Sentenza n. 240 del 1996

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SENTENZA N. 240

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), promosso con ordinanze emesse:

1) il 5 maggio 1995 dal Pretore di Verona nel procedimento civile vertente tra Legnago Fabio ed altri e l'INPS ed altro, iscritta al n. 466 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1995;

2) il 7 novembre 1995 dal Pretore di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Bucchioni Sabrina ed altre e l'INPS, iscritta al n. 946 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di costituzione di Legnago Fabio, di Bucchioni Sabrina ed altre e dell'INPS, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Massimo D'Antona per Legnago Fabio, Antonio Todaro per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1.-- Nel corso del procedimento instaurato da Fabio Legnago ed altri ex dipendenti del Calzaturificio Garnieri s.r.l., dichiarato fallito con sentenza 14 ottobre 1988, contro la Presidenza del Consiglio dei ministri e l'INPS per ottenere il risarcimento del danno previsto dall'art.2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, il Pretore di Verona, con ordinanza del 5 maggio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1 (richiamato dal comma 7), del citato d.lgs. n. 80 del 1992, nella parte in cui (lettera c) fissa il periodo di riferimento della garanzia di pagamento delle retribuzioni inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto in dodici mesi dalla cessazione del rapporto, anziché in diciotto mesi come prescritto dall'art. 4, paragrafo 2, terzo trattino, della direttiva CEE 20 ottobre 1980, n. 80/987, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Il contrasto con la norma comunitaria è denunciato dal giudice rimettente in termini di contrarietà a un princi- pio direttivo della delega legislativa prevista dall'art. 1 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, secondo cui il legislatore delegato dovrà assicurare in ogni caso la piena conformità dei decreti legislativi alle prescrizioni delle direttive comunitarie da attuare (art. 2, lett. f).

1.2.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituiti i ricorrenti chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. Non v'è alcun contrasto tra norma delegata e legge di delega, posto che la prima riproduce esattamente il criterio specificamente dettato dall'art. 48, lett. a), n. 2, della legge n. 428 del 1990. Perciò, secondo l'interpretazione dei ricorrenti, il giudice avrebbe dovuto disapplicare la norma di diritto interno, e applicare direttamente la norma comunitaria.

In subordine si chiede a questa Corte di investire della questione interpretativa degli artt. 3 e 4 della direttiva n. 80/987 la Corte di giustizia dell'Unione europea.

1.3.-- Si è costituito pure l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Inammissibile sia perché non motivata sul punto dell'opzione effettuata dal legislatore italiano fra le tre alternative previste dall'art. 3 della direttiva comunitaria, sia per erronea identificazione della norma impugnata, applicabile nel giudizio a quo essendo il comma 7, non il comma 1 dell'art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992.

Infondata perché, come si argomenta tra l'altro dall'estensione della garanzia del Fondo alla retribuzione degli ultimi tre mesi, l'opzione del legislatore italiano è caduta sulla prima delle dette alternative relative al dies a quo del periodo di riferimento della garanzia, sicché la fissazione di tale periodo in dodici mesi è perfettamente consona con l'art. 4 della direttiva.

A queste deduzioni dell'Istituto hanno replicato i ricorrenti con note aggiunte, depositate in prossimità dell'udienza di discussione.

1.4.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per una dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza della questione con argomenti analoghi a quelli prospettati dall'INPS.

2.1.-- Nel corso di un analogo giudizio promosso da Sabrina Bucchioni ed altre dipendenti della Top Fashion s.n.c., dichiarata fallita con sentenza in data 21 gennaio 1993, il Pretore di La Spezia, con ordinanza del 7 novembre 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80.

Il giudice rimettente, diversamente dal Pretore di Verona, ritiene che la scelta del legislatore italiano sia imperniata sul primo dei criteri indicati nell'art. 3 della direttiva comunitaria citata, e quindi non ravvisa alcun contrasto della normativa interna di attuazione della direttiva col diritto comunitario.

Tuttavia egli impugna tale normativa per violazione degli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, motivando però solo in relazione all'art. 3. A suo avviso la soluzione legislativa, pur conforme alla direttiva, in quanto individua il dies a quo nella data della sentenza dichiarativa di fallimento, "nell'ordinamento italiano comporta sperequazioni nell'individuazione dei destinatari dell'intervento pubblico non razionalmente giustificabili, ma determinate esclusivamente dalla maggiore o minore celerità con la quale il tribunale svolge la fase preliminare alla sentenza dichiarativa di fallimento".

2.2.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituite le ricorrenti concludendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata, pur insistendo nella tesi interpretativa, respinta dal giudice rimettemte, che individua il dies a quo del computo (a ritroso) dei dodici mesi nella data dell'iscrizione a ruolo dell'istanza di fallimento e del conseguente provvedimento di nomina del giudice delegato all'audizione del debitore.

