SENTENZA N. 436
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 147 del codice penale militare di pace promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma nel procedimento penale a carico di Brunelli Vincenzo, iscritta al n. 21 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto in fatto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, in sede di decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio per il reato di allontanamento illecito previsto dall'art. 147, primo comma, del codice penale militare di pace, solleva, con ordinanza del 19 ottobre 1994, questione di legittimità costituzionale del citato art. 147, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, "nella parte in cui punisce l'assenza dal servizio, per un giorno, non ripetuta".
Osserva il giudice a quo che la norma sanziona, sia nella fattispecie di cui al primo comma (allontanamento non autorizzato dal servizio, che ricomprende secondo la giurisprudenza anche il mancato rientro dalla libera uscita), sia in quella di cui al secondo comma (ritardata presentazione al servizio), le assenze dal servizio che raggiungano la durata di almeno un giorno (e che non superino i quattro, scattando altrimenti la fattispecie della diserzione).
L'incriminazione penale di una assenza rientrante nei limiti detti è sospettata di incostituzionalità, in riferimento al parametro dell'eguaglianza, nel raffronto con quanto dispone il regolamento di disciplina militare (d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545; adottato ex art. 5, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382), che, al punto 31) dell'allegato C, stabilisce che può essere applicata la sanzione disciplinare della consegna di rigore - la quale consiste nella permanenza fino a quindici giorni in apposito spazio dell'ambiente militare - nei confronti del militare che incorra nel "ritardo ingiustificato e ripetuto superiore alle otto ore nel rientro dalla libera uscita, dalla licenza o dal permesso".
Ritiene il giudice a quo che la presenza del requisito della ripetizione nell'ambito della condotta sanzionabile in via disciplinare, e l'assenza invece di analogo requisito di abitualità nell'ambito della fattispecie penale denunziata, determini una irragionevole "rottura nella gradualità del trattamento sanzionatorio fra condotte di assenza dal servizio di diversa gravità".
Da un lato - osserva il rimettente - un ritardo che, anche per poco tempo, non raggiunga la durata minima di un giorno e dunque non configuri il reato di allontanamento illecito non può essere sanzionato con la consegna di rigore ove non sia ripetuto: dunque per comportamenti immediatamente contigui quanto a gravità si passerebbe direttamente da una sanzione disciplinare di minore gravità della consegna di rigore alla sanzione penale.
Dall'altro, la ripetizione, anche per una serie indefinita di volte, di ritardi inferiori a un giorno ma prossimi a quelli di rilievo penale, verrebbe comunque ad essere punita una sola volta con la sanzione disciplinare della consegna di rigore, pur rappresentando una condotta "complessivamente" più grave di quella di un ritardo isolato di almeno un giorno, penalmente rilevante.
Unica soluzione per ovviare a simili inconvenienti è, ad avviso del rimettente, quella di introdurre anche per la previsione penale denunciata un requisito di abitualità analogo a quello stabilito in ambito disciplinare, onde temperare il rigore della disciplina punitiva, immutata dal 1941 ed ispirata a valori diversi da quelli recati dalla legge sulla disciplina militare del 1978.
Si osserva inoltre nell'ordinanza di rinvio che l'intervento richiesto alla Corte costituzionale risulterebbe in armonia con recenti proposte di modifica legislativa e segnatamente con uno schema di legge-delega per la riforma della legislazione penale militare di pace apprestato da apposita commissione ministeriale. In detto elaborato si sottolinea la scarsa o nulla offensività di condotte occasionali di assenza dal reparto per breve tempo, e al contempo si rimarca l'esigenza di prevenire assenze ripetute, per le quali la sanzione disciplinare appare un deterrente non sufficiente, attraverso la prefigurazione "di un reato abituale". Lo strumento ipotizzato de iure condendo coinciderebbe dunque con il tipo di addizione richiesta alla Corte costituzionale.
Non incide da ultimo, ai fini della sollevata questione, il requisito di procedibilità della richiesta del comandante di corpo (ex art. 260 c.p.m.p.), giacchè nessun criterio è fornito ai comandanti nell'esercizio di tale potere - non quello della "reiterazione" o abitualità della condotta - e comunque perchè nel caso di specie la richiesta risulta proposta.
2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, allegando la sostanziale identità della questione con altra sollevata sulla stessa norma, e già dichiarata manifestamente infondata (ordinanza n. 448 del 1992), conclude per analoga declaratoria.
Considerato in diritto
1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 147 del codice penale militare di pace, che punisce come reato di allontanamento illecito l'assenza dal servizio militare superiore ad un giorno (ed inferiore a cinque giorni a partire dai quali l'infrazione è punita come reato di diserzione). Si profila nell'ordinanza di rinvio il contrasto con l'art. 3 della Costituzione per irragionevolezza del trattamento sanzionatorio che configura come reato una assenza occasionale ed anche non ripetuta, nel raffronto con quanto stabilito in ambito disciplinare dal regolamento approvato con d.P.R. n. 545 del 1986, il quale prevede per l'applicazione della consegna di rigore il requisito della ripetizione del ritardo ingiustificato e superiore alle otto ore, nel rientro dalla libera uscita o dal permesso.
Si propone nell'ordinanza di rinvio che, per riportare a ragionevolezza il sistema complessivo, si debba introdurre, in sede di giudizio di costituzionalità, nell'ambito della fattispecie prevista come reato dalla norma impugnata, il requisito della abitualità analogo a quello previsto per la fattispecie, sanzionata come illecito disciplinare, del ritardo ingiustificato superiore alle otto ore.
2.- La questione non è fondata.
A parte il considerare che la soluzione proposta nell'ordinanza di rinvio suppone un intervento di natura legislativa, implicando valutazioni e scelte discrezionali non consentite in sede di giudizio di costituzionalità, sta di fatto che l'ordinanza di rinvio pone tra loro a raffronto situazioni non omogenee che il legislatore assoggetta a regimi sanzionatori diversi, rispettivamente di natura disciplinare in un caso e di natura penale in un altro. Tale diversità di regime non fa apparire irragionevole la configurazione delle rispettive fattispecie in modo diverso ed impedisce perciò di poter operare, in sede di giudizio di costituzionalità, la trasposizione di un elemento della fattispecie indicata come tertium comparationis ed assoggettata a sanzione disciplinare, alla fattispecie penalmente sanzionata dalla norma denunciata. Non senza rilevare, in ogni caso, che il profilo di censura relativo all'asserita mancanza di gradualità nel passaggio dall'illecito disciplinare a quello penale quanto alle condotte di assenza dal servizio non tiene conto della possibilità, stabilita dall'art. 65, settimo comma, lettera a) del già citato d.P.R. n. 545 del 1986, di sanzionare con la consegna di rigore fatti di rilievo penale ma per i quali il comandante di corpo non abbia formulato la richiesta di procedimento; un potere questo che, se oculatamente esercitato, è idoneo ad attenuare il lamentato "salto" dalle punizioni disciplinari più lievi della consegna di rigore alle pene militari.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.
Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.