SENTENZA N. 14
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli artt. 38, come sostituito dall'art. 18 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, e 39 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), iscritto al n. 82 del registro referendum.
Vista l'ordinanza in data 26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997 il Giudice relatore Massimo Vari;
udito l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per i delegati dei Consigli regionali della Lombardia, del Piemonte, della Valle d'Aosta, della Calabria, del Veneto e della Puglia.
Ritenuto in fatto
1. -- L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata dai delegati dei Consigli regionali della Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Calabria, Veneto e Puglia, sul seguente quesito: <<Volete voi che siano abrogati l'articolo 38 e l'articolo 39 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421)?>>.
2. -- Con ordinanza in data 26-27 novembre 1996 l'Ufficio centrale per il referendum ha dichiarato la legittimità della richiesta, provvedendo ad integrare il quesito, in considerazione del fatto che l'originario art. 38 del decreto legislativo citato è stato sostituito dall'art. 18 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546. Pertanto, nella riformulazione operata dall'Ufficio centrale per il referendum, la richiesta è del seguente tenore: <<Volete voi che siano abrogati l'articolo 38, come sostituito dall'articolo 18 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, e l'articolo 39 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421)?>>.
3. -- Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente ha convocato la Corte in camera di consiglio per l'8 gennaio 1997, disponendone la comunicazione ai delegati dei Consigli regionali promotori della richiesta referendaria ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
4. -- Nell'imminenza della data fissata per la camera di consiglio i delegati dei Consigli regionali delle Regioni promotrici della richiesta referendaria hanno depositato una memoria nella quale, rammentato il ruolo di enti esponenziali delle rispettive collettività che spetta alle Regioni, si indica lo scopo del quesito referendario nella finalità di evitare le lungaggini derivanti dai "maxiconcorsi" accentrati presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, evidenziando in particolare che le disposizioni, di cui si chiede l'abrogazione, non costituiscono una forma obbligata di attuazione dell'art. 97 della Costituzione, il quale individua nel concorso solo la forma di accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni, senza, peraltro, stabilire le modalità attraverso le quali i concorsi debbono svolgersi.
Considerato in diritto
1.-- La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunziarsi, riguarda gli artt. 38 e 39 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
La prima disposizione, come sostituita dall'art. 18 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, sancisce, al comma 1, il principio del concorso unico nelle pubbliche amministrazioni, disponendo che queste ultime -- ad eccezione delle Regioni, delle amministrazioni, aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, degli enti locali, e loro consorzi, delle istituzioni universitarie e delle istituzioni ed enti di ricerca e di sperimentazione -- reclutano il personale ricorrendo alle graduatorie dei vincitori dei concorsi unici predisposte presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Dai successivi due commi della medesima disposizione è prevista, rispettivamente, la facoltà di stabilire, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ulteriori eccezioni al disposto del comma 1 e, per converso, la facoltà, per le amministrazioni non ricomprese nell'ambito di applicazione del medesimo comma 1, di ricorrere al sistema del concorso unico, previe intese anche ai fini della ripartizione degli oneri.
L'art. 39, a sua volta, nel disciplinare le modalità per lo svolgimento dei concorsi stessi e per l'assegnazione del personale, accentra le operazioni presso la medesima Presidenza del Consiglio, riservando a questa, sulla base delle comunicazioni delle amministrazioni, la fissazione del contingente dei posti da coprire, il bando di concorso e l'avvio delle relative procedure.
2.-- Ciò premesso, nessun dubbio sussiste circa l'ammissibilità del quesito in rapporto alle ipotesi ostative espressamente enunciate dall'art. 75, secondo comma, della Costituzione, posto che le disposizioni sulle quali si sollecita il responso popolare non sono strutturalmente o funzionalmente inscrivibili nel novero delle leggi tributarie o di bilancio, di amnistia o di indulto ovvero di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Il quesito referendario risponde, inoltre, al requisito della chiarezza. Dalla formulazione dello stesso si evince che esso verte sul mantenimento o meno delle attuali procedure concorsuali accentrate, restando, invece, non inciso il principio del concorso nelle pubbliche amministrazioni, in adempimento di quanto disposto dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione. Principio che, in caso di eventuale abrogazione delle disposizioni oggetto di referendum, potrà continuare a trovare attuazione nelle diverse modalità non toccate dal quesito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 38, come sostituito dall'art. 18 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546, e dell'art. 39 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), richiesta dichiarata legittima, con ordinanza in data 26-27 novembre 1996, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.