SENTENZA N. 334
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 112 2 (recte: art. 2) della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1995 dal Tribunale di Firenze nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Manetti Giorgio ed altri e l'INPS, iscritta al n. 210 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visti gli atti di costituzione di Pieraccini Piero ed altri e dell'INPS, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 27 giugno 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; uditi gli avv.ti Eugenio Cavallucci per Pieraccini Piero ed altri e Vincenzo Morielli per l'INPS, e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del giudizio promosso da Giorgio Manetti ed altri contro l'INPS per ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto in qualità di dipendenti della soc. Cooperativa Minerva r.l. dichiarata fallita, il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 22 febbraio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 35 e 45 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e di lavoro la tutela del "Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto", quando il diritto a tale trattamento sia ad essi attribuito dal patto sociale o da una deliberazione successiva della società. Secondo il giudice rimettente, avendo i ricorrenti prestato il loro lavoro in qualità di soci di una società cooperativa, la pretesa di pagamento del trattamento di fine rapporto non può essere accolta per il solo fatto che la società ha versato all'INPS i contributi per il fondo di garanzia e che i crediti da essi vantati a questo titolo sono stati ammessi al passivo fallimentare. Ritiene, peraltro, che l'esclusione dalla tutela del fondo dei soci delle cooperative di produzione e di lavoro, quando abbiano diritto al trattamento di fine rapporto, contrasti con l'art. 45 Cost. Nel riconoscere la funzione sociale della cooperazione, che la legge deve favorire con i mezzi più idonei, il precetto costituzionale non si riferisce soltanto allo sviluppo delle società cooperative, ma anche alla tutela delle condizioni di lavoro dei soci cooperatori. Sarebbero violati anche l'art. 35 Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (è citata in proposito la lata interpretazione della norma accolta dalla sentenza n. 28 del 1995 di questa Corte) e l'art. 24, che viene richiamato in funzione dell'"esigenza della previa esistenza di norme certe, coerentemente osservate nei comportamenti degli enti previdenziali, per la tutela dei propri diritti in giudizio".
2.1. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituite le parti private chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata nei termini prospettati nell'ordinanza di rimessione. Le parti costituite insistono soprattutto sul fatto che per tutta la durata dei loro rapporti con la società cooperativa poi fallita, l'INPS ha ricevuto da quest'ultima il versamento dei contributi previsti dall'art. 2, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982 per il finanziamento del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto. Nè avrebbe importanza che i relativi crediti dei soci siano stati ammessi al passivo come semplici crediti chirografari: l'art. 2 della legge n. 297 del 1982 non prevede, quale presupposto per il pagamento del trattamento di fine rapporto da parte dell'INPS, che il credito sia stato ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata, ma solo statuisce il diritto dell'INPS alla surroga nel privilegio quando spetti al titolare del credito. In prossimità dell'udienza di discussione i ricorrenti hanno depositato una memoria che sviluppa e integra le argomentazioni dell'ordinanza in relazione ai tre parametri costituzionali invocati.
2.2. - Si è pure costituito l'INPS chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Inammissibile perchè l'ordinanza di rimessione investe questa Corte di una questione di interpretazione in ordine alla qualifica del rapporto dedotto in giudizio. Infondata, perchè la norma impugnata non contrasta nè con l'art. 24 Cost., dal momento che la tutela giurisdizionale non viene elusa, ma solo correttamente diretta all'accertamento dei requisiti per ottenere dal fondo di garanzia il pagamento del trattamento di fine rapporto in sostituzione del debitore insolvente; nè con l'art. 45 Cost. poichè non si comprende come l'esercizio corretto della funzione giurisdizionale possa compromettere la funzione sociale delle società cooperative di produzione e lavoro; nè, infine, con l'art. 35 Cost. in quanto la limitazione della garanzia della norma censurata ai prestatori di lavoro in base a un contratto di lavoro subordinato risponde perfettamente alla tutela degli interessi e delle esigenze oggetto di garanzia costituzionale.
