SENTENZA N.30
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con ordinanze emesse:
1) il 14 luglio 1995 dal Tribunale di Catania, nel procedimento civile vertente tra INPS e Santonocito Maria Maddalena ed altri, iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995;
2) il 14 luglio 1995 dal Tribunale di Catania, nel procedimento civile vertente tra INPS e Bondici Stefano ed altri, iscritta al n. 611 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di costituzione dell'INPS nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di due giudizi promossi da Maria M. Santonocito e altri contro l'INPS per ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto in qualità di soci lavoratori della società cooperativa ISPA r.l. posta in liquidazione coatta amministrativa, il Tribunale di Catania, con due ordinanze del 14 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e lavoro la tutela del "Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto" in caso di insolvenza della società.
Ad avviso del giudice rimettente la mancata estensione viola il principio di eguaglianza, considerato che il socio lavoratore di società cooperativa, pur prestando il proprio lavoro in base a un rapporto diverso dal contratto di lavoro, è caratterizzato da una posizione di debolezza economica verso la società analoga a quella del prestatore di lavoro subordinato nei confronti del datore: assimilazione confermata dalle leggi che estendono ai soci di cooperative di lavoro discipline del rapporto di lavoro, quali le leggi sull'orario di lavoro e sul riposo settimanale. Si aggiunge che la disparità di trattamento è tanto meno giustificata quando, come nella specie, sono stati da sempre versati dalla società cooperativa i contributi previsti dall'ottavo comma, del citato art. 2.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata anche sulla base della sentenza n. 334 del 1995, sebbene pronunciata in riferimento a parametri costituzionali diversi.
Ritiene l'Istituto che la norma impugnata non viola nemmeno l'art. 3 Cost. in quanto, essendo strutturalmente differenti i crediti messi a confronto, è giustificata la diversa disciplina. Essa trova il suo fondamento anche nell'art. 36 Cost., che privilegia i crediti di lavoro in senso tecnico e non è invece applicabile ai crediti dei soci.
3. - E'intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Secondo l'interveniente, la motivazione della sentenza n. 334 del 1995 vale a escludere la fondatezza della questione anche sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - Con due ordinanze di identico tenore il Tribunale di Catania ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede la tutela del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto anche in favore dei soci di cooperative di produzione e di lavoro, ai quali il diritto a tale trattamento sia attribuito dall'atto costitutivo della società o da una delibera successiva di modificazione del medesimo.
2. - I giudizi introdotti dalle due ordinanze, avendo per oggetto la medesima questione, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
3. - La questione non è fondata.
Il giudice rimettente muove dalla premessa, non rispondente allo stato attuale del nostro ordinamento, che sarebbe già in fase avanzata un processo legislativo di detipizzazione del contratto di lavoro, nel senso di collegare la tutela del lavoratore subordinato alla prestazione in sé considerata, indipendentemente dal tipo di contratto in cui è dedotta. In realtà questo processo è largamente incompiuto. Gli scarsi esempi addotti nell'ordinanza di rimessione (leggi del 1923 e del 1934, che estendono al lavoro in cooperativa la disciplina dell'orario di lavoro e del riposo settimanale, una legge del 1911 che garantisce un certo livello di retribuzione) e gli altri con maggiore completezza richiamati nella sentenza n. 408 del 1989 di questa Corte, riguardano aspetti della tutela del lavoro che non presuppongono il concetto stretto di subordinazione proprio del contratto di lavoro, ma hanno una ratio di tutela della persona del lavoratore comprendente tutti i casi di lavoro prestato, a qualunque titolo, in stato di subordinazione tecnico-funzionale, e quindi non solo la prestazione del socio di una società cooperativa di lavoro, ma anche la prestazione del socio d'opera di una società lucrativa di persone e dell'associato in partecipazione con apporto di lavoro.
Per l'applicazione degli altri aspetti della tutela del lavoro, invece, e in particolare di quelli concernenti la retribuzione, assume rilievo non tanto lo svolgimento di fatto di un'attività di lavoro connotata da elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l'attività è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita. Devono cioè concorrere tutte le condizioni che definiscono la subordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro, la quale è un concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso dalla subordinazione riscontrabile in altri contratti coinvolgenti la capacità di lavoro di una delle parti. La differenza è determinata dal concorso di due condizioni che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l'alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce. Quando è integrata da queste due condizioni, la subordinazione non è semplicemente un modo di essere della prestazione dedotta in contratto, ma è una qualificazione della prestazione derivante dal tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la stipulazione di un contratto di lavoro, comportante l'incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato.
A differenza del prestatore di lavoro definito dall'art. 2094 cod.civ., il socio lavoratore di una cooperativa di lavoro è vincolato da un contratto che, se da un lato lo obbliga a una prestazione continuativa di lavoro in stato di subordinazione rispetto alla società, dall'altro lo rende partecipe dello scopo dell'impresa collettiva e corrispondentemente gli attribuisce poteri e diritti di concorrere alla formazione della volontà della società, di controllo sulla gestione sociale e infine il diritto a una quota degli utili. Questi diritti e poteri, e la correlativa assunzione da parte dei singoli soci di una quota del rischio d'impresa, giustificano la norma in esame, che li esclude dalla tutela del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (per ipotesi assunto dallo statuto della società come elemento del trattamento retributivo complessivo del lavoro dei soci) in caso di insolvenza della società.
Non ha alcun rilievo in contrario il fatto, addotto nell'ordinanza di rimessione, del regolare versamento all'INPS, da parte della società cooperativa, dei contributi previsti dall'art. 2, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982. Si tratta di pagamenti non dovuti, dai quali non si può trarre argomento di illegittimità costituzionale della legge che, non includendo i soci di cooperative di lavoro tra i destinatari della tutela del Fondo, esclude per essi anche l'obbligo di contribuire al suo finanziamento.
Tanto meno si può argomentare dalla citata sentenza n. 408 del 1989. L'equiparabilità ai crediti di lavoro, ai fini dell'estensione agli interessi della prelazione di cui all'art. 54 della legge fallimentare, è stata affermata dalla sentenza con riguardo ai crediti di una società cooperativa di produzione e di lavoro verso l'imprenditore fallito per i corrispettivi dei servizi a lui prestati e della vendita dei manufatti, non ai crediti per le retribuzioni dei soci lavoratori in caso di insolvenza della società cooperativa debitrice, della cui gestione essi sono, come si è detto, corresponsabili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Catania con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1996.