SENTENZA N. 361
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa il 22 settembre 1994 dal Tribunale per i minorenni di Bologna sull'istanza proposta da Gianluigi Guarnieri ed Elisabetta Schiavi, iscritta al n. 799 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
1. -- Nel corso di un procedimento promosso per ottenere la dichiarazione di idoneità all'adozione internazionale, il Tribunale per i minorenni di Bologna, con ordinanza emessa il 22 settembre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 31 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, stabilendo i requisiti dei coniugi che intendono adottare un minore, prevede che la valutazione della loro idoneità si debba riferire alle attitudini e risorse degli stessi e non all'intero ambiente familiare.
Il giudice rimettente premette che i coniugi, i quali intenderebbero adottare due minori stranieri, sono uniti in matrimonio da oltre tre anni, sono di straordinaria qualità umana ed hanno i requisiti richiesti, avendo già adottato un bambino straniero, risultato poi sieropositivo, perfettamente integrato nel loro ambiente ed amorevolmente accudito. Tuttavia proprio la presenza di un bambino sieropositivo nella famiglia in cui si chiede, sul presupposto dell'accertamento preventivo dell'idoneità dei coniugi, di poter inserire altri fanciulli pone problemi per la tutela sanitaria degli adottandi.
Il giudice rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale, che, nel contesto di una attività di assistenza e cura alla persona, ha ritenuto doverosa la previsione di accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attività che comportino rischi per la salute dei terzi (sentenza n. 218 del 1994). Ritiene che questo principio debba essere tenuto presente anche quando si tratta di prefigurare, con l'adozione, la continuità di vita comune tra bambini, che può determinare, se si escludono regimi non accettabili di controllo e separazione, un rischio di contatto ematico non inferiore a quello delle categorie professionali che prestano cura alle persone.
Il Tribunale per i minorenni ritiene che la disposizione denunciata non consenta di prendere in esame, per il giudizio di idoneità all'adozione, soggetti diversi dai coniugi, e non permetta di valutare le situazioni nelle quali non è la condizione dei genitori a costituire il problema, bensì quella del figlio già inserito nella famiglia. Questa restrizione del campo di giudizio sarebbe in contrasto con gli artt. 31 e 32 della Costituzione, che stabiliscono il dovere della Repubblica di proteggere l'infanzia e di tutelare la salute. Difatti sarebbe consentito dichiarare l'idoneità all'adozione anche quando vi sia un rischio gravissimo per la salute dei minori stranieri da adottare.
2. -- Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.
L'Avvocatura sostiene che il dubbio di legittimità costituzionale muove da preoccupazioni condivisibili, ma non appare fondato. L'interpretazione complessiva della legge n. 184 del 1983, anche ai fini della dichiarazione di idoneità all'adozione internazionale, non solo consente, ma impone al giudice di valutare, con i requisiti individuali, anche la complessiva situazione familiare dei coniugi che richiedono l'adozione e nel cui ambito sarà accolto il minore. L'art. 22 della legge n. 184 del 1983 stabilisce espressamente che per procedere all'affidamento preadottivo occorre considerare la salute e l'ambiente familiare degli adottanti. Sebbene questa disposizione si riferisca ad una fase della procedura di adozione che nell'adozione di minori stranieri il giudice nazionale non affronta, gli elementi in essa elencati rappresentano un'esplicitazione delle circostanze che debbono concorrere favorevolmente per una prognosi positiva sull'esito dell'affidamento e, quindi, anche per valutare l'idoneità dei coniugi, tanto per l'adozione interna che per quella internazionale.
Questa interpretazione, ricorda l'Avvocatura, trova pieno conforto nella giurisprudenza in materia di dichiarazione dell'idoneità all'adozione internazionale, che tiene conto del contesto familiare e sociale dei richiedenti.
Considerato in diritto
1. -- La questione di legittimità costituzionale investe l'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che, nel contesto della disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, stabilisce i requisiti soggettivi degli adottanti e, tra questi, che si tratti di coniugi "idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendono adottare".
