la questione di costituzionalità, proposta sulla base di una diversa interpretazione, si rivela priva di fondamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), e dell'art. 9-bis del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, dal Tribunale di Tempio Pausania con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1997

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1997