SENTENZA N.16
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizza- zione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1994 dal T.A.R. del Lazio sul ricorso proposto da Burani Pietro contro il Ministero della Difesa, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di costituzione di Burani Pietro nonchè gli atti di intervento di Vidale Massimo ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
udito l'avv. Gaetano Lepore per Burani Pietro e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso da Pietro Burani contro il Ministero della difesa per ottenere il riconoscimento del diritto di essere inquadrato - ai sensi dell'art. 4 della legge 11 luglio 1980, n. 312 - nella superiore qualifica funzionale corrispondente alle mansioni esercitate per oltre cinque anni, il Tribunale amministrativo del Lazio, con ordinanza del 17 ottobre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella parte in cui ha abrogato l'art. 4, commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo, della citata legge n. 312 del 1980.
Questa legge, relativa al nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato, ha disposto un inquadramento provvisorio del personale in servizio al 1° gennaio 1978 nelle nuove qualifiche funzionali secondo le corrispondenze indicate nell'art. 4, primo comma, e un inquadramento definitivo, previo inserimento, con le modalità indicate nel comma ottavo, dei profili professionali di cui al precedente art. 3 nelle qualifiche funzionali. Due correttivi a tale regola sono previsti dal nono comma per i dipendenti che per un periodo non inferiore a cinque anni abbiano svolto le mansioni di un profilo diverso dalla qualifica rivestita secondo il vecchio ordinamento oppure mansioni corrispon-denti a una qualifica funzionale superiore a quella di inquadramento. Nel secondo caso, a norma dell'art. 4, commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo, abrogati dalla disposizione impugnata, a domanda, da presentarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, e previa favorevole valutazione del consiglio di amministrazione, il dipendente poteva ottenere l'inquadramento nella qualifica superiore mediante l'espletamento di una prova selettiva intesa ad accertare l'effettivo possesso della relativa professionalità.
Ad avviso del giudice rimettente la normativa impugnata eccede i limiti della delega disposta nell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, il quale alla lettera o) autorizza il Governo a procedere all'abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico fondamentale ed accessorio, e di quelle che prevedono trattamenti economici accessori, settoriali, comunque denominati, a favore dei pubblici dipendenti, sostituendole con corrispondenti disposizioni di accordi contrattuali. Nel novero di tali disposizioni non rientrerebbe il procedimento di inquadramento disciplinato dai commi citati dell'art. 4 della legge n. 312 del 1980, attesa la natura meramente programmatica di tale disciplina, la quale non comporta per se stessa alcun automatismo incidente sul trattamento economico dei dipendenti legittimati a domandare l'attuazione del procedimento.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito il ricorrente, il quale ha promosso il giudizio principale deducendo di avere svolto mansioni corrispondenti a una qualifica superiore a quella di appartenenza in base a ordini di servizio dell'Amministrazione reiterati dal 1987 al 1993.
Nel merito la parte costituita aderisce all'ordinanza di rimessione, aggiungendo che l'abrogazione dell'art. 4, commi decimo e sgg., della legge del 1980 non può trovare fondamento nemmeno nell'altro criterio direttivo fissato dalla lettera n) dell'art. 2 della stessa legge di delega.
3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura premette che la valutazione della portata della delega legislativa conferita al Governo nel settore del pubblico impiego non può prescindere dall'esame di tutti i principi e criteri direttivi enunciati dal citato art. 2 della legge n. 421 del 1992 nei punti da a) a n), e anzitutto dal primo comma, che stabilisce implicitamente la possibilità, da parte della legislazione delegata, di abrogazione, per incompatibilità, della normativa in precedenza vigente nel detto settore.
Ora la disciplina speciale in tema di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, in deroga all'art. 2103 cod.civ., prefigurata nel punto n) e attuata dall'art. 57 del d.lgs. n. 29 del 1993, ha necessariamente comportato anche l'incompatibilità di qualsiasi normativa preesistente che avesse assunto lo svolgimento di mansioni superiori da parte del prestatore di lavoro come presupposto di un procedimento (sia pure selettivo) rivolto a far conseguire ai pubblici dipendenti l'attribuzione di profili professionali di qualifica funzionale superiore, le cui mansioni fossero corrispondenti a quelle svolte per un determinato periodo di tempo.
In una memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica l'interveniente rileva il formalismo da cui, a suo avviso, è inficiata l'interpretazione del giudice rimettente, che esclude le disposizioni dell'art. 4, commi decimo sgg., della legge n. 312 del 1980 dalla previsione del punto o) dell'art. 2 della legge delega n. 421 del 1992. Siffatta interpretazione non tiene conto dell'inscindibile nesso causale che collega lo svolgimento delle mansioni superiori all'inquadramento nella relativa qualifica.
4. - Fuori termine hanno depositato un atto di intervento alcuni dipendenti del Ministero per i beni culturali, associandosi alla domanda di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.
Considerato in diritto
1. - L'art. 4, commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo, della legge 11 luglio 1980, n. 312, sul nuovo assetto retributivo-funzionale dei dipendenti dello Stato, prevedeva un correttivo ai criteri di inquadramento nelle nuove qualifiche funzionali (sostitutivo del precedente sistema delle carriere) in favore dei dipendenti che avessero svolto per almeno cinque anni mansioni corrispondenti a una qualifica superiore a quella di appartenenza. A domanda, da presentarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, e previa valutazione favorevole del consiglio di amministrazione, il dipendente poteva ottenere l'inquadramento nella nuova qualifica funzionale mediante una prova selettiva intesa ad accertare l'effettivo possesso della relativa professionalità.
