SENTENZA N. 520
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, dell'art. 2, comma 1, lettere 0.a) e b), e comma 2-bis, e dell'art. 2-bis, della legge 24 febbraio 1995, n. 46 (Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria), che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, promosso con ricorsi delle Regioni Lombardia e Veneto, notificati il 29 marzo 1995, depositati in cancelleria il 6 aprile successivo ed iscritti ai nn. 22 e 23 del registro ricorsi 1995.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani per la Regione Lombardia e per la Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.Con due ricorsi di analogo contenuto (nn. 22 e 23 del 1995) le Regioni Lombardia e Veneto hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, dell'art. 2, comma 1, lettere 0.a) e b), e comma 2-bis, e dell'art. 2bis, della legge 24 febbraio 1995, n. 46 (Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria), che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, in riferimento agli artt. 3, 5, 11, 41, 97, 117 e 118 della Costituzione.
In particolare, le Regioni ricorrenti denunciano: a) l'art. 2, comma 2-bis, il quale prevede, per i produttori che abbiano realizzato un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico approvato da parte della Regione o della Provincia autonoma anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 26 novembre 1992, n. 468, la possibilità di chiedere l'assegnazione di una quota di produzione di latte corrispondente all'obiettivo indicato nel piano medesimo, con effetto dal periodo 1995-1996, in sostituzione delle quote A e B ad essi spettanti; b) l'art. 2, comma 1, lettera b), che esclude dalle previste riduzioni della quota A e B i produttori le cui aziende siano ubicate nei Comuni montani, nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate, nonchè nelle isole; c) l'art. 2, comma 1, lettera 0.a), che prevede la riduzione della quota A non in produzione, qualora essa ecceda il 50 per cento della quota A attribuita; d) l'art. 1, comma 2, nella parte in cui non prevede la consultazione della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni in ordine alla ripartizione della spesa autorizzata per gli interventi programmati in agricoltura per l'anno 1995; e) l'art. 2, comma 1, nella parte in cui non prevede il coinvolgimento della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni ovvero delle singole Regioni nella determinazione del programma di rientro delle eccedenze lattiero-casearie; f) l'art. 2-bis, che consente ai produttori l'autocertificazione delle produzioni in ogni caso di contenzioso e nelle more dell'accertamento definitivo delle posizioni individuali e autorizza gli acquirenti a considerare i quantitativi autocertificati ai fini degli adempimenti di cui all'art. 5 della legge n. 468 del 1992. Quest'ultima questione viene sollevata soltanto dalla Regione Lombardia.
2.Le Regioni ricorrenti muovono dalla considerazione della disciplina delle cosiddette "quote latte", finalizzata al contenimento della produzione eccedente nel mercato europeo e contenuta nella legge 26 novembre 1992, n. 468 e nel decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, prima della conversione. Ad avviso delle ricorrenti tali atti normativi sono da ritenersi in armonia con il diritto comunitario, mentre verrebbero insanabilmente a contrastare con tale diritto le modificazioni introdotte dalla legge di conversione n. 46 del 1995, oggetto di impugnativa. Queste ultime, comportando delle conseguenze automatiche, verrebbero altresì a ledere i poteri di indirizzo, programmazione e controllo spettanti alle Regioni nel settore lattiero-caseario.
