SENTENZA N.95
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 430 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1995 dal Tribunale di Alba nel procedimento penale a carico di Sandri Carlo, iscritta al n. 464 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1996 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. -- Il Tribunale di Alba ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 430 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni rese da testimoni avanti al pubblico ministero nella fase dell'attività integrativa di indagine compiuta dopo l'udienza preliminare possano essere utilizzate per le contestazioni ai sensi dell'art. 500 del codice di procedura penale".
2. -- Premette il giudice a quo che nel corso dell'udienza dibattimentale il pubblico ministero si è avvalso, ai fini delle contestazioni ex art. 500 del codice di procedura penale, delle dichiarazioni rese da alcuni testi in fase di attività integrativa di indagine, ai sensi dell'art. 430 del codice di procedura penale; attività svolta nelle more tra il rinvio a giudizio e l'udienza dibattimentale, e della quale è stato dato avviso ai difensori delle parti, ai sensi dell'art. 18 del regolamento per l'esecuzione del codice di procedura penale.
La difesa dell'imputato ha eccepito l'inutilizzabilità di dette dichiarazioni ai fini previsti dall'art. 500 del codice di procedura penale, in quanto la norma impugnata consente l'utilizzo dell'attività di indagine solo ai fini delle richieste di ammissione delle prove in dibattimento.
Diversamente ragionando si consentirebbe al pubblico ministero di avvalersi di prove non conosciute dall'imputato al momento dell'udienza preliminare, con conseguente impossibilità di tenerne conto ai fini dell'accesso ai riti alternativi, con particolare riferimento al giudizio abbreviato.
3. -- L'art. 500 del codice di procedura penale -- rileva il tribunale -- così come modificato dalla legge n. 356 del 1992, consente alle parti di avvalersi, ai fini delle contestazioni, delle dichiarazioni rese dal teste durante le indagini preliminari, le quali, ai sensi del quarto e del quinto comma della norma, possono assumere anche efficacia probatoria. Tale previsione si fonda sul rilievo che è preminente, nel giudizio, l'interesse all'accertamento della verità "nel rispetto del diritto dello Stato all'effettivo esercizio dell'azione penale sancito dall'art. 24, primo comma, della Costituzione" e del diritto di difesa (quando le contestazioni siano mosse dalle parti private) sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Ai fini del perseguimento di tali interessi, il caso delle contestazioni mosse ad un teste sulla base di dichiarazioni da questi rese nel corso delle indagini preliminari, non è differente, a giudizio del Tribunale rimettente, dal caso in cui dette dichiarazioni siano state rese nel corso dell'attività integrativa di indagine.
Escludere la possibilità di utilizzare dette dichiarazioni ai fini delle contestazioni, significherebbe, quindi, privare il giudice di possibili fondamentali elementi di conoscenza della verità ed impedire più approfondite valutazioni in ordine all'attendibilità del teste.
In contrario avviso, inoltre, non può essere addotto che ammettere le contestazioni fondate sull'attività integrativa di indagine significherebbe consentire al pubblico ministero un'indebita estensione dei suoi poteri d'indagine, con violazione dei limiti temporali previsti per tale attività; né che in tal modo il pubblico ministero potrebbe sottrarsi alla discovery svolgendo artatamente attività di indagine dopo l'udienza preliminare.
Tali argomenti non tengono conto che è la stessa legge a consentire al pubblico ministero di indagare anche dopo l'udienza preliminare, e che esso è organo di giustizia tenuto a rispettare la legge e quindi a svolgere ogni attività istruttoria nei tempi e nei modi che consentano il sostanziale e integrale rispetto delle garanzie di difesa.
4. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
Rileva, detta difesa, che l'attività integrativa di indagine è del tutto eccezionale, tanto che è consentita al pubblico ministero ove non debbano compiersi atti per i quali è prevista la partecipazione dell'imputato o del suo difensore.
Ciò in quanto detta attività interrompe il normale nesso di continuità tra l'udienza preliminare e il dibattimento, ed introduce nel processo fatti nuovi che, se tempestivamente conosciuti, avrebbero potuto orientare diversamente l'attività di difesa ed indurre l'imputato a chiedere l'accesso ai riti alternativi.
Pertanto, ad avviso dell'Avvocatura, detto eccezionale strumento, per risultare legittimo, deve essere contenuto entro limiti ristretti e non può equivalere, in tutto e per tutto, all' attività svolta prima dell'udienza preliminare.
Le situazioni raffrontate sono assai dissimili, sicché le dichiarazioni rese durante l'attività integrativa di indagine sono utilizzabili limitatamente ai fini della formulazione delle richieste del pubblico ministero al giudice del dibattimento, non evincendosi, quindi, alcun contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
In conclusione, l'Avvocatura ritiene che l'ultrattività del potere di indagine, eccezionalmente prevista a favore del pubblico ministero nell'interesse dello Stato alla repressione dei reati, sia stata opportunamente bilanciata limitando l'utilizzazione degli atti compiuti, in modo da assicurare il rispetto del contrapposto diritto di difesa dell'imputato, sì da ritenersi pienamente rispettato l'art. 24 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. -- Il Tribunale di Alba, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 430 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni rese da testimoni avanti al pubblico ministero nella fase dell'attività integrativa di indagine compiuta dopo l'udienza preliminare possano essere utilizzate per le contestazioni ai sensi dell'art. 500 del codice di procedura penale".
2. -- In sintesi, il giudice remittente ritiene che la norma impugnata -- in quanto non prevede l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese al pubblico ministero, in sede di attività integrativa di indagine, ai fini delle contestazioni ex art. 500, ma solo ai fini delle richieste di prova al giudice del dibattimento -- contrasti con l'art. 3 della Costituzione per il difforme trattamento, in ordine all'utilizzabilità ai fini delle contestazioni, dell'attività d'indagine compiuta dal pubblico ministero prima e dopo l'udienza preliminare, nonché con l'art. 24 della Costituzione per quanto "impinge al diritto di difesa dello Stato" e al diritto di difesa delle parti private.
3. -- La questione non è fondata.
Le argomentazioni del giudice a quo hanno origine da un'errata lettura dell'art. 430 del codice di procedura penale, in combinato disposto con gli articoli 433, comma 3, e 500 dello stesso codice.
Va, innanzitutto, chiarito che l'art. 430, nel prevedere che l' attività integrativa di indagine sia finalizzata alla formulazione delle richieste di prova al giudice del dibattimento, impone al pubblico ministero di rendere disponibile la documentazione così raccolta ai difensori delle parti, i quali possono anch'essi, sulla medesima base, formulare proprie richieste.
Requisito essenziale, affinché i verbali di tale attività siano poi utilizzabili ai fini delle contestazioni è, secondo la disposizione letterale del comma 1 dell'art. 500, che essi siano contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi che le altre parti siano state messe in condizione di prenderne visione e di estrarne copia, in modo da poter formulare anch'esse, al pari del pubblico ministero, contestazioni fondate sugli stessi atti.
Una volta, quindi, che ai sensi dell'art. 433, comma 3, in quel fascicolo sia stata introdotta la documentazione relativa agli atti integrativi d'indagine, nessuna norma autorizza a distinguere il regime di utilizzabilità di detti atti da quello previsto in via generale, dal cit. art. 500, per tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.
La soluzione, così come prospettata dal remittente, è, quindi, già positivamente prevista e disciplinata nelle disposizioni citate, la cui lettura in questo senso è, del resto, confermata dall'orientamento della Corte di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 430 del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Alba con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 aprile 1996.