Sentenza n. 26 del 1996

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SENTENZA N.26

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art 6, comma 2, ultimo periodo, e comma 3, e dell'art. 8, comma 2, della legge della Regione Piemonte, riapprovata l'8 marzo 1995, recante: "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale in attuazione dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 25 marzo 1995, depositato in cancelleria il 31 marzo 1995 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 1995.

Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il ricorrente, e l'Avvocato Enrico Romanelli per la regione.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ricorso notificato in data 25 marzo 1995, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 6, comma 2, ultimo periodo, e comma 3, nonché l'art. 8, comma 2, della legge della Regione Piemonte recante: "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179" riapprovata -- a seguito di rinvio da parte del Governo -- in data 8 marzo 1995.

Ritiene il ricorrente che le disposizioni censurate violino gli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.

In particolare, l'art. 6, comma 2, ultimo periodo -- prevedendo che il piano integrato si intende approvato dalla regione, decorso inutilmente il termine di centoventi giorni dal suo invio al Consiglio regionale -- violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione e più specificamente "l'ordine delle competenze tra regione e comune delineato dalla legislazione statale in materia urbanistica e fatto salvo dall'art. 2 del d.P.R. n. 616 del 1977".

Al riguardo, si richiama la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 393 del 1992) che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione del silenzio-assenso in sede di approvazione del programma integrato (art. 16, comma 4, della legge n. 179 del 1992).

Lesiva dell'autonomia comunale, quale garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione, nonché dell'art. 117 della Costituzione in quanto estranea alle competenze regionali ivi previste, sarebbe la disposizione contenuta nell'art. 6, comma 3, nella parte in cui prevede che la regione possa introdurre di ufficio modifiche agli strumenti urbanistici, nel caso sia inutilmente decorso il termine per l'assunzione della deliberazione comunale.

Nel ricorso si sottolinea che le censure concernenti l'art. 6, commi 2 e 3, sarebbero "intimamente connesse" e verrebbero ad inscriversi nello spirito delle statuizioni contenute nella succitata sentenza n. 393 del 1992.

Infine, si censura l'art. 8, comma 2, il quale, prevedendo che con il piano integrato possa essere mantenuta la volumetria preesistente anche in difformità dal piano regolatore generale, verrebbe a concretare una fattispecie di sanatoria di opere abusive ed esorbiterebbe dalle competenze regionali, con conseguente violazione dell'art. 117 della Costituzione.

Né la modifica apportata in sede di riapprovazione sarebbe sufficiente a far venir meno la predetta censura. Infatti, la previsione aggiuntiva in virtù della quale "la disposizione non si applica in presenza di opere edilizie abusive" -- a parte "l'oscuro significato" -- convaliderebbe comunque situazioni di fatto difformi dalle previsioni del piano regolatore generale.

2.-- Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte per chiedere il rigetto del ricorso.

In particolare -- quanto al censurato art. 6, comma 2, ultimo capoverso -- la regione sostiene che l'istituto del silenzio-assenso, in esso previsto, risponde alla "fondamentale" esigenza di assicurare il sollecito svolgimento del procedimento di approvazione del piano.

Si afferma, inoltre, che la disposizione censurata appare prevista in analogia a numerose disposizioni della legge urbanistica regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni e integrazioni nelle quali è, per l'appunto, previsto il silenzio-assenso in ordine alla approvazione di strumenti urbanistici attuativi e di varianti ai piani regolatori necessari per attuarli, qualora la regione non si pronunci entro centoventi giorni dal ricevimento degli atti.

In nessun caso, comunque, potrebbe prospettarsi, al riguardo, una violazione della "autonomia comunale" in considerazione che l'approvazione del piano, decorso inutilmente il termine di centoventi giorni, sarebbe caso mai una "conseguenza negativa" per la regione che vedrebbe così sanzionato il proprio ritardo. Per contro, verrebbe ad essere tutelato il diritto del comune ad ottenere un esame del programma, da parte della regione, in tempi certi e brevi.

