Sentenza n. 445 del 1995

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SENTENZA N. 445

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo e terzo comma, del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39, promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1995 dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento civile vertente tra Quattrocchi Giuseppe e Crevatin Lucio ed altra, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del giudizio d'appello promosso da Giuseppe Quattrocchi contro Lucio Crevatin e la S.p.a. La Previdente Assicurazioni per l'annullamento della sentenza 25 luglio 1992 del Tribunale di Trieste, che aveva liquidato il danno da lucro cessante, cagionato all'appellante da un incidente stradale, sulla base del reddito risultante dalle dichiarazioni fiscali acquisite al processo, la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza dell'11 gennaio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo e terzo comma, del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39. Ad avviso del giudice rimettente, la normativa impugnata - in quanto prevede che per i lavoratori il danno da lucro cessante sia liquidato sulla base del reddito risultante dalle denunce fiscali prodotte in giudizio, mentre "in tutti gli altri casi" la base di calcolo non può essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale - determina una ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori che esibiscano una dichiarazione da cui risulta un reddito inferiore al triplo della pensione sociale o coloro che, non avendo offerto alcuna dimostrazione del proprio reddito effettivo, ottengono un risarcimento liquidato sulla base convenzionale, per ipotesi piu' elevata, indicata nel terzo comma dell'art. 4.

Una diversa interpretazione, sostenuta da una parte della giurisprudenza, che generalizza l'applicabilità di tale base di calcolo riferendola anche al caso di esibizione di una dichiarazione fiscale attestante un reddito inferiore al triplo della pensione sociale, è ritenuta preclusa dalla lettera del primo comma. Il terzo comma ha carattere di norma residuale, la quale finisce col "premiare chi furbescamente non si premura di dare prova del proprio reddito inferiore".

2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Secondo l'interveniente l'art. 4, primo comma, del d.l. n. 857 del 1976 ha una finalità esclusivamente probatoria, e quindi non esclude che il criterio del triplo della pensione sociale previsto nel terzo comma possa essere assunto a parametro di liquidazione del danno da lucro cessante non solo in ipotesi di mancanza di reddito, ma anche in ipotesi di dimostrazione di un reddito piu' basso rispetto al detto criterio.

Considerato in diritto

1. - La Corte d'appello di Trieste ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo e terzo comma, del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39. Il primo comma dispone: "Nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si de termina per il lavoro dipendente sulla base del reddito di lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge, e per il lavoro autonomo sulla base del reddito netto risultante piu' elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall'apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro, ai sensi dell'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600". Fatta salva nel secondo comma la prova contraria, il terzo comma soggiunge: "In tutti gli altri casi, il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale". Secondo il giudice rimettente tale disciplina viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) perchè determina una irrazionale disparità di trattamento tra i danneggiati, lavoratori dipendenti o autonomi, che dimostrino, mediante esibizione in giudizio delle rispettive denunce fiscali o altrimenti, il reddito effettivamente goduto e coloro che tale prova non forniscono: ai secondi il danno da lucro cessante sarebbe liquidato sulla base convenzionale del triplo della pensione sociale, mentre ai primi sarebbe liquidato sulla base del reddito effettivo, anche se inferiore al detto limite convenzionale. Sarebbe cosi' posto "in condizione piu' svantaggiata colui che percepisce un reddito inferiore al triplo annuo della pensione sociale rispetto a chi allo stato non gode di alcun reddito".

