ORDINANZA N. 537
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) nonchè dello stesso art. 39, come modificato dall'art. 14, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse), promossi con ordinanze emesse il 10 febbraio 1995 (n. 1 ordinanza) e il 14 aprile successivo (n. 4 ordinanze) dal Pretore di Potenza, iscritte, rispettivamente, ai nn. 416, 426, 427, 428 e 429 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 28 e 30, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 22 novembre 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
RITENUTO che il Pretore di Potenza, con cinque ordinanze aventi contenuto sostanzialmente identico, ed emesse, nel corso di altrettanti procedimenti penali per reati edilizi, in data 10 febbraio 1995 la prima e le restanti tutte in data 14 aprile 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 79 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (R.O. n. 416 del 1995), nonchè dello stesso art. 39, come modificato dall'art. 14, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85 (R.O. nn. 426, 427, 428 e 429 del 1995) nella parte in cui, richiamando per le opere abusive indicate al primo comma, le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni, prevede l'estinzione dei reati in materia urbanistica indicati nell'art. 38, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e dispone la sospensione dei relativi procedimenti a norma degli artt. 38, primo comma, e 44 della medesima legge n. 47 del 1985;
che, ad avviso del giudice a quo, il condono edilizio, previsto dalla disposizione censurata, si sostanzierebbe in una forma di "amnistia sottoposta ad obblighi", in quanto tale, adottabile con la rigorosa procedura prevista dal succitato art. 79 della Costituzione, recentemente riformato dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1;
che anche nel caso che non possa qualificarsi come amnistia, il condono sarebbe comunque inscrivibile, secondo il remittente, nella "più ampia categoria dei provvedimenti di natura clemenziale" alla quale sarebbero, pur sempre, estensibili i principi in tema di amnistia, con la conseguenza che risulterebbe violato in ogni caso l'art. 79 della Costituzione;
che sarebbe, altresì, violato l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto la disposizione impugnata, reiterando a breve distanza di tempo, quelle stesse disposizioni (legge 27 febbraio 1985, n. 47) che la Corte aveva considerato "eccezionali" e giustificate solo dall'intento di "chiudere un passato di illegalità di massa", verrebbe a "vanificare le ragioni prime della punibilità attraverso l'esercizio arbitrario della non punibilità";
che, sotto altro profilo, la reiterazione di provvedimenti clemenziali, inducendo nel cittadino la convinzione di poter impunemente violare la legge, indebolirebbe, altresì, la funzione rieducativa della pena, con conseguente lesione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione;
che nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 426 del 1995, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della proposta questione.
CONSIDERATO che per l'identità delle questioni, i giudizi possono essere riuniti;
che le questioni sollevate sono state già di chiarate non fondate con la sentenza n. 427 del 1995;
che non sono dedotti profili nuovi o diversi tali da suggerire un riesame delle questioni stesse; che, pertanto, le proposte questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) nonchè del lo stesso art. 39, come modificato dall'art. 14, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in legge 22 marzo 1995, n. 85 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma e 79 della Costituzione, dal Pretore di Potenza con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.
Mauro FERRI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 29/12/95.