Le Regioni, con riferimento alla legge n. 468 del 1992, rilevano che le quote latte per i produttori aderenti all'UNALAT (Unione nazionale fra le associazioni di produttori di latte bovino) e all'AZOOLAT (Associazione produttori latte) sono articolate in due parti distinte, l'una (A) commisurata alla produzione commercializzata nel periodo 1988-1989, l'altra (B) pari alla maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992, e che all'AIMA (Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo) è demandata la redazione degli elenchi dei produttori titolari di quota e la loro pubblicazione in appositi bollettini. Le stesse ricorrenti sottolineano che, ai fini della periodica rideterminazione delle quote nazionali spettanti all'Italia (in conformità del regolamento CEE del Consiglio n. 804 del 1968), alle Regioni è assegnato il compito di vigilare sulla produzione dei singoli operatori e di comunicare all'AIMA eventuali situazioni di quota assegnata superiore a quella effettiva e che al Ministro dell'agricoltura e foreste previo parere della Conferenza Stato-Regioni e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative è conferito il potere di stabilire, tenendo conto dell'esigenza di mantenere nelle aree di montagna e svantaggiate la maggiore quantità di produzione di latte, i criteri generali per l'allineamento della produzione, nell'arco di un triennio, con le quote nazionali, in caso di eccedenza della somma delle quote attribuite ai singoli produttori rispetto alla quota nazionale individuata in sede comunitaria.
3.In ordine alla violazione dell'art. 11 della Costituzione, le Regioni ricorrenti si soffermano preliminarmente sull'ammissibilità della censura. In proposito, richiamata la sentenza n. 384 del 1994, si sostiene che, dovendo la Corte pronunciarsi sull'ordine costituzionale delle competenze per garantire allo Stato e alle Regioni il rispetto dei relativi ambiti, non si porrebbe il problema della rilevanza che ostacola l'ingresso della stessa censura nel giudizio incidentale dove, dovendo il giudice (sentenza n. 170 del 1984) e/o la pubblica amministrazione (sentenza n. 389 del 1989) disapplicare la norma, la decisione sulla questione di costituzionalità sarebbe inutiliter data.
Le Regioni si soffermano, inoltre, sull'interesse loro spettante a far valere la violazione del diritto comunitario, rilevando che proprio dalla violazione dei precetti comunitari deriverebbe l'espropriazione delle competenze regionali. A tal proposito sono richiamate, quali "norme interposte", l'art. 2 della legge n. 468 del 1992, che vieta qualsiasi incremento delle quote individuali, nonchè l'art. 10, comma 11, della stessa legge, che affida alle Regioni il potere di assegnare quote ai giovani agricoltori, o ai produttori di aziende suscettibili di sviluppo o alle aziende di montagna, utilizzando quantitativi della riserva regionale.
4.Passando al merito delle questioni, i ricorsi si soffermano in primo luogo sulle questioni di legittimità costituzionale, che hanno in comune il parametro di cui all'art. 11 della Costituzione, da un lato, e i parametri di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dall'altro.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, l'art. 2, comma 2-bis, della legge impugnata contrasterebbe con l'art. 6, punto 3, del regolamento CEE n. 2328/91 nella parte in cui prevede che "la concessione dell'aiuto ... per investimenti nel settore della produzione lattiero-casearia determinanti un superamento del quantitativo di riferimento ... è esclusa, salvo qualora un quantitativo di riferimento supplementare sia stato precedentemente accordato a norma ... del regolamento CEE n. 857/84 del Consiglio". A fondamento della censura le Regioni deducono che, dal 12 marzo 1985, data di entrata in vigore del regolamento CEE n. 797/85, non hanno approvato, in conformità alle norme comunitarie, piani di sviluppo e adeguamento che prevedessero incrementi della produzione lattiero-casearia. La norma impugnata, invece, privilegerebbe comportamenti tenuti in passato da altre Regioni in violazione del divieto comunitario, determinando un'invasione della sfera di competenza legislativa e amministrativa regionale. La penalizzazione delle Regioni ricorrenti deriverebbe, oltre che dalla impossibilità di riconoscere ai propri operatori agricoli limiti di produzione più vantaggiosi in sostituzione delle quote A e B, anche dalla riduzione della produzione complessiva, quale effetto del riconoscimento alle altre Regioni di più elevate soglie di produzione.
L'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge impugnata sussisterebbe pure rispetto agli artt. 3 e 41 della Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, comportando una discriminazione tra gli operatori agricoli, fondata su un parametro classificatorio vietato dalla disciplina comunitaria.
