Sentenza n. 270 del 1995

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SENTENZA N. 270

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 3 gennaio 1960, n. 5 (Riduzione del limite di età pensionabile per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere), promosso con ordinanza emessa il 28 settembre 1994 dal Pretore di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra Mendicino Vittorio e l'INPS ed altra, iscritta al n. 691 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti gli atti di costituzione di Mendicino Vittorio e dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; uditi gli avv.ti Franco Agostini per Mendicino Vittorio, Carlo De Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del giudizio promosso da Vittorio Mendicino contro l'INPS e l'impresa datrice di lavoro per ottenere la pensione di vecchiaia anticipata ai sensi della legge 3 gennaio 1960, n. 5, il Pretore di Ascoli Piceno, con ordinanza del 28 settembre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge citata n. 5 del 1960, nella parte in cui "escludono dalla tutela, ivi prevista, i lavoratori dipendenti da imprese che comunque esercitino attività in ambienti di sottosuolo", ancorchè non classificabili come "imprese esercenti miniere, cave e torbiere". Nella specie si tratta di un impiegato tecnico, che, nello svolgimento delle sue mansioni alle dipendenze di un'impresa di costruzioni, ha svolto ininterrottamente per più di quindici anni attività di sovrintendenza a lavori anche in galleria per la costruzione di dighe, strade e in genere opere pubbliche. Ad avviso del giudice rimettente, il caso oggetto del giudizio a quo fa riferimento a un tipo di lavoro che, come è emerso dalle risultanze probatorie, "presenta caratteristiche morfologiche e ambientali del tutto omogenee con quelle considerate dalla legge in discorso", onde la limitazione di questa normativa speciale alle attività di lavoro in sotterraneo svolte alle dipendenze di una specifica categoria di imprese, tralasciando le attività affini svolte nell'ambito dei cicli produttivi di imprese diverse, "delinea in re ipsa una situazione sperequativa e discriminatoria", e inoltre contrasta con l'art. 38 Cost.

2.1. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la parte privata chiedendo, in principalità, una sentenza interpretativa nel senso dell'applicabilità nella specie delle disposizioni denunciate, in subordine la dichiarazione di illegittimità costituzionale, in parte qua, delle medesime. La soluzione interpretativa sostiene che i termini "miniera" e "cava" devono intendersi in senso tecnico, comprendendo tutte le lavorazioni nell'ambito delle quali si effettuano lavori di escavazione in galleria, indipendentemente dal tipo di impresa cui tali lavorazioni accedono. Questa interpretazione troverebbe sostegno sia nei lavori preparatori della legge n. 5 del 1960, sia nella definizione residuale di "cava" contenuta nell'art. 2 del r.d. 29 luglio 1927, n. 1443, sia nella ratio della normativa in questione incentrata sul carattere particolarmente usurante dei lavori in sotterraneo e sul più alto rischio professionale che essi, in se considerati, comportano. Tali considerazioni, alternativamente proposte come argomenti di illegittimità costituzionale, sono state ribadite e sviluppate in una memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica. La difesa del ricorrente rileva inoltre che lo stesso legislatore, con decorrenza dalla data di entrata in vigore del d.lgs. 11 agosto 1993, n. 374, ha annoverato i lavori in galleria, cava o miniera tra i lavori particolarmente usuranti che danno diritto a un anticipo del pensionamento indipendentemente dal tipo di impresa.

2.2. - Si è costituito anche l'INPS, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Secondo l'Istituto, l'istruttoria espletata dal Pretore - dopo la riassunzione del giudizio in seguito ordinanza n. 461 del 1991 di questa Corte, che aveva dichiarato manifestamente inammissibile la questione per difetto di motivazione - non è riuscita a superare la diversità tra il lavoro in miniera, cava e torbiera, che ha carattere di lavoro continuo a tempo pieno, inerente a uno specifico status professionale (minatore) e l'attività svolta per la costruzione di autostrade, dove il lavoro in galleria ha carattere saltuario e inerisce a una professione diversa da quella del minatore. Nel caso di specie è risultato che il ricorrente, in qualità di impiegato tecnico trascorreva metà del tempo lavorativo sul luogo di avanzamento delle opere, mentre per l'altra metà rimaneva nell'ufficio del cantiere. La ratio della tutela speciale dei minatori sta nell'attività estrattiva (dal sottosuolo) tipica dell'impresa mineraria.