3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. Secondo l'Avvocatura, il giudizio sulla rilevanza della questione non può prescindere dalle consolidate acquisizioni giurisprudenziali della Corte di cassazione che ha tenuto nettamente distinti i rapporti di tipo societario da quelli di lavoro subordinato. In particolare, la forzatura operata dal giudice rimettente appare tanto più evidente in quanto concerne la remunerazione differita dell'attività svolta, consistente rispettivamente nel trattamento di fine rapporto (art. 2120 cod. civ.) ovvero nella partecipazione agli utili (artt. 2518 n. 9 e 2536 cod. civ.). La questione, a giudizio dell'interveniente, è anche infondata, non essendo pertinenti i parametri costituzionali invocati: non l'art. 45 Cost., in quanto il riconoscimento della funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata non può giungere ad alterare i meccanismi essenziali tipici della cooperazione; non l'art. 35 Cost., in quanto l'attività lavorativa può manifestarsi con diverse forme ed applicazioni, che comportano vantaggi e limiti (sicchè del tutto inconferente è il richiamo della sentenza n. 28 del 1995 di questa Corte); non l'art. 24 Cost., in quanto la tutela giurisdizionale dei diritti non è pregiudicata da norme sostanziali che disciplinano diversamente situazioni diseguali.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 35 e 45 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non estende ai soci di cooperative di produzione e di lavoro la tutela del "Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto", quando il diritto a tale trattamento sia ad essi attribuito dal patto sociale o da una deliberazione successiva della società.
2. - La questione non è fondata. Il giudice rimettente ammette che la pretesa dei soci della cooperativa di lavoro di ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto dal fon do di garanzia di cui all'art. 2 della legge n. 297 del 1982 non può essere accolta secondo il diritto vigente, mancando il presupposto di un rapporto di lavoro subordinato con la società fallita. Deve perciò essere respinta l'eccezione di inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato: l'ordinanza non prospetta una questione di interpretazione. Poichè la società ha tuttavia versato all'INPS i contributi previsti dall'ottavo comma del citato art. 2 per il finanziamento del fondo, il giudice a quo ravvisa in tale comportamento un indice della volontà di attribuire ai soci un trattamento di fine rapporto corrispondente a quello spettante ai lavoratori subordinati e impugna l'art. 2, primo comma, della legge n. 297 perchè non include nel suo ambito di tutela anche questa ipotesi.
3. - In primo luogo va osservato che, trattandosi di un modo di ripartizione degli utili, l'atto di autonomia privata, che in caso di risoluzione del rapporto con la società attribuisce ai soci il diritto a una somma commisurata al trattamento previsto dall'art. 2120 cod. civ., deve rivestire la forma di una clausola dell'atto costitutivo (art. 2518, secondo comma, numero 9, cod. civ.) o di una deliberazione assembleare modificativa del medesimo: clausola o deliberazione di cui non v'è traccia. In secondo luogo, ammesso che nella specie spetti ai soci il diritto di cui è causa, esso è pur sempre un diritto di socio, non un credito di lavoro in senso tecnico, nè vale a conferirgli tale natura il fatto dell'(indebito) versamento dei contributi all'INPS per il fondo di garanzia. La limitazione della tutela del fondo ai casi in cui il trattamento di fine rapporto spetta per legge, cioè ai rapporti di lavoro subordinato, non offende in alcun modo gli artt. 35 e 45 Cost., i quali non vincolano affatto la discrezionalità del legislatore nella scelta dei mezzi più idonei a favorire lo sviluppo delle società cooperative di lavoro e della condizione economico-professionale dei loro soci. Quanto al parametro dell'art. 24 Cost., la non pertinenza di tale riferimento è manifesta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), sollevata, in riferimento agli artt. 24, 35 e 45 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 20 luglio 1995.