5.Tutti i parametri costituzionali suddetti, ed inoltre l'art. 97, sono invocati nei confronti dell'art. 2, comma 1, lettera b), della legge impugnata.
In proposito si lamenta l'inclusione, ai fini della sottrazione alla riduzione delle quote prevista dalla legge, delle zone svantaggiate, equiparate e delle isole, nella stessa categoria delle zone montane. Secondo la prospettazione delle ricorrenti, la normativa comunitaria disciplinerebbe espressamente solo le aree montane (dir. CEE Consiglio n. 75/268) e non quelle svantaggiate, mentre la norma impugnata altererebbe il quadro delineato dalla legge n. 468 del 1992, che assegnerebbe alle zone montane un trattamento privilegiato rispetto a quelle svantaggiate.
L'art. 2, comma 1, lettera b, comportando il trasferimento di tutte le riduzioni delle quote latte nelle zone non svantaggiate, quali quelle comprese nella gran parte del territorio delle ricorrenti, avrebbe incidenza non solo sull'economia ma anche sulle competenze amministrative e legislative delle Regioni ricorrenti, comportando conseguenze del tutto al di fuori del controllo regionale.
6.Gli artt. 11, 117 e 118 della Costituzione si assumono violati anche dall'art. 2, comma 1, lettera 0.a), dove la riduzione della quota A non in produzione avverrebbe senza far decorrere un lasso di tempo di ragionevole durata nel quale persista la mancata produzione, in contrasto con quanto prescritto dal regolamento CEE n. 3950/92 (art. 5), dalla legge n. 468 del 1992 (art. 2, comma 4) e dal suo regolamento di esecuzione (artt. 2 e 3 del d.P.R. 23 dicembre 1993, n. 569).
7.Rispetto all'art. 2, comma 1, della legge impugnata, viene dedotta la violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, in riferimento all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo il quale la Conferenza StatoRegioni deve essere sempre sentita in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale. Le Regioni lamentano il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella determinazione del programma di rientro delle eccedenze lattiero-casearie. L'art. 2, comma 1, impugnato, affidando solo all'EIMA il potere di procedere alla riduzione delle quote individuali e prescindendo da qualunque partecipazione regionale al procedimento, lederebbe le competenze regionali in materia di agricoltura, nonchè il generalissimo principio di leale cooperazione nei rapporti tra Stato e Regioni: e questo in contrasto anche con la legge n. 468 del 1992 (art. 2, comma 8) che prevedeva tale coinvolgimento e assegnava alle Regioni (art. 2, comma 7) poteri di controllo sulla produzione effettiva nonchè il compito di adeguare la quota assegnata a quella effettiva, ove quest'ultima fosse risultata inferiore alla prima.
8.Rispetto all'art. 2-bis la Regione Lombardia deduce la violazione degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, in riferimento all'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come specificato dall'art. 16 del d.P.R. 23 dicembre 1993, n. 569.
Secondo la prospettazione della ricorrente, la disposizione impugnata, consentendo ai produttori l'autocertificazione e agli acquirenti di servirsene per le proprie dichiarazioni, depotenzierebbe il controllo regionale che, nelle more dell'accertamento definitivo delle posizioni individuali, non potrebbe produrre alcuna effettiva conseguenza, e si troverebbe impedito nella tempestiva repressione dei comportamenti tenuti in violazione delle previsioni attributive delle quote.
9.Nei due ricorsi nessuno sviluppo trova la censura formulata nei confronti dell'art. 1, comma 2, della legge impugnata.
10.In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili e, comunque, infondati.
11.In prossimità dell'udienza l'Avvocatura dello Stato ha depositato per i due ricorsi identiche memorie difensive, dove si svolge un'ampia ricostruzione della normativa, comunitaria e nazionale, in materia di quote latte e si illustrano i motivi che hanno condotto all'adozione del decreto-legge n. 727 del 1994 e della relativa legge di conversione.
