ORDINANZA N.35
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Luigi MENGONI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 275, comma 3, e 299, comma 2, del codice di procedura penale promossi con ordinanze emesse:
1) il 13 luglio 1995 dal Tribunale - sezione per il riesame - di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico di Di Sette Michele, iscritta al n. 599 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995;
2) il 13 luglio 1995 dal Tribunale - sezione per il riesame - di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico di Martucci Francesco, iscritta al n. 600 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
RITENUTO che, nell'ambito di due separati giudizi di appello instaurati, ai sensi dell'art. 310 del codice di procedura penale, avverso provvedimenti del giudice per le indagini preliminari reiettivi di istanze proposte da persone sottoposte a indagini per la revoca della misura della custodia cautelare in carcere applicata nei loro confronti, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato, con due distinte ordinanze - di identico contenuto - del 13 luglio 1995, questione di legittimità costituzionale degli articoli 275, comma 3, e 299, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui dette norme, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine a taluno dei reati indicati dalla prima di esse, non consentono la sostituzione, nel corso del procedimento penale, della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari o, comunque, con altra misura meno afflittiva, in riferimento agli articoli 3, 13 e 27, secondo comma, della Costituzione;
che il Tribunale rimettente censura l'accennata preclusione alla applicazione di misure cautelari gradate, in presenza di un titolo di reato ostativo (nella specie, in entrambi i giudizi a quibus, quello di estorsione aggravata), in primo luogo in relazione al parametro di ragionevolezza, poiché la disciplina impugnata, mentre accorda al giudice il potere di verificare l'esistenza o meno di esigenze cautelari e dunque di decidere se applicare, o meno, una misura cautelare, non gli affida alcuna discrezionalità rispetto al criterio di adeguatezza e quindi circa la determinazione del tipo di misura in concreto sufficiente alla tutela delle esigenze cautelari;
che la presunzione normativa di adeguatezza della sola custodia carceraria (per i titoli di reato previsti dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) è ulteriormente censurata dal rimettente in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perché determina un eguale trattamento cautelare rispetto a situazioni che possono essere, in concreto, notevolmente diversificate sul piano oggettivo e soggettivo;
che inoltre è dedotto il contrasto delle norme impugnate con gli articoli 13 e 27, secondo comma, della Costituzione, assumendosi che dalle norme medesime conseguirebbe l'equiparazione della posizione del "giudicabile" a quella del condannato e dunque la misura cautelare verrebbe a configurarsi come anticipazione del trattamento punitivo;
che in entrambi i giudizi così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per una declaratoria di non fondatezza della questione.
CONSIDERATO che le due ordinanze di rimessione pongono la medesima questione, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;
che le censure sollevate investono l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e l'art. 299, comma 2, dello stesso codice che al primo fa richiamo, con clausola di salvaguardia - nel testo risultante dalle modifiche apportate dal decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 e poi, specificamente sul punto della presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria per certi titoli di reato, dal decreto-legge 9 settembre 1991, n. 292, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 1991, n. 356;
che, successivamente all'emissione delle ordinanze di rimessione, è intervenuta la legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), il cui art. 5 ha modificato l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., delimitando a talune specifiche fattispecie di reato (di "criminalità organizzata": associazioni di tipo mafioso ex art. 416-bis cod. pen., delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste da detto articolo o al fine di agevolare l'attività delle associazioni medesime) la prescrizione presuntiva dell'adeguatezza della misura cautelare di maggior rigore, restituendo in pari tempo al giudice un potere di apprezzamento della scelta circa la misura da adottarsi, nel caso concreto, ab origine ovvero nel corso del procedimento, per ogni altro titolo di reato;
che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente perché valuti la rilevanza della questione sollevata alla luce della normativa sopravvenuta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1996.
Luigi MENGONI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1996.