SENTENZA N. 225
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto, lettera a), della legge 7 agosto 1982, n. 516, come modificato dalla legge 15 maggio 1991, n. 151 promosso con ordinanza emessa il 27 settembre 1995 dal Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Marangoni Fabrizio, iscritta al n. 853 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 maggio 1996 il Giudice relatore Renato Granata.
Ritenuto in fatto
1. -- In un giudizio penale a carico di un amministratore di società chiamato a rispondere della contravvenzione di cui all'art. 1, secondo comma, lettere a) e b) della legge 7 agosto 1982, n. 516, per omessa annotazione di ricavi nelle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, il Tribunale di Verona procedente - rilevato che dalla ispezione della Guardia di finanza era risultato che il contribuente "aveva comunque conservato tutta la documentazione relativa alle operazioni commerciali attive e passive" per cui ricorreva nei suoi confronti la prima delle tre condizioni (possesso di documentazione alternativa alle scritturazioni omesse) per l'applicazione dell'esimente di cui al comma quarto, lettera a), del medesimo art. 1 della legge n. 516 del 1982, mentre le altre due condizioni, ivi a tal fine pure prescritte (inclusione dei corrispettivi non annotati nella dichiarazione dei redditi e versamento della correlativa imposta), "non potevano de iure sussistere per la casuale circostanza dell'intervenuto accertamento fiscale in epoca anteriore a quella prevista per il loro assolvimento"; e considerato, altresì, che la norma di favore non poteva essere, a suo avviso, correttivamente interpretata nel senso della sufficienza del primo requisito nell'ipotesi considerata - ha ritenuto di conseguenza rilevante, e non manifestamente infondata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per cui ha sollevato, con ordinanza del 27 settembre 1995, questione incidentale di legittimità costituzionale del predetto art. 1, comma quarto, lettera a) della legge n. 516 del 1982 (nel testo modificato dalla legge n. 151 del 1991), nella parte in cui non consente al contribuente di fruire della riferita esimente, pur in presenza di annotazioni alternative, in caso di accertamento dell'infrazione prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi e del versamento d'imposta.
Deriverebbe infatti - ad avviso del Tribunale - dalla norma così censurata una "macroscopica ed irragionevole disparità di trattamento in danno del contribuente nei cui confronti venga operato un accertamento della Guardia di finanza prima della scadenza del suddetto termine annuale rispetto al contribuente nei cui confronti la verifica intervenga invece successivamente: il primo, non potendo fruire dell'esimente, si vedrebbe colpito da sanzione penale, alla quale sfuggirebbe il secondo, essendo questi in grado di esibire la dichiarazione e la prova dell'avvenuto versamento, e ciò in base ad una circostanza di fatto del tutto casuale (epoca della verifica)". Per cui appunto "identiche situazioni, conseguenti ad identiche condotte, subirebbero trattamenti processuali differenziati in dipendenza dell'essere un accertamento casualmente avvenuto in una data piuttosto che in un'altra".
2. -- Nel giudizio innanzi alla Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza della questione, in quanto basata su una non corretta interpretazione della norma denunciata.
Considerato in diritto
1. -- Con riguardo alle fattispecie di reato omissivo previste dal comma secondo lettere a) e b), dell'art. 1 della legge 7 agosto 1982, n. 516 [omessa annotazione e/o fatturazione di cessione di beni o prestazione di servizi nelle scritture contabili obbligatorie ai fini, rispettivamente, delle imposte sui redditi e dell'IVA], il successivo comma quarto della stessa norma (come modificato dall'art. 1 del decreto-legge 16 marzo 1991, n, 83 convertito in legge 15 maggio 1991, n. 151) testualmente dispone, sub lettera a), che "... non si considerano omesse le annotazioni e le fatturazioni di corrispettivi purché ... le annotazioni siano state effettuate in talune delle scritture contabili indicate nel comma 6 [libro giornale; libro degli inventari; registro delle fatture ...] o i dati delle operazioni risultino da documenti la cui emissione e conservazione è obbligatoria a norma di legge e i corrispettivi non annotati o non fatturati [nelle scritture di cui al comma 2] risultino altresì compresi nella relativa dichiarazione annuale e sia versata l'imposta globalmente dovuta". Ed aggiunge: "le annotazioni devono essere effettuate o i documenti devono essere emessi prima che la violazione sia stata constata e che siano iniziate ispezioni o verifiche".