In particolare, la difesa dello Stato fa presente che, dopo l'approvazione della legge n. 468 del 1992, la trattativa tra l'Italia e la Comunità volta ad ottenere un aumento della quota nazionale e una diminuzione del prelievo supplementare dovuto per gli anni pregressi si è conclusa con un accordo, nel senso di un aumento di 900.000 tonn. della quota nazionale e della riduzione, pari a 1.600.000 tonn., della produzione complessiva, da realizzarsi entro il 1° aprile 1995, in modo da risolvere il divario tra la quota di 9.000.000 tonn. assegnata all'Italia e la produzione effettiva stimata di 11.500.000 tonn.. Nell'ambito di tale accordo è stato consentito all'Italia di derogare transitoriamente al limite della quota nazionale, fermo rimanendo l'obbligo di rientrare nella quota definitivamente assegnata entro il 1° aprile 1995. Così, attuata l'assegnazione delle quote individuali nel dicembre 1994, si sarebbe reso necessario prevedere per evitare di incorrere nelle connesse responsabilità finanziarie un meccanismo più rapido per il rientro, essendo troppo lungo quello previsto dall'art. 2, comma 8, della legge n. 468 del 1992. A queste esigenze risponderebbero sia il decreto-legge n. 727 del 1994 che la legge di con versione n. 46 del 1995.
Passando all'esame delle singole censure, la difesa dello Stato, con riferimento all'art. 2, comma 2-bis, ritiene non sussistente la violazione dell'art. 6, punto 3, del regolamento CEE n. 2328/91. La norma comunitaria, se esclude la concessione di finanziamenti per investimenti nelle aziende del settore lattiero-caseario, comportanti un aumento del quantitativo di produzione, non escluderebbe, invece, l'approvazione dei piani di sviluppo e di miglioramento. Si aggiunge che, prima della legge n. 468 del 1992, in Italia non poteva neppure parlarsi di quote individuali, essendo la quota nazionale assegnata all'UNALAT, che la distribuiva ai produttori secondo il proprio statuto. Inoltre, la disposizione impugnata sarebbe ragionevole, concedendo ai produttori che hanno confidato nell'approvazione dei piani da parte delle Regioni la possibilità di sostituire le quote, ancorate alla commercializzazione effettiva nel 1988/89 e alla maggior produzione nel 1991/92, con gli obiettivi di piano.
Rispetto all'art. 2, comma 1, lettera b), l'Avvocatura riconduce alla discrezionalità del legislatore, connessa a valutazioni di politica economica, il fatto di aver esteso alle aziende delle zone svantaggiate, equiparate e delle isole l'esonero dalla riduzione delle quote. La razionalità della norma impugnata viene individuata anche nella conformità con la disciplina posta dalla legge n. 468 del 1992, la quale già aveva previsto la finalità di mantenere una maggiore quantità di produzione nelle zone di montagna e svantaggiate.
Con riferimento al mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni nella determinazione del programma di rientro (art. 2, comma 1, impugnato), l'Avvocatura sottolinea l'inderogabile necessità di procedere in tempi rapidi (entro il 1° aprile 1995) alla riduzione: da ciò l'esigenza di una procedura più snella, rispetto a quella prevista dall'art. 2, comma 8, della legge n. 468 del 1992, che, comunque, sarebbe legittima attenendo ad un programma tipicamente nazionale. D'altra parte, sottolinea ancora la difesa dello Stato, non occorrono ulteriori previsioni normative affinchè la Conferenza possa essere consultata, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 400 del 1988.
Infine, rispetto all'art. 2-bis, l'Avvocatura sottolinea che l'autocertificazione, con l'obiettivo di snellire le procedure per tutto il territorio nazionale responsabilizzando i produttori, non può depotenziare i controlli regionali, come risulta dimostrato dal riconoscimento di analogo potere autocertificativo in molti altri settori.
12.In prossimità dell'udienza anche le Regioni hanno depositato memorie per illustrare i ricorsi, sia con riferimento alla ammissibilità che alla fondatezza dei diversi motivi di censura.
