SENTENZA N.52
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7 della legge 24 aprile 1975, n. 130 (Modifiche alla disciplina della propaganda elettorale ed alle norme per la presentazione delle candidature e delle liste dei candidati nonché dei contrassegni nelle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali) e 15, comma 17, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1995 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Macerata nel procedimento penale a carico di Sparvoli Nazzareno, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1995;
udito nella camera di consiglio del 22 novembre 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1.- Nel procedimento penale a carico di Sparvoli Nazzareno, imputato della contravvenzione di cui all'art. 7 della legge 24 aprile 1975, n. 130 (Modifiche alla disciplina della propaganda elettorale ed alle norme per la presentazione delle candidature e delle liste dei candidati nonché dei contrassegni nelle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali), per avere, nei trenta giorni precedenti l'elezione del Parlamento europeo, effettuato propaganda elettorale mediante l'uso di altoparlante collocato su un'automobile, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Macerata ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della citata legge n. 130 del 1975, e dell'art. 15, comma 17, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica).
2.- Osserva preliminarmente il rimettente che, in base all'art. 20 della legge n. 515 del 1993, la disciplina delle campagne elettorali per il Parlamento europeo, è stata parificata a quella per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica e conclude, quindi, nel senso che l'art. 15 della stessa legge avrebbe decriminalizzato quasi tutte le condotte illecite riferibili sia alle campagne elettorali sia alla propaganda di esse. In particolare, il comma 17 dell'art. 15 ha statuito che, in caso di violazione di una delle disposizioni di cui agli artt. 6, 8 e 9 della legge 4 aprile 1956, n. 212 (Norme per la disciplina della propaganda elettorale), si applica una sanzione amministrativa pecuniaria in luogo di quelle penali originariamente previste.
In forza di tale intervento, non costituirebbero reato tutte le forme di propaganda elettorale con mezzi luminosi o figurativi, nonché le forme di propaganda mobile poste in essere dal trentesimo giorno anteriore alla data delle elezioni (art. 6 della legge n. 212 del 1956); né lo sarebbero la sottrazione o distruzione di stampati, giornali murali o manifesti di propaganda elettorale, l'impedimento all'affissione o alla diffusione degli stessi materiali, la loro affissione fuori degli spazi predisposti (art. 8 della legge n. 212 del 1956), l'indizione di comizi o riunioni di propaganda elettorale in luoghi pubblici o aperti al pubblico, le affissioni nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni, nonché ogni altra forma di propaganda elettorale nei giorni destinati alle elezioni (art. 9 della legge n. 212 del 1956).
Ritiene il giudice a quo che il combinato disposto dell'art. 7 della legge n. 130 del 1975 e dell'art. 15, comma 17, della legge n. 515 del 1993, si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiché non decriminalizza la condotta tenuta dall'imputato, pur essendo identico il bene protetto e identiche le sanzioni penali originarie (arresto fino a sei mesi e ammenda da lire 100.000 a lire 1.000.000). La disparità di trattamento sarebbe evidente, secondo il rimettente, ove si consideri che la legge n. 515 del 1993 - oltre a decriminalizzare condotte analoghe - ha qualificato illeciti amministrativi fattispecie ben più gravi, con riferimento all'utilizzazione di quotidiani o di impianti radio-televisivi nei trenta giorni precedenti le elezioni.
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame di questa Corte, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 7 della legge n. 130 del 1975 e dell'art. 15, comma 17, della legge n. 515 del 1993, nella parte in cui non contempla - fra le altre condotte decriminalizzate - anche quella concernente l'uso di altoparlante collocato su un'automobile per la propaganda elettorale nei trenta giorni precedenti la data fissata per l'elezione al Parlamento europeo. E ciò tenuto conto:
che l'art. 15, comma 17, della legge n. 515 del 1993 ha decriminalizzato le previsioni di cui agli artt. 6, 8 e 9 della legge n. 212 del 1956, trasformandole in illeciti amministrativi;
che nella legge n. 212 del 1956 non residuano altre previsioni di reato;
che il reato contestato all'imputato è previsto, invece, dalla legge n. 130 del 1975 (art. 7) che, pur modificando con tecnica di novellazione la legge n. 212 del 1956, non si è fatta carico di inserire questa ulteriore previsione di reato nel testo modificato.
2. - Il merito della questione comporta, dunque, l'esame dell'omogeneità della previsione incriminatrice di cui all'art. 7 della legge n. 130 del 1975 rispetto alle ipotesi di reato contenute nella legge n. 212 del 1956, come modificate dalla legge n. 130 testé citata.