2. -- Il Tribunale di Verona dubita - come in narrativa detto - della legittimità di tale norma, e ne prospetta il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparità di trattamento che, a suo avviso, ne deriverebbe "in danno dei contribuenti nei cui confronti sia stato effettuato accertamento fiscale, ispezione o verifica prima del termine per la dichiarazione dei redditi ed il versamento d'imposta", i quali solo "per tale casuale circostanza", ove pur in possesso di documentazione alternativa alle annotazioni fiscali omesse, si troverebbero nell'impossibilità, comunque, di avvalersi dell'esimente di cui sopra.
3. -- La questione è infondata per la erroneità della premessa da cui muove.
3.1. -- Nella presupposta lettura della norma denunciata, il giudice a quo dà, infatti, per scontato che l'intervento degli organi accertatori determini la paralisi della causa di non punibilità, non consentendo al contribuente di poter più utilmente, a quei fini, invocare la successiva fedele dichiarazione dei redditi e l'esatto pagamento del tributo.
E da ciò inferisce la violazione del precetto dell'eguaglianza, per la "casualità", appunto, della circostanza suscettibile in tal guisa di precludere al contribuente l'integrale realizzazione della fattispecie giustificativa.
3.2. -- Una tale esegesi è però arbitraria, non trovando riscontro né nella lettera né nella ratio legis.
L'autorità rimettente trascura infatti in primo luogo di considerare che la condizione di anteriorità, all'accertamento degli organi ispettivi, è espressamente ed inequivocabilmente riferita - nel (sopra trascritto) periodo finale del comma quarto dell'articolo citato - alla sola predisposizione della documentazione sostitutiva (di quella fiscalmente obbligatoria) e non anche agli altri due elementi - della fedele dichiarazione dei cespiti e dell'esatto pagamento del tributo - che concorrono a definire il quadro dei presupposti dell'esimente in parola.
Per cui già in base al solo canone della interpretazione letterale è dato evincere dalla predetta disposizione come il contribuente, in possesso di quella alternativa documentazione all'atto della ispezione fiscale, ben possa - contrariamente all'assunto del Tribunale - avvalersi comunque della esimente ove ne completi in prosieguo le condizioni applicative, con la puntuale dichiarazione dei cespiti e l'integrale pagamento del tributo, alle prescritte scadenze.
3.3. -- Anche la considerazione della ratio legis conduce all'identico risultato ermeneutico.
Le cause di giustificazione od esimenti (tra cui quella sub lettera a) previste nel comma quarto dell'art. 1 della legge n. 516 del 1982 rispondono infatti ad una logica premiale nei confronti del contribuente che, recedendo dall'iter criminis (avviato con l'omessa annotazione di corrispettivi nelle scritture contabili obbligatorie ai fini fiscali), faccia spontaneamente comunque emergere l'irregolarità.
Ed in questa prospettiva resta evidentemente fermo il valore esimente di condotte che, all'atto dell'accertamento, si presentino appunto orientate in direzione dell'interruzione della progressione criminosa, mentre coerentemente la valenza impeditiva dell'azione accertatrice si dispiega quando, in carenza della suddetta documentazione alternativa, l'omissione della infrazione tributaria unicamente dipende dall'attività ispettiva dell'amministrazione.
3.4. -- Diversamente - nella successiva ipotesi esimente sub lettera b) del medesimo comma quarto dell'art. 1 della legge n. 516 del 1982, invocabile dal contribuente, non in possesso di documenti sostitutivi, che abbia comunque fedelmente dichiarato i propri cespiti e versato la correlativa imposta - è bensì richiesta l'anteriorità, di tali dichiarazione e versamento, rispetto all'eventuale accertamento fiscale, ma ciò proprio in quanto, in mancanza di ogni annotazione anche irrituale dei corrispettivi percepiti, non potrebbe, in tal caso, altrimenti evidenziarsi quel ravvedimento spontaneo ed attivo che costituisce il fondamento e l'obiettivo della disposizione premiale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma quarto, lettera a), della legge 7 agosto 1982, n. 516 nel testo modificato dalla legge 15 maggio 1991, n. 151, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Verona, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1996.