Considerato in diritto
1. ricorsi proposti dalla Regione Lombardia e dalla Regione Veneto sono, per la massima parte delle questioni sollevate, coincidenti.
I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. I ricorsi investono la materia delle c.d. "quote latte" la cui previsione, in attuazione di vari regolamenti comunitari (v., in particolare, i regolamenti CEE n. 804/68, n.856/84 e n. 3950/92), è stata introdotta nel diritto interno al fine di contenere gli eccessi di produzione che da tempo si registrano, in ambito europeo, nel settore lattiero-caseario. La disciplina attuativa fondamentale veniva posta con la legge 26 novembre 1992, n. 468 (Misure urgenti nel settore lattiero caseario), che assegnava ai produttori quote di produzione articolate in due parti (A e B) e attribuiva alle Regioni, al Ministero dell'agricoltura e foreste ed all'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA) il compito di verificare l'andamento del mercato ai fini del rispetto delle quote assegnate ai produttori italiani e di imporre il c.d. "prelievo supplementare" da applicare sul prodotto in conseguenza del superamento di tali quote (v., in particolare, gli artt. 2 e 5). A seguito dei ritardi connessi all'attuazione di tale disciplina, conseguenti alla difficoltà di individuare ed assegnare le quote di produzione, l'Italia veniva sottoposta da parte degli organi comunitari ad una forte sanzione pecuniaria. Da qui l'apertura di una trattativa che conduceva all'adozione di un "compromesso" da parte del Consiglio CEE, dove veniva concesso all'Italia un aumento della quota nazionale a condizione di ricondurre la produzione al rispetto di tale quota entro il 31 marzo 1995. L'esigenza di ottemperare a tale impegno nel termine indicato induceva, quindi, il Governo italiano ad adottare il decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, dove, a parziale deroga di quanto disposto con la legge n. 468 del 1992, si introduceva una procedura abbreviata di riduzione percentuale da parte dell'EIMA delle quote B di produzione, con esclusione delle sole aziende situate nelle zone montane. In sede di conversione di tale decreto-legge da parte della legge n. 46 del 1995 sono state, peraltro, introdotte varie modificazioni, mediante le quali si è stabilito:
a) che i produttori che hanno ottenuto, anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 468 del 1992, l'approvazione da parte regionale o provinciale di un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico e che hanno già realizzato tale piano, possono chiedere l'assegnazione di una quota corrispondente all'obiettivo di produzione indicato nel piano, in sostituzione delle quote A e B ad essi spettanti (art. 2, comma 2-bis);
b) che sono esclusi dalla riduzione non solo i produttori le cui aziende sono ubicate nei Comuni montani, ma anche quelli operanti nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate, nonché nelle isole (art. 2, comma 1, lettera b);
c) che, accanto alla quota B, va ridotta anche la quota A non in produzione, ove la stessa ecceda il 50 per cento della quota A attribuita (art. 2, comma 1, lettera 0.a);
d) che i produttori hanno la possibilità, in ogni caso di contenzioso e nelle more dell'accertamento definitivo delle posizioni, di autocertificare le produzioni e gli acquirenti quella di richiamare nelle proprie denuncie i quantitativi autocertificati (art. 2-bis). Ad avviso delle due Regioni ricorrenti, queste innovazioni, introdotte dalla legge n. 46 del 1995, sarebbero tali da danneggiare economicamente la posizione dei produttori operanti nei rispettivi territori regionali, ledendo, di conseguenza, i poteri di indirizzo, programmazione e controllo nel settore lattiero-caseario spettanti alle stesse Regioni. Da qui le impugnative in esame che investono, secondo l'ordine prospettato, le seguenti disposizioni della legge n. 46 del 1995:
a) l'art. 2, comma 2-bis, per violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118 della Costituzione, sotto il profilo della contrarietà a norme comunitarie e della invasione della sfera di competenza legislativa e amministrativa regionale (primo motivo), nonché per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 (secondo motivo);
b) l'art. 2, comma 1, lettere b) e 0.a), per violazione degli artt. 5, 11, 117 e 118, sotto il profilo dei rapporti tra Stato e Regioni e della contrarietà al diritto comunitario, nonché per violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 (terzo motivo);
c) l'art. 2, comma 1, per violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonché per violazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato e le Regioni (quarto motivo);
d) l'art. 2-bis, per violazione degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, con riferimento all'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, come ulteriormente specificato dall'art. 16 del d.P.R. n. 569 del 1993 (quinto motivo).