In ordine all'art. 6, comma 3, si sostiene che detta norma risponde all'esigenza di assicurare la celerità del procedimento, il che gioverebbe anche alla tutela degli investimenti pubblici la cui erogazione sarebbe connessa con l'attuazione dell'intervento. Da ultimo, e con riguardo all'art. 8, comma 2, si afferma che l'aggiunta formulata in sede di riapprovazione è chiarissima nel senso di rendere inapplicabile la previsione -- in virtù della quale può essere mantenuta la volumetria preesistente, anche in difformità dal piano regolatore generale vigente o in salvaguardia -- in presenza di opere edilizie abusive. Con il che verrebbe meno qualsivoglia sanatoria di opera abusiva.

Considerato in diritto

1.-- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la legge della Regione Piemonte che -- in attuazione dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 -- disciplina il programma integrato di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, lamentando la violazione degli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.

In particolare si sostiene nel ricorso che l'art. 6, comma 2, ultimo periodo -- prevedendo che il programma integrato, nella ipotesi che sia "in variante agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali approvati o in salvaguardia", si intende approvato dalla regione, decorso inutilmente il termine di centoventi giorni dal suo invio al Consiglio regionale -- violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli artt. 5 e 128 della Costituzione.

Si afferma, altresì, che l'art. 6, comma 3 -- stabilendo che le modifiche agli strumenti urbanistici siano introdotte d'ufficio dalla Giunta regionale qualora il termine per l'assunzione della deliberazione comunale sia inutilmente decorso -- violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.

Infine si censura l'art. 8, comma 2, il quale, prevedendo che "qualora il programma integrato interessi aree normate ai sensi dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977 e successive modifiche e integrazioni, per queste ultime può essere mantenuta la volumetria preesistente anche in difformità da quella del piano regolatore generale vigente o in salvaguardia", porrebbe in essere una fattispecie di sanatoria di opere abusive, violando così l'art. 117 della Costituzione.

2.-- La censura concernente l'art. 6, comma 2, ultimo periodo, è fondata.

Questa Corte -- con la sentenza n. 393 del 1992 e successivamente con la sentenza n. 408 del 1995 -- ha ritenuto, specificatamente in materia di pianificazione e programmazione urbanistico-territoriale, la illegittimità costituzionale della previsione del silenzio-assenso, in sede di approvazione dei programmi integrati, sottolineando che l'istituto del silenzio-assenso può ritenersi ammissibile in riferimento ad attività amministrative nelle quali sia pressoché assente il tasso di discrezionalità, mentre la trasposizione di tale modello nei procedimenti ad elevata discrezionalità, primi tra tutti quelli della pianificazione territoriale, "finisce per incidere sull'essenza stessa della competenza regionale" (sentenza n. 408 del 1995).

In quest'ultima ipotesi, infatti, verrebbe a mancare l'esame e la valutazione regionale (avuto riguardo alla brevità dei tempi tecnici assegnati alla regione per il riesame), nonché il contraddittorio sulle osservazioni, ovvero il controllo della pubblica amministrazione verrebbe ad acquistare un carattere meramente eventuale precisamente in ordine a procedimenti amministrativi che comportano un ventaglio di soluzioni non determinate, né determinabili in via preventiva dalla legge. Tutto ciò è stato ritenuto irrazionale e, pertanto, non coerente avuto riguardo al principio per cui gli strumenti urbanistici generali (di ambito comunale e sovracomunale) e anche le relative varianti danno luogo ad un procedimento complesso cui devono partecipare e concorrere necessariamente il comune e la regione sia pure in posizione ineguale (cosiddetto principio dell'atto complesso).

D'altro canto la materia dei programmi integrati (come previsti dalla legge regionale impugnata) ha una duplice valenza sia urbanistica sia ambientale, anche in quanto l'approvazione regionale ricomprende tutte le autorizzazioni di competenza regionale in tema di vincoli idrogeologici, forestali ecc., nonché il parere ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e della legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 6, comma 7 della legge impugnata). Pertanto, per quest'ultimo profilo ambientale opera il principio fondamentale, risultante da una serie di norme in materia ambientale, della necessità di pronuncia esplicita mentre il silenzio dell'amministrazione preposta a vincolo ambientale non può avere valore di assenso (sentenza n. 302 del 1988).