Il Tribunale per i minorenni di Bologna ritiene che questa disposizione, facendo riferimento alle sole attitudini e risorse dei coniugi, non consenta di tenere conto, anche ai fini della dichiarazione di idoneità all'adozione internazionale, dell'intero ambiente familiare. Sarebbe così irrilevante la presenza di un altro figlio, esso pure adottivo, la cui sieropositività all'infezione da HIV potrebbe mettere a rischio la salute dei minori stranieri da adottare ed inserire nella convivenza familiare. Ne deriva il dubbio che la mancata previsione di un giudizio di idoneità all'adozione riferito all'intero ambiente familiare degli adottanti violi gli artt. 31 e 32 della Costituzione, che stabiliscono rispettivamente il dovere della Repubblica di proteggere l'infanzia e di tutelare la salute.
2. -- La disciplina complessiva dell'adozione delineata dalla legge n. 184 del 1983 ha, come essenziale e dominante obiettivo, l'interesse dei minori ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale essi possano crescere sviluppando la loro personalità in un sano ed equilibrato contesto di vita, affettivo ed educativo. L'adozione implica di necessità il pieno inserimento del minore nella comunità familiare adottiva (sentenza n. 89 del 1993) e presuppone la valutazione dell'idoneità dei genitori adottivi non nella loro isolata individualità, ma nel contesto della famiglia di definitiva accoglienza, nella quale l'adottato è chiamato ad integrarsi pienamente. Le condizioni di vita e di salute nella comunità familiare concorrono, quindi, ad offrire al prudente apprezzamento del giudice elementi di valutazione dell'idoneità dei coniugi, che nella stessa comunità hanno naturale responsabilità ad educare, istruire e mantenere i figli anche adottivi, ai quali deve essere garantito un ambiente che prevedibilmente assicuri loro, in un contesto familiare, quella crescita sana e quello sviluppo armonioso, che costituiscono ragione e finalità dell'adozione dei minori. Del resto l'attitudine ad educare, la situazione personale ed economica, la salute e l'ambiente familiare sono, tutti, aspetti che concorrono ad offrire elementi di valutazione dell'idoneità degli adottanti (art. 22 della legge n. 184 del 1983) e che non sono ristretti alla sola adozione nazionale.
Questi principi che ispirano la legge n. 184 del 1983 sono del tutto coerenti con quelli espressi dalle convenzioni internazionali dirette a proteggere in modo specifico i minori, le quali ammettono e disciplinano l'adozione esclusivamente nell'interesse superiore del fanciullo (si veda in particolare l'art. 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176). Così, nel decidere sull'adozione, è previsto che si tenga conto, oltre che della personalità, della salute e della situazione economica dell'adottante, anche della vita della sua famiglia e della situazione del suo ambiente familiare (art. 9 della Convenzione europea in materia di adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con la legge 22 maggio 1974, n. 357).
Non è dunque escluso dal complesso delle valutazioni rimesse al giudice, che deve decidere dell'idoneità dei coniugi adottanti, l'apprezzamento in concreto, sulla base di tutti gli elementi di fatto ritenuti utili per il giudizio, della loro attitudine ad educare ed istruire i minori tenendo conto dell'intero ambiente familiare, senza che sia in astratto di ostacolo preclusivo, ma neppure in principio indifferente, l'infermità di componenti della comunità familiare nella quale il minore adottando sia chiamato a vivere e ad integrarsi, dovendo ogni situazione essere prudentemente valutata dal giudice nel preminente interesse dell'adottando, anche quando questi, come nell'adozione internazionale, non sia ancora individuato.
Questa interpretazione dell'art. 6 della legge n. 184 del 1983, affermata più volte nella giurisprudenza ordinaria, coerente con le enunciazioni delle convenzioni internazionali che, rese esecutive, concorrono a configurare il nostro ordinamento normativo, è adeguata ai principi costituzionali indicati dal giudice rimettente e consente di ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), sollevata, in riferimento agli artt. 31 e 32 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1995.