I ricorsi sono infondati con riferimento alle questioni sollevate con il primo, secondo, terzo e quinto motivo; fondati in parte con riferimento alla questione sollevata con il quarto motivo.
3. primi tre motivi dei ricorsi prospettano censure che investono essenzialmente la violazione di norme comunitarie e, di conseguenza, dell'art. 11 della Costituzione.
Tali censure, ancorchè ammissibili in relazione all'impugnabilità da parte delle Regioni, in sede di giudizio principale, delle leggi statali lesive delle competenze regionali in quanto in contrasto con la normativa comunitaria (v. sentenze nn. 94 e 482 del 1995) non sono fondate.
4.Per quanto concerne l'art. 2, comma 2-bis, censurato con il primo motivo va innanzitutto rilevato che la norma ivi espressa, nel far salvi gli obiettivi produttivi connessi ai piani di sviluppo e di miglioramento approvati prima dell'entrata in vigore della legge n. 468 del 1992 e già realizzati, non contrasta sotto alcun profilo con l'art. 6, comma 3, del regolamento CEE n. 2328/91, dove si vietano gli aiuti agli investimenti nel settore lattiero-caseario che siano in grado di determinare un superamento delle quote assegnate. La norma impugnata, limitandosi a far salvi gli obiettivi produttivi individuati in piani da tempo approvati e già realizzati, si presenta, infatti, estranea al regime degli aiuti regolato dalla norma comunitaria chiamata a raffronto, aiuti comportanti erogazioni finanziarie e destinati a investimenti connessi a piani ancora da realizzare.
Nè la violazione dell'art. 11 della Costituzione può essere fatta valere assumendo quali norme interposte quelle espresse nella legge n. 468 del 1992, (e, in particolare, negli artt. 2 e 10, comma 11, di tale legge) che, in quanto norme di diritto interno, non appaiono suscettibili di trovare il loro riferimento diretto nel suddetto parametro costituzionale: e questo anche a voler prescindere dalla considerazione che la norma impugnata non appare idonea contrariamente a quanto si prospetta nei ricorsi a determinare "sfondamenti" della quota nazionale, ove si consideri che la salvezza degli obiettivi produttivi connessi ai piani già approvati e realizzati comporta pur sempre il rispetto dei limiti inerenti a tale quota, limiti da preservare mediante compensazioni tra le quote assegnate ai diversi produttori.
Infine, la norma in esame non può neppure ritenersi lesiva degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in quanto discriminatoria ed ingiustificatamente penalizzante per gli operatori presenti nell'ambito territoriale delle Regioni ricorrenti (secondo motivo). E invero, la circostanza che tali Regioni, a differenza di altre, non abbiano a suo tempo approvato piani di sviluppo o di miglioramento in grado di determinare un incremento della produzione lattiero-casearia esprime soltanto un dato di fatto, connesso ad una precedente scelta di politica amministrativa, che non può essere fatto valere come presupposto per affermare una disparità di trattamento irragionevolmente perpetrata attraverso la norma impugnata: non senza considerare che, sul piano della ragionevolezza, la norma stessa può trovare adeguata giustificazione nell'esigenza di far salvi gli affidamenti maturati da taluni produttori prima dell'entrata in vigore della disciplina di diritto interno relativa al settore e del la determinazione di limiti di produzione connessi all'assegnazione delle quote individuali.