L'abrogazione dei commi citati dell'art. 4, disposta dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, è sospettata di illegittimità costituzionale dal TAR del Lazio per violazione dei limiti della delega risultanti dall'art. 2, punto o), della legge di delega legislativa 23 ottobre 1992, n. 421 (artt. 76 e 77 Cost.).
2. - In linea di fatto il giudice rimettente precisa che i ricorrenti hanno maturato il periodo minimo di permanenza nelle mansioni ritenute superiori alla qualifica di inquadramento nel 1983, cioè posteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 312 del 1980, lasciando così intendere che egli interpreta la normativa abrogata nel senso che il beneficio non fosse riservato ai dipendenti che avessero maturato il quinquennio prima di tale data, la sola menzionata dalla legge come dies a quo del termine di novanta giorni per la presentazione della domanda. Alla stregua di questa interpretazione estensiva, che non appare manifestamente irrazionale, la questione deve ritenersi rilevante, e quindi ammissibile.
3. - Essa, però, non è fondata.
Il giudice a quo ritiene che la norma abrogativa in esame sia stata introdotta sulla base dell'art. 2, punto o), della legge di delega, il quale autorizza il Governo a "procedere all'abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico fondamentale ed accessorio" dei pubblici dipendenti, e la impugna sul riflesso che il legislatore delegato avrebbe forzato il concetto di "automatismo" applicandolo indebitamente anche alle modalità di promozione alla qualifica superiore previste dall'art. 4, commi decimo e sgg., della legge n. 312 del 1980. La questione viene così impostata su una considerazione isolata del punto o), senza allargarla al contesto normativo in cui è inserito e in particolare senza previamente accertare la compatibilità della disciplina, di cui si censura l'abrogazione, con la direttiva contenuta nel precedente punto n), specificamente afferente al caso di adibizione del dipendente a mansioni superiori a quelle proprie della qualifica assegnatagli.
Questa direttiva esclude, in deroga all'art. 2103 cod.civ., che alla permanenza del lavoratore nelle mansioni superiori oltre il limite di tempo fissato dalla legge possa essere collegata l'attribuzione del "diritto all'assegnazione definitiva delle stesse". La formulazione del punto n) indica, già in linea di interpretazione letterale, che la direttiva non può essere concettualizzata in termini speculari alla disposizione derogata del codice, la quale usa una formula diversa ("l'assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva" dopo un certo periodo di tempo), che caratterizza l'effetto ivi previsto come promozione automatica (ipso iure) alla qualifica corrispondente. Che le due formule non siano coestensive si chiarisce, in linea di interpretazione logico-sistematica, alla luce: a) degli artt. 8, 28 e 36 del decreto delegato, che, in conformità dell'art. 97, terzo comma, Cost., prescrivono determinate procedure per la copertura dei posti in organico; b) dell'art. 2 della legge delega, che impartisce una direttiva di contenimento, razionalizzazione e controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, di miglioramento dell'efficienza e della produttività, in vista di una riorganizzazione del settore; c) dell'art. 2, punto a), della medesima legge, che collega i limiti al principio della contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego secondo la disciplina del codice civile (nel quale consiste l'innovazione fondamentale della riforma del 1992-93) "al perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzate".
Interpretato in questo quadro normativo, il sintagma "diritto all'assegnazione definitiva" usato nel punto n) assume un significato ampio comprensivo non solo di automatismi del tipo di quello previsto dall'art. 2103 cod.civ., ma di qualsiasi effetto in qualche modo vincolante per l'amministrazione nella forma di un diritto soggettivo attribuito al dipendente in ragione dell'adibizione temporanea a mansioni superiori.
Di tale natura è l'effetto collegato all'esercizio temporaneo di mansioni superiori dalla disciplina abrogata dalla disposizione denunciata. Esso non consiste nell'attribuzione automatica, in via definitiva, delle mansioni superiori, l'inquadramento nella qualifica corrispondente essendo subordinato al conseguimento di un giudizio di idoneità mediante una prova selettiva. Ma se ciò può forse mettere fuori causa, come criterio giustificativo dell'abrogazione, il criterio dell'art. 2, punto o), della legge n. 421 del 1992, non è invece un argomento sufficiente in relazione al punto n). A parte il rilievo che la progressione di carriera mediante la procedura selettiva prevista dall'art. 4, comma decimo, della legge n. 312 del 1980 è ammessa dal nuovo ordinamento solo per le qualifiche impiegatizie (art. 36 del d.lgs. n. 29 del 1993), importa soprattutto che l'accesso alla prova di idoneità forma il contenuto di un diritto potestativo del dipendente e di un vincolo correlativo dell'amministrazione, così che egli ha un diritto, sia pure condizionato, all'assegnazione definitiva delle mansioni: diritto incompatibile col principio di ordine pubblico, salvaguardato dal punto n) dell'art. 2 della legge di delega, per cui la copertura di posti in organico presuppone una deliberazione discrezionale dell'amministra-zione di avviare le procedure per l'accesso o la progressione del personale a quei posti (art. 8 d.lgs. n. 29 del 1993).
Fondamento giustificativo della norma abrogatrice impugnata è, quindi, non tanto la direttiva del punto o) - concernente gli automatismi legali incidenti sui soli trattamenti economici, la cui abrogazione è autorizzata in funzione di un controllo globale di tali trattamenti da parte della contrattazione collettiva - quanto l'incompatibilità della disciplina abrogata con la direttiva del punto n), attuata dall'art. 57 del decreto delegato. Nel nuovo ordinamento l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non solo non può comportare una promozione automatica, ma nemmeno un diritto di riserva del posto, subordinato a una prova di idoneità da attuarsi obbligatoriamente su domanda dell'interessato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 29 gennaio 1996.