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata con argomenti analoghi a quelli esposti dall'INPS e insistendo soprattutto sulla non comparabilità delle due situazioni.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Ascoli Piceno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 3 gennaio 1960, n. 5, nella parte in cui "escludono dalla tutela, ivi prevista, i lavoratori dipendenti da imprese che comunque esercitino attività in ambienti di sottosuolo", ancorchè non classificabili come "imprese esercenti miniere, cave e torbiere".

2. - La questione non è fondata. La riduzione del limite di età pensionabile per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere e la connessa istituzione presso l'INPS di una Gestione speciale di previdenza integrativa, previste dalla legge n. 5 del 1960, formano una disciplina previdenziale speciale, con carattere di eccezionalità, il cui ambito normativo è definito da un duplice requisito: l'appartenenza del datore di lavoro alla categoria merceologica delle imprese estrattive e l'adibizione del prestatore, anche discontinua, a lavori in sotterraneo, ossia - secondo la precisazione ricorrente nella discussione parlamentare del disegno di legge - "in fondo alla miniera". I due requisiti concorrono a determinare lo status professionale di "minatore". È vero, come ricorda la difesa del lavoratore in causa, che nel corso dei lavori preparatori si è posto il problema dei "lavoratori che da lungo tempo lavorano in galleria nel settore edilizio", ma la proposta di superare il criterio merceologico e di estendere il beneficio a tutti i lavoratori che, alle dipendenze di qualsiasi tipo di impresa, siano addetti per lungo tempo a lavorazioni in galleria non è stata accolta; è prevalsa la soluzione restrittiva di riservare il diritto di pensionamento anticipato ai "minatori di fondo": "se ci spostiamo da questo concetto, concluse il rappresentante del Governo, andiamo a prevedere il tipo di lavoro che si definisce semplicemente "faticoso" e allora vi sarebbero altre categorie pronte ad avanzare queste rivendicazioni".

3. - La limitazione dell'intervento legislativo al settore minerario non viola il principio di eguaglianza e tanto meno l'art. 38 Cost. La condizione dei lavoratori di imprese edilizie, saltuariamente addetti a lavorazione in galleria, non è parificabile alla condizione professionale dei minatori, sia sotto il profilo degli effetti usuranti della prestazione di lavoro, sia sotto il profilo del rischio ambientale. Il progresso tecnologico, che risparmia all'uomo fatica e rischi, è minore nelle attività estrattive che nelle attività di escavazione di gallerie stradali o ferroviarie, per le quali sono oggi disponibili potenti mezzi meccanici. D'altra parte, il pericolo di scoppi di grisou o di altri gas sotterranei oppure di crolli o di allagamenti è più elevato in fondo a una miniera che nei lavori di scavo di una galleria autostradale, la quale viene armata mano a mano che lo scavo avanza e, in caso di infiltrazione di falde acquifere, fornisce uno sfogo naturale nel tratto già aperto.

4. - Non si può argomentare in contrario dalla tabella A allegata al d.lgs. 11 agosto 1993, n. 374, che, in attuazione della delega legislativa disposta dall'art. 3, comma 1, lett. f), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e con decorrenza dalla data d'entrata in vigore del decreto medesimo, ha concesso ai lavoratori prevalentemente occupati in attività particolarmente usuranti un trattamento analogo, ma meno favorevole, atteso che l'adibizione a tali lavori complessivamente per quindici anni dà diritto a un anticipo del pensionamento di due anni e mezzo, anzichè di cinque anni.

L'accomunamento dei lavori in cava o miniera ai lavori in galleria, nella tabella sopramenzionata, non significa equiparazione, restando salvo, per i minatori che possano far valere i requisiti di cui all'art. 1 della legge del 1960, il trattamento di maggior favore previsto da questa legge (art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 374 del 1993). Inoltre, con le procedure previste dall'art. 3, la sottocategoria dei "lavori in cava o miniera" potrà essere riferita anche ad occupazioni, pur rientranti nel ciclo produttivo minerario, diverse da quella dei minatori di fondo tutelati dalla legge del 1960, per esempio a lavori in sotterraneo a tempo parziale oppure al le attività di cavatore a cielo aperto o di frantumazione dei prodotti delle cave.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 3 gennaio 1960, n. 5 (Riduzione del limite di età pensionabile per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Ascoli Piceno con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20/06/95.