Nel dettare una nuova disciplina delle campagne elettorali, la legge 4 aprile 1956, n. 212, stabiliva alcune sanzioni penali (artt. 6, 8 e 9). Successivamente, la legge 24 aprile 1975, n. 130, con la segnalata tecnica di novellazione, modificava le fattispecie di reato contenute negli articoli già indicati. Tuttavia, l'art. 7 - nell'introdurre la nuova previsione di reato - non seguiva tale tecnica, e lasciava inspiegabilmente il nuovo dettato normativo nel testo della stessa legge di modifica, n. 130 del 1975, senza inserirlo nella legge novellata, la più volte citata n. 212 del 1956.
La legge 10 dicembre 1993, n. 515, come si ricava dai lavori preparatori, ha operato la decriminalizzazione di quelle previsioni di reato, in armonia con l'orientamento di non munire di sanzione penale le nuove figure di illecito, anche di portata più ampia e grave. Per le infrazioni alla propaganda elettorale a mezzo stampa e radiotelevisiva, la nuova legge contempla infatti, all'art. 15, un sistema di sanzioni amministrative, non soltanto pecuniarie; e in coerenza con siffatto indirizzo il comma 17 dello stesso art. 15 dispone la decriminalizzazione di tutte le ipotesi di reato previste dalla legge n. 212 del 1956, ma non anche della figura di reato introdotta dall'art. 7 della legge n. 130 del 1975.
3. - I reati elettorali vengono raggruppati dalla dottrina in tre categorie, nelle quali si fanno rientrare i reati inerenti alle operazioni elettorali, quelli concernenti l'esercizio del diritto di voto e quelli in materia di propaganda elettorale. Ora, non v'è dubbio che l'ampio intervento del legislatore sul versante della decriminalizzazione abbia riguardato - con riferimento alla preesistente materia penale - esclusivamente figure di reati in materia di propaganda elettorale, con un carattere di sistematicità quale si evince anche dai lavori preparatori della legge n. 515 del 1993: in questa legge sono state cancellate tutte le ipotesi di reato, di cui alla legge n. 212 del 1956 (novellata dalla legge n. 130 del 1975); e dall'ambito delle previsioni penali sono state eliminate sia le ipotesi contravvenzionali (artt. 6 e 8, quarto comma) sia quelle delittuose (art. 9 e art. 8, primo comma).
4. - La figura contravvenzionale contemplata nell'art. 7 della legge n. 130 del 1975, denunciata nell'ordinanza di rimessione, è un tassello di un'unica disciplina sanzionatoria di tipo penale, che è omogenea, quanto al bene giuridico protetto, alla previsione delle condotte e delle sanzioni penali ivi stabilite. In particolare, l'art. 7 della citata legge n. 130 sanziona il comportamento di colui che fa uso non consentito degli altoparlanti su mezzi mobili con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da 100.000 a 1.000.000 di lire, così aumentate le originarie previsioni di lire 50.000 e lire 500.000, in ragione dell'art. 13, quarto comma, della legge n. 689 del 1981.
La previsione di cui all'art. 7 rimarrebbe integra in base all'art. 15, comma 17, della legge n. 515 del 1993, mentre per tutti gli altri casi di uso non consentito di propaganda elettorale (stampati, giornali murali, manifesti, mezzi luminosi, striscioni, drappi, volantini) vi è ora, in luogo della reclusione fino a un anno e della multa da lire 100.000 a lire 1.000.000, l'unica sanzione pecuniaria, di natura amministrativa, oscillante da lire 200.000 a lire 2.000.000.
In tale contesto di complessiva decriminalizzazione, è rimasta in vigore - per una probabile dimenticanza del legislatore - la previsione della sanzione penale.
Questa Corte ritiene, invero, che non si può intraprendere una iniziativa di decriminalizzazione - che presenta carattere omogeneo nelle previsioni, nel bene tutelato e nelle sanzioni irrogabili - senza completarne in modo coerente le statuizioni, pena l'arbitrarietà di quelle non uniformi. La disposizione denunciata va quindi dichiarata illegittima per contrasto con i principi di ragionevolezza, e di razionalità della legislazione, desumibili dall'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 17, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica) nella parte in cui punisce il fatto previsto dall'art. 7 della legge 24 aprile 1975, n. 130 (Modifiche alla disciplina della propaganda elettorale ed alle norme per la presentazione delle candidature e delle liste dei candidati nonché dei contrassegni nelle elezioni politiche, regionali, provinciali e comunali) con la pena dell'arresto fino a sei mesi e dell'ammenda da lire 100.000 a lire 1.000.000 anziché con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire 200.000 a lire 2.000.000.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1996.