Tanto si evince dagli artt. 14, comma 4, 16, comma 3, 17, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dall'art. 19, comma 1, della stessa legge nel testo sostituito dall'art. 2, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; dall'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia nel testo originario, sia in quello modificato dall'art. 12, comma 2, del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, come sostituito dalla legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68, nonché nel testo vigente dell'art. 8, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio 1996, n. 30; e infine dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nel testo risultante a seguito delle aggiunte introdotte dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431.

La illegittimità della previsione del silenzio-assenso in materia di pianificazione (non meramente attuativa e esecutiva) urbanistico-territoriale ed il conseguente venir meno di detto istituto nella normativa statale, per effetto della sentenza n. 393 del 1992, consente -- come affermato nella sentenza n. 408 del 1995 -- di ritenere attualmente vigente nella legge statale in materia, un principio fondamentale opposto, che considera indispensabile una valutazione esplicita da parte degli organi regionali nei procedimenti che necessitano del diversificato contributo degli organi e uffici competenti coinvolti nella procedura.

Ne consegue che relativamente ai programmi integrati, valgono, in sede di legislazione regionale, i principi fondamentali che sono desumibili dalla sentenza n. 393 del 1992 e che risultano, altresì, ribaditi ed esplicitati con la sentenza n. 408 del 1995.

Deriva, altresì, che la legge regionale impugnata, nella parte in cui prevede l'istituto del silenzio-assenso ai fini dell'approvazione regionale dei programmi integrati, difformi dagli strumenti urbanistici, viola l'art. 117 della Costituzione per inosservanza dell'anzidetto principio fondamentale facilmente ricavabile dalla legislazione dello Stato specie dopo l'intervento della Corte.

Risultano assorbite -- con riguardo a questa previsione -- le ulteriori censure concernenti gli artt. 5 e 128 della Costituzione.

3.-- Non fondata è, invece, la censura proposta sotto il profilo che l'art. 6, comma 3 (in base al quale qualora il termine per l'assunzione della deliberazione comunale con le determinazioni sulla richiesta regionale di modifiche al programma integrato in variante agli strumenti urbanistici sia inutilmente decorso, le modifiche stesse sono introdotte d'ufficio dalla Giunta regionale), violerebbe gli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.

Preliminare -- nell'esame di questa censura -- è il riferimento ai principi fondamentali della legislazione urbanistica in materia, in particolare all'art. 10, secondo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 3 della legge 6 agosto 1967, n. 765, il quale prevede diverse categorie di modifiche d'ufficio (in sede di approvazione) al piano regolatore.

Esse, tuttavia, sono ammesse a condizione che rispettino un limite ben preciso: si tratti cioè di modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, ovvero che non mutino le caratteristiche essenziali del piano ed i criteri di impostazione dello stesso. A ben vedere si tratta di un limite strutturale che è comune ad ogni tipo di modifiche d'ufficio nell'ambito di atto complesso, soprattutto in sede di pianificazione urbanistica caratterizzata dalla duplice competenza comunale (di iniziativa e adozione) e regionale (di esame, di valutazione e verifica della coerenza degli strumenti urbanistici e l'assetto degli interessi coinvolti). In caso di mancanza delle condizioni per le modifiche di ufficio la regione ha solo il potere di non approvare il piano e di restituirlo al comune ovvero di approvarlo in parte con stralcio e restituzione per le eventuali iniziative del comune.

Di conseguenza la legge regionale censurata deve essere interpretata e coordinata con i principi fondamentali della legge statale vigente in materia di formazione e approvazione di strumenti urbanistici (art. 10, comma secondo, della legge n. 1150 del 1942, nel testo vigente citato).

Così precisati il senso e l'ambito di operatività della disposizione denunciata, essa resiste alle censure di illegittimità costituzionale, in particolare a quella -- assorbente -- relativa all'art. 117 della Costituzione, qualificandosi all'opposto, nel senso sopra specificato, in armonia con i principi posti dalla legislazione statale in materia, nel rispetto altresì dell'autonomia comunale.

