ORDINANZA N. 284
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1996 dal Pretore di Rovereto nel procedimento penale a carico di Smederevac Djordje ed altro, iscritta al n. 375 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 giugno 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
RITENUTO che il Pretore di Rovereto, con ordinanza del 22 febbraio 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a partecipare al giudizio abbreviato, derivante da giudizio direttissimo, del pretore che, all'esito del giudizio di convalida dell'arresto, abbia disposto una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
che, richiamando la sentenza n. 432 del 1995 di questa Corte, il giudice rimettente ravvisa nell'anzidetta ipotesi sia una violazione del principio di imparzialità del giudice chiamato a celebrare il giudizio, perché condizionato dalla prevenzione espressa in sede di applicazione della misura cautelare, disposta in base al medesimo materiale probatorio che il giudice è chiamato a valutare ai fini della decisione di merito, sia una lesione del principio di eguaglianza per la disparità che ne deriverebbe tra gli imputati giudicati da un giudice "prevenuto" e gli altri;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata per le considerazioni svolte in altro atto di intervento.
CONSIDERATO che la norma impugnata è già stata sottoposta all'esame di questa Corte, per il profilo ora in esame;
che, in particolare, con la sentenza n. 177 del 1996 è stata dichiarata non fondata analoga questione, sul rilievo che, nel giudizio direttissimo, al giudice competente per il merito sono devoluti sia la convalida e il contestuale giudizio sia la competenza a disporre ogni altro provvedimento cautelare nell'ambito del giudizio medesimo, e che in tale assetto non è configurabile una menomazione dell'imparzialità del giudice, chiamato semplicemente ad adottare decisioni preordinate al giudizio o incidentali rispetto ad esso;
che l'anzidetta decisione rappresenta, in rapporto al caso dedotto, una specificazione del più generale enunciato di questa Corte, secondo il quale, perché possa darsi una relazione tra distinte funzioni rilevante ai fini dell'insorgere dell'incompatibilità, occorre che esse appartengano a fasi diverse del processo, pena la frammentazione del procedimento con l'aberrante conseguenza di dover disporre, per ogni atto da compiere, di un giudice diverso dal precedente (sentenze nn. 155 e 131 del 1996; n. 448 del 1995; n. 124 del 1992);
che la variante della questione ora in esame, rappresentata dalla trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, non assume incidenza rispetto ai rilievi svolti, perché questi concernono i presupposti dell'incompatibilità del giudice alla funzione del "giudizio", cioè alla valutazione conclusiva sul merito dell'accusa, indipendentemente dalla particolare tipologia del rito (ordinario; abbreviato; direttissimo; di applicazione della pena concordata) nel quale detta valutazione viene effettuata;
che pertanto, in base alle osservazioni esposte, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Rovereto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.