5.Infondate si presentano anche le censure formulate nel terzo motivo, che investono sia l'art. 2, comma 1, lettera b), dove, ai fini dell'esclusione dalla riduzione delle quote, le zone svantaggiate, quelle ad esse equiparate e le isole vengono equiparate ai Comuni montani; sia l'art. 2, comma 1, lettera 0.a), dove si disciplina la riduzione delle quote A non in produzione.
Per quanto concerne il primo profilo va rilevato che, a differenza di quanto si legge nei ricorsi, l'equiparazione delle zone di montagna, delle zone svantaggiate, di quelle equiparate e delle isole non viene a contrastare con i principi espressi nella direttiva del Consiglio CEE n. 268/75. In proposito va, infatti, rilevato che, ai sensi dell'art. 3 di tale direttiva, le zone di montagna, le zone svantaggiate e le zone equiparate alle svantaggiate (comprensive anche di aree individuabili nelle isole) vengono collocate sullo stesso piano, dal momento che la direttiva inquadra, nella categoria generale delle "zone agricole svantaggiate" sia le zone di montagna, sia le zone svantaggiate, in quanto minacciate di spopolamento, sia le zone assimilate a quelle svantaggiate, nelle quali ricorrano svantaggi specifici. Ma ciò che più interessa è che tale classificazione è stata confermata anche nella direttiva del Consiglio n. 273/75, che ha applicato la direttiva n. 268/75 specificamente al territorio italiano.
D'altro canto, la stessa legge n. 468 del 1992, nel richiamare i criteri generali per la riduzione delle quote, aveva sottolineato l'esigenza di mantenere la maggiore quantità di produzione "nelle aree di montagna e svantaggiate", collocate, a questo fine, sullo stesso piano, mentre la deroga espressa nell'art. 5, comma 12, della stessa legge n. 468 dove la posizione delle zone svantaggiate è stata considerata subordinatamente a quella delle zone di montagna non è tale da assumere valore ai fini del giudizio sulla norma impugnata, stante la particolarità della fattispecie (procedura di compensazione) da tale disposizione regolata.
Per quanto concerne poi il secondo profilo della censura, che investe l'art. 2, comma 1, lettera 0.a), v'è da rilevare che nè dalla normativa comunitaria (art. 5 del regolamento n. 3950/92), nè dalla normativa interna (art. 2, comma 4, della legge n. 468 del 1992) è dato desumere l'esistenza di un principio in grado di condizionare, in ogni caso, la riduzione delle quote al decorso di un lasso di tempo di ragionevole durata. Nè va trascurato che la riduzione immediata delle quote A non in produzione trova la sua giustificazione nell'esigenza di rispettare il termine fissato in sede comunitaria per il rientro nella quota nazionale e che un elemento di gradualità può rinvenirsi nella previsione che la riduzione opera soltanto quando la quota non in produzione sia tale da superare il limite del 50 per cento della quota assegnata.
6.Neppure la questione sollevata nei confronti dell'art. 2-bis (con il quinto motivo del ricorso, proposto soltanto dalla Regione Lombardia) si presenta fondata. Il fatto di consentire ai produttori l'autocertificazione della produzione ed agli acquirenti di utilizzarla per le proprie dichiarazioni, se comporta uno snellimento delle procedure di accertamento, non è, peraltro, tale da impedire o depotenziare i controlli affidati alle Regioni in ordine al rispetto delle quote assegnate. Al contrario, i controlli in questione risulteranno pur sempre possibili anche nelle forme di cui all'art. 16 del d.P.R. n. 569 del 1993 per accertare, ai fini della rilevazione di eventuali infrazioni, la rispondenza dei quantitativi autocertificati sia alle quote assegnate che ai quantitativi effettivamente prodotti.
7.La censura sollevata con il quarto motivo enunciato nei due ricorsi nei confronti dell'art. 2, comma 1, della legge n. 46 del 1995, risulta, invece, almeno in parte, fondata .