4.-- Non fondata è altresì la censura concernente l'art. 8, comma 2, della legge regionale impugnata, sotto il profilo di prevedere "qualora il programma integrato interessi aree normate ai sensi dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977 ..., per queste ultime, la possibilità di mantenere la volumetria preesistente anche in difformità da quella del piano regolatore generale vigente o in salvaguardia", pur statuendo che "la disposizione non si applica in presenza di opere edilizie abusive". Detta previsione, secondo il ricorso, porrebbe in essere una fattispecie di sanatoria di opere abusive, violando l'art. 117 della Costituzione.

Al riguardo, si precisa in via preliminare che "le aree normate ai sensi dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977" cui fa riferimento la disposizione censurata, riguardano i beni culturali ambientali da salvaguardare, comprendenti anche insediamenti urbani o meno, ovvero singoli edifici e manufatti aventi carattere storico-artistico e/o ambientale.

Come ritenuto da questa Corte (sentenza n. 408 del 1995) il programma integrato è strumento polifunzionale e tra le molteplici funzioni ad esso assegnate vi è anche quella di provvedere al recupero dei centri storici.

Pertanto non è irrazionale (proprio per garantire un adeguato livello di servizi e attrezzature e il soddisfacimento di interessi sociali e collettivi essenziali) che la legge regionale consenta variazioni progettuali (in fase di attuazione del programma integrato) con la possibilità di mantenimento della volumetria complessiva preesistente, ponendo una destinazione vincolata ad usi pubblici.

La norma regionale anzidetta (art. 8) contiene anzitutto nel comma 2, relativo alle "aree normate ai sensi dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977", la conferma dell'obbligo di pieno rispetto delle prescrizioni in materia di tutela ambientale, con la conseguente soggezione di tutte le variazioni progettuali in sede di attuazione del programma integrato che interessi dette aree alle anzidette prescrizioni ambientali, i cui vincoli non possono essere in nessun caso derogati.

L'unica derogabilità consentita è quella nei confronti del piano regolatore vigente per quanto attiene alla volumetria ed altezza massima consentita, nel senso che è ammesso il mantenimento di quella "preesistente".

Naturalmente il riferimento alla volumetria ed alla altezza preesistente può avere un ambito esclusivo limitato alle costruzioni legittimamente esistenti, in modo che il mantenimento dell'eventuale eccedenza di volumetria e di altezza (rispetto al piano regolatore vigente) riguarda ciò che è stato costruito in base ed in modo conforme a licenza o concessione edilizia valida ed operante all'epoca della costruzione, e che non sia stato oggetto di annullamento o di intervento sanzionatorio edilizio (ad esempio perché non conforme alla concessione o perché in contrasto con gli strumenti urbanistici allora vigenti). Resta comunque fuori dalla previsione ciò che è opera edilizia abusiva.

In altri termini la norma deve essere inquadrata ed interpretata alla luce del principio che la legittimità di una costruzione deve essere riguardata con riferimento alle prescrizioni urbanistiche alla data della concessione e, in taluni casi, del tempo di esecuzione dei lavori, essendo irrilevanti le sopravvenute variazioni delle previsioni dei piani urbanistici.

Tali variazioni possono condurre a decadenza della concessione ove sussistano determinati presupposti, ma in nessun caso producono una situazione di abusivismo rispetto a ciò che è stato già legittimamente costruito. In sede di programmazione urbanistica si possono introdurre discipline transitorie (variamente strutturate), che possono concernere i nuovi interventi (innovativi o modificativi) sulle volumetrie ed altezze esistenti, senza che possa configurarsi una specie di sanatoria dell'esistente.

Ciò risulta del resto anche dalla norma censurata, nella parte in cui statuisce che "la disposizione non si applica in presenza di opere edilizie abusive".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, ultimo periodo, della legge della Regione Piemonte riapprovata in data 8 marzo 1995 recante: "Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179", nella parte in cui prevede il silenzio-assenso ai fini dell'approvazione regionale dei programmi integrati difformi dagli strumenti urbanistici generali;

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 3, ed 8, comma 2, della medesima legge regionale, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1996.