2.3.-- Si è costituito pure l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

L'Istituto osserva che il termine di decorrenza del periodo di riferimento della garanzia del Fondo non può essere che la data di un provvedimento dell'autorità preposta all'accertamento dell'insolvenza, non un atto di parte, quale l'istanza di fallimento, che oltre a tutto può mancare, atteso che il tribunale può provvedere anche d'ufficio. Ne consegue l' irrilevanza, ai fini dell'art. 3 Cost., dell'argomento tratto dal dato di fatto della varia durata della fase preliminare all'apertura del provvedimento di liquidazione concorsuale del patrimonio del debitore.

2.4.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per irrilevanza o comunque infondata. L'irrilevanza è dedotta sul riflesso che dalla cessazione dei rapporti di lavoro delle ricorrenti sarebbe trascorso un anno già alla data dell'iscrizione a ruolo della prima istanza di fallimento; l'infondatezza è sostenuta con argomenti sostanzialmente analoghi a quelli dell'INPS.

Considerato in diritto

1.-- I Pretori di Verona e La Spezia hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente:

a) in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dell'art. 2, comma 1 (richiamato dal comma 7), del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, nella parte in cui (lettera c) fissa il periodo di riferimento della garanzia di pagamento delle retribuzioni inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro in dodici mesi dalla cessazione del rapporto, anziché in diciotto mesi come prescritto dall'art. 4, paragrafo 2, terzo trattino, della direttiva CEE 20 ottobre 1980, n. 80/987, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.;

b) in riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione, dell'art. 2, comma 1, lettera a), del medesimo decreto legislativo, in quanto individua il dies a quo per il computo del detto periodo di riferimento nella data della sentenza dichiarativa di fallimento, anziché in un momento più congruo ad evitare sperequazioni nella determinazione dell'ambito soggettivo della tutela.

2.-- La prima questione non è fondata.

Il giudice rimettente interpreta l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1992 nel senso che, fra le tre alternative proposte dall'art. 3 della direttiva CEE n. 80/987 in ordine al dies a quo di computo (a ritroso) del periodo di riferimento della garanzia dei crediti di lavoro in caso di insolvenza del datore, la norma impugnata avrebbe scelto la terza tenendo ferma tuttavia la durata del periodo in dodici mesi, mentre l'art. 4, paragrafo 2, terzo trattino, della direttiva comunitaria prevede in questo caso un periodo di riferimento di diciotto mesi.

Sarebbe violato così l'art. 76 Cost., in relazione alla direttiva dell'art. 2, lett. f), della legge di delega legislativa 29 dicembre 1990, n. 428, secondo cui il Governo deve assicurare in ogni caso che nelle materie trattate dalle direttive comunitarie da attuare (tra cui la direttiva n. 80/987 citata), la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime.

In realtà l'art. 2, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 80 del 1992 è conforme al criterio specifico stabilito dall'art. 48, comma 1, della legge delega, il quale prevede che il periodo di riferimento di dodici mesi sia computato o dal provvedimento che determina l'apertura di una delle procedure previste in caso di insolvenza del datore di lavoro oppure dalla data del provvedimento di messa in liquidazione dell'impresa o di cessazione dell'esercizio provvisorio, per i lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa.

Poiché è stata prospettata esclusivamente in riferimento al parametro dell'art. 76 Cost., la questione va dichiarata non fondata.

3.-- La seconda questione è infondata in riferimento all'art. 3 Cost., inammissibile, per difetto di motivazione, in riferimento agli artt. 2 e 97 Cost.

Il giudice rimettente ritiene che il computo del periodo di riferimento della garanzia dalla data della sentenza di fallimento determini disparità di trattamento tra i lavoratori, lesive dell'art. 3 Cost., in ragione della maggiore o minore durata della fase preliminare all'apertura della procedura concorsuale. Ma si tratta di disparità dipendenti da circostanze meramente di fatto, irrilevanti ai fini del principio di eguaglianza, mentre non può dirsi irrazionale la scelta del legislatore di legare il dies a quo del computo alla data del provvedimento dichiarativo dell'insolvenza, anziché (come parrebbe preferire il giudice a quo) all'atto (di parte o d'ufficio) introduttivo della fase preliminare diretta all'accertamento del presupposto per l'apertura della procedura.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), sollevata in riferimento, rispettivamente, agli artt. 76 e 3 della Costituzione, dai Pretori di Verona e La Spezia con le ordinanze in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 97 della Costituzione, dal Pretore di La Spezia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1996.