Di tale censura non può essere condivisa la parte relativa all'asserita necessità di un coinvolgimento, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 400 del 1988, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome nelle riduzioni, operate dall'AIMA, delle quote A e B assegnate ai singoli produttori. È noto che la Conferenza permanente, in quanto organo "di informazione, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale", viene consultata, tra l'altro, "sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione ed attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali" (v. art. 12, commi 1 e 5, lettera b), della legge n. 400 del 1988): e questo può spiegare la previsione della presenza di tale organo in funzione consultiva nella determinazione dei "criteri generali" diretti a realizzare ai sensi dell'art. 2, comma 8, della legge n. 468 del 1992 "l'esatta rispondenza delle quantità assegnate ai produttori con le quote nazionali spettanti all'Italia". Alla luce della disciplina contenuta nell'art. 12 suddetto, del tutto inappropriata risulterebbe, invece, la presenza dello stesso organo nel procedimento di cui all'art. 2, comma 1, della legge n. 46 del 1995, dove entra in gioco soltanto l'adozione di provvedimenti specifici da parte dell'AIMA ai fini della riduzione delle quote individuali spettanti ai singoli produttori di latte bovino. Il che, peraltro, non può condurre anche ad escludere che sempre ai sensi dell'art. 12 della legge n. 400 del 1988 la Conferenza permanente possa essere consultata nell'ipotesi in cui s'intendano adottare "indirizzi generali", integrativi di quelli espressi nella legge e in grado di orientare l'azione dell'AIMA nell'attività di riduzione delle singole quote.
La censura sollevata con il motivo in esame si presenta, d'altro canto, fondata nella parte in cui contesta la lesione degli artt. 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, in relazione alla mancata previsione, nella norma impugnata, di qualsivoglia partecipazione regionale nel procedimento di riduzione delle quote individuali. E invero, ove si considerino i contenuti della disciplina in esame, che investe interventi sulla dimensione produttiva di aziende comprese nel settore agricolo (v. sentenza n. 304 del 1987), la completa esclusione delle Regioni dal procedimento in questione non può trovare adeguata giustificazione nè in relazione all'urgenza con cui si è dovuto provvedere ai fini del rientro nella quota nazionale nè in relazione alla presenza, connessa a tale rientro, di un interesse nazionale al rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. Non senza, d'altro canto, considerare che la procedura già adottata dall'art. 2, comma 7, della legge n. 468 del 1992, aveva affidato direttamente alle Regioni la riduzione delle quote assegnate, ove le stesse fossero risultate maggiori della produzione effettiva.
Ora, rispetto alla fattispecie regolata dalla norma in esame, pur tenendo conto dei motivi che hanno condotto all'adozione di un procedimento abbreviato di riduzione delle quote incentrato sull'AIMA, la presenza regionale andava in ogni caso salvaguardata, quanto meno nella forma della richiesta di parere. E questo tanto più ove si consideri che le ipotesi di sottrazione alla procedura di riduzione contemplate nei commi 1 e 2-bis dell'art. 2 sono tali da involgere, almeno in prevalenza, valutazioni spettanti alla sfera dei poteri regionali.
Da qui l'accoglimento parziale del motivo proposto e la conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non ha previsto, ai fini della riduzione delle quote individuali, il parere delle Regioni territorialmente competenti.
8.Nell'epigrafe e nelle conclusioni dei due ricorsi si denuncia anche l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n. 46 del 1995. La questione non ha, peraltro, trovato svolgimento alcuno nel contesto dei due ricorsi e va, pertanto, dichiarata inammissibile per assoluta carenza di motivazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge 24 febbraio 1995, n. 46 (Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria), che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, nella parte in cui non prevede il parere delle Regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettere 0.a) e b), e comma 2-bis, nonchè dell'art. 2-bis, della stessa legge, in riferimento agli artt. 3, 5, 11, 41, 97, 117 e 118 della Costituzione, questioni sollevate con i ricorsi di cui in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, della stessa legge, sollevata con i ricorsi di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.
Mauro FERRI, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 28/12/95.