2. - La questione non è fondata. L'interpretazione seguita dal giudice rimettente, che ascrive alla normativa denunciata un significato assurdo, non è la sola compatibile con la lettera della legge. Pur nei limiti del tenore letterale della disposizione, il canone dell'interpretazione logica impone una diversa interpretazione, che riconduce la normativa in esame a razionalità. Quando il danneggiato sia titolare di un reddito di lavoro dipendente o autonomo, la base di calcolo del danno per lucro cessante conseguente all'inabilità temporanea o all'invalidità permanente causata dal sinistro è - giusta un criterio di piu' probabile corrispondenza al vero - il reddito effettivo commisurato al reddito monetario percepito in un periodo immediatamente precedente, definito dalla legge. Il primo comma dell'art. 4 agevola al danneggiato l'assolvimento dell'onere della prova attribuendo valore di presunzione legale alle risultanze delle dichiarazioni rese dal sostituto d'imposta (modello 101) o dal lavoratore (modello 740) ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. La presunzione è iuris tantum, essendo ammessa la prova contraria, sia nel senso della dimostrazione di un reddito piu' elevato di quello dichiarato, sia nel senso della dimostrazione di circostanze contingenti ed eccezionali che hanno inciso negativamente sull'attività produttiva del reddito nel periodo di riferimento, rendendolo inattendibile come parametro di determinazione della base di calcolo. Malgrado la lettera della legge, che parla di prova contraria e quindi sembra presupporre l'acquisizione al processo delle denunce fiscali, il primo comma non limita la disponibilità dei mezzi di prova. Il danneggiato può omettere l'allegazione della documentazione fiscale fornendo con altri mezzi la prova del proprio reddito, e del resto non mancano casi in cui il criterio del primo comma non è applicabile, quali i casi dell'evasore totale, del titolare di un reddito inferiore al minimo imponibile o del lavoratore di nuova assunzione al quale l'infortunio ha impedito di prendere servizio. Ciò che al lavoratore non è consentito è il rifiuto di esibire le dichiarazioni fiscali allo scopo di sottrarsi all'onere di provare il reddito effettivo invocando la liquidazione del risarcimento sulla base del reddito minimo forfettario indicato nel terzo comma. Se il lavoratore non fornisce alcuna prova, nè secondo il criterio privilegiato del primo comma (incluso il caso sopra ricordato di allegazione di una dichiarazione fiscale con reddito negativo imputabile a circostanze contingenti ed eccezionali), nè con i mezzi normali previsti dal secondo comma, nessun risarcimento potrà essergli liquidato a titolo di lucro cessante per il periodo trascorso di inabilità temporanea, e solo a certe condizioni, tali da giustificarne l'equiparazione ai soggetti attualmente privi di reddito di lavoro, potrà essere applicato il terzo comma per la liquidazione del danno futuro derivante da un eventuale residuo di invalidità permanente.

3. - Secondo l'orientamento piu' recente della Corte di cassazione, il terzo comma dell'art. 4, "riferito a tutti gli altri casi, disciplina le fattispecie in cui il danneggiato non è lavoratore dipendente o autonomo o, piu' in generale, quelle in cui il danno futuro incide su soggetti nell'attualità privi di reddito da lavoro, ma potenzialmente idonei a produrlo" (Cass. nn. 5669 del 1994, 6074 del 1995). La norma è applicabile anche ai lavoratori dipendenti o autonomi non solo nell'ipotesi, espressamente contemplata dalla prima delle sentenze citate, di reddito attuale negativo in relazione a particolari contingenze, ma in tutte le ipotesi di reddito, anche positivo, con caratteristiche (esiguità, discontinuità o precarietà del lavoro, livello di mansioni inferiore alle capacità professionali del lavoratore, ecc.) tali da escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro, e sempre che il materiale probatorio non fornisca altri elementi di calcolo piu' favorevole di quello operato sulla base convenzionale del triplo annuo della pensione sociale. Cosi' interpretate, le norme denunciate non presentano aspetti di irrazionalità, nè di contrarietà al principio di eguaglianza. L'ultima obiezione del giudice rimettente, secondo cui esse attribuiscono irragionevolmente un trattamento piu' vantaggioso a chi non gode allo stato di alcun reddito di lavoro rispetto al lavoratore che esibisce una dichiarazione fiscale attestante un reddito inferiore a tre volte l'ammontare della pensione sociale, muove dal raffronto di due termini non omogenei e perciò non comparabili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo e terzo comma, del decreto- legge 23 dicembre 1976, n. 857 (Modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trieste con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/10/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/10/95.