ORDINANZA N.90
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio sull'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dal dott. Enzo Costanzo, magistrato di cassazione con funzioni di consigliere pretore dirigente della sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma, nei confronti del Consiglio superiore della magistratura, sorto a seguito delle circolari emanate dal Consiglio superiore della magistratura relative alla formazione delle tabelle di composizione biennale degli uffici giudiziari per il 1992-1993 e per il 1994-1995 nonché della delibera adottata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 23 settembre 1993 relativa ai criteri di assegnazione degli affari presso la sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma, depositato il 10 luglio 1995 ed iscritto al n. 58 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
RITENUTO che, con ricorso depositato il 10 luglio 1995, il dott. Enzo Costanzo, magistrato di cassazione con funzioni di consigliere pretore dirigente della sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio superiore della magistratura, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta al Consiglio il potere di indicare, approvando le tabelle degli uffici giudiziari, i criteri per l'assegnazione degli affari civili, che l'ordinamento giudiziario attribuisce alla competenza dei magistrati con funzioni direttive; di conseguenza che la Corte annulli: a) le circolari emanate dal Consiglio superiore della magistratura il 19 luglio 1991 (prot. p-91-12046) ed il 22 settembre 1993 (prot. p-93-11611), relative alla formazione delle tabelle di composizione biennale degli uffici giudiziari per il 1992-1993 e per il 1994-1995, nella parte in cui esse determinano anche i criteri per l'assegnazione degli affari ai singoli giudici nell'ambito di ogni sezione; b) la delibera adottata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 23 settembre 1993, comunicata con nota del 27 settembre successivo (prot. p-93-11934), relativa ai criteri di assegnazione degli affari presso la sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma;
che il ricorrente ritiene di essere legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, quale consigliere dirigente titolare del potere di assegnare gli affari tra i magistrati della sezione dell'ufficio giudiziario da lui presieduta. Il ricorrente considera questa attribuzione garantita dagli artt. 107, terzo comma, 104, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, in quanto strettamente collegata alla funzione giurisdizionale, ed assume che essa sia stata violata dal Consiglio superiore della magistratura che, nell'approvare le tabelle di composizione degli uffici giudiziari, ha stabilito che gli affari debbono essere assegnati a ciascun magistrato per la trattazione dei singoli procedimenti con criterio automatico, ammettendo deroghe a questo principio in casi particolari e con adeguata motivazione del dirigente dell'ufficio;
che, ad avviso del ricorrente, il Consiglio superiore della magistratura avrebbe esteso al settore civile, con una illegittima applicazione analogica, il criterio di assegnazione degli affari tra giudici fissato, per il settore penale, dall'art. 7-ter del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, aggiunto dall'art. 4 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, ledendo così la riserva di legge stabilita dall'art. 108, primo comma, della Costituzione e violando le norme ordinamentali (art. 38 del regio decreto n. 12 del 1941) e processuali (artt. 168-bis e 669-ter cod. proc. civ.), che attribuiscono al titolare dell'ufficio direttivo la competenza a designare il giudice cui è affidata la trattazione dei singoli procedimenti. Secondo il ricorrente, il Consiglio superiore della magistratura sarebbe competente solo a deliberare, su proposta dei presidenti di corte d'appello e sentiti i consigli giudiziari, la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, a designare i magistrati che le compongono, ad individuare le sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, penali o le controversie in materia di lavoro, mentre rimarrebbe attribuita alla competenza del dirigente di ciascuna sezione la funzione di designare il magistrato incaricato di trattare ogni singolo procedimento, designazione che deve tenere conto delle esigenze di servizio, senza che possa operare l'assegnazione automatica;
che il ricorrente chiede, in via subordinata, che sia disposto l'intervento in giudizio del Ministro di grazia e giustizia, perché possa esplicare le sue rivendicazioni in ordine all'organizzazione dei servizi giudiziari;
che il 16 marzo 1996 il ricorrente ha depositato una dichiarazione di rinuncia agli atti del giudizio, e non già alla pretesa, ritenendo parzialmente priva di interesse una pronuncia favorevole in ordine ai presupposti di ammissibilità, dato il tempo trascorso e quello ulteriormente occorrente per il giudizio.
CONSIDERATO che, per valutare se il ricorso sia ammissibile, occorre accertare se il conflitto sollevato dal consigliere pretore dirigente della sezione lavoro della Pretura circondariale di Roma sia insorto tra organi che, in relazione all'oggetto della controversia, siano competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, per la definizione della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali. In proposito va rilevato che il ricorso in esame riguarda provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura nella materia concernente la formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudicanti, espressione di un'attività amministrativa di organizzazione direttamente preordinata all'esercizio della funzione giurisdizionale e strumentale rispetto a quest'ultima. Ebbene, la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, l'assegnazione ad esse dei singoli magistrati e dei relativi presidenti, la formazione dei collegi giudicanti, sono disciplinate da norme dell'ordinamento giudiziario (art. 7-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, aggiunto dall'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449) e sono circondate da speciali garanzie, giacché la formazione delle tabelle degli uffici giudiziari deve essere deliberata dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta dei presidenti delle corti d'appello, sentiti i consigli giudiziari. Il magistrato che presiede un ufficio, o una sua sezione, non si colloca all'esterno di questo procedimento, ma può concorrere a preordinare gli elementi delle proposte del presidente della corte d'appello e può formulare osservazioni, in vista sia del parere del consiglio giudiziario che della definitiva deliberazione del Consiglio superiore della magistratura. Non è, dunque, titolare di una competenza propria in ordine alla procedura di formazione delle tabelle ed all'approvazione delle stesse, né pone in essere atti che, in quest'ambito, possano essere qualificati come espressione ultima del potere cui appartiene;
che il ricorso è inammissibile anche con riguardo alla prospettata lesione che i provvedimenti adottati dal Consiglio superiore della magistratura arrecherebbero a competenze rivendicate come direttamente proprie del ricorrente, quale dirigente di sezione di un ufficio giudiziario, e relative ai criteri che egli deve seguire per la designazione dei magistrati cui affidare la trattazione dei singoli procedimenti. Sotto questo profilo, infatti, la controversia non attinge al livello del conflitto tra poteri dello Stato, la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale. Ed invero le competenze in ordine alla designazione dei magistrati per la trattazione dei singoli procedimenti, che il ricorrente assume attribuite al proprio ufficio e lese dai provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura, non riguardano il potere di giudicare e trovano, in una materia riservata alla legge, fondamento e disciplina in norme organizzative ed ordinamentali, senza toccare la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali;
che non si può tener conto della dichiarazione di rinuncia agli atti del giudizio, peraltro depositata successivamente alla deliberazione in camera di consiglio della decisione anche se prima dell'approvazione del testo dell'ordinanza, tenuto conto che il ricorrente precisa che non è del tutto venuto meno l'interesse alla decisione e che la rinuncia agli atti del giudizio non comporta rinuncia alla pretesa, né viene prospettata la cessazione della materia del contendere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 1996.