SENTENZA N.195
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, promosso con ordinanza emessa il 1° agosto 1994 dal Pretore di Viterbo nel procedimento civile vertente tra Adriani Giuseppe e l'INPS iscritta al n. 599 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; uditi gli avv.ti Giacomo Giordano e Giuseppe Fabiani per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del giudizio promosso da Giuseppe Adriani per ottenere l'accertamento negativo dell'obbligazione di restituire la somma di 1.663.666 lire pretesa dall'INPS in quanto indebitamente percepita a titolo di integrazione salariale straordinaria per il periodo 8 febbraio 1989 - 31 marzo 1989, e la condanna dell'Istituto a corrispondere le somme dovute al medesimo titolo per il periodo successivo fino al dicembre 1989, il Pretore di Viterbo, con ordinanza in data 1 agosto 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, del d.-l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto al trattamento di integrazione salariale, qualora non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione all'INPS dello svolgimento di attività lavorativa, anche nel caso di occupazione temporanea o saltuaria.
2. - Ad avviso del giudice rimettente, la norma impugnata contrasta: a) con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo del giudizio di eguaglianza, perché tratta alla medesima stregua due casi diversi, quali il caso del lavoratore che si rioccupa stabilmente e il caso del lavoratore che, come nella specie, trova un'occupazione temporanea di breve durata; b) ancora con l'art. 3 della Costituzione sotto il principio di ragionevolezza, perché applica la stessa grave sanzione della revoca del trattamento sia all'omissione che al semplice ritardo della comunicazione, e nel secondo caso indipendentemente dalla possibilità dell'INPS di detrarre tempestivamente dall'indennità le giornate lavorate e senza tenere conto dello stato soggettivo del lavoratore inadempiente; c) con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, perché per un periodo più o meno lungo il lavoratore viene privato di mezzi adeguati alle esigenze di vita. A sostegno di tali ragioni l'ordinanza ritiene infine richiamabili le argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 78 del 1988.
3. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito l'INPS chiedendo una dichiarazione di infondatezza della questione.
Secondo l'Istituto la ratio della disposizione impugnata è quella di sanzionare la violazione dell'obbligo di comunicazione preventiva dello svolgimento di attività lavorativa, per la potenzialità dannosa che essa ha rispetto all'interesse pubblico alla corretta gestione dell'intervento di integrazione salariale. Sotto questo profilo le due situazioni distinte dal giudice a quo si identificano invece in un medesimo tipo di trasgressione, e quindi richiamano la stessa misura sanzionatoria indipendentemente dalla durata dell'attività lavorativa non tempestivamente comunicata.
D'altra parte, la prospettazione dell'ordinanza, che nel caso di occupazione temporanea vorrebbe sostituire alla sanzione della revoca del trattamento la semplice sospensione per il periodo di ripresa del lavoro, equivale in realtà ad abolizione di ogni sanzione, con conseguente ingiustificata equiparazione dei lavoratori che hanno trascurato l'obbligo di comunicazione all'INPS a quelli che tale obbligo hanno rispettato.
Non pertinente infine, ad avviso dell'INPS, è il richiamo della sentenza n. 78 del 1988, relativa a tutt'altra materia, le prestazioni di malattia, per le quali i controlli sulla persistenza del presupposto del diritto, cioè lo stato di morbilità, sono molto più agevoli.
4. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata con argomenti sostanzialmente analoghi a quelli svolti dall'INPS.
Considerato in diritto
1.-Il Pretore di Viterbo mette in dubbio, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., la legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, del d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto al trattamento di integrazione salariale straordinaria, qualora non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione all'INPS dello svolgimento di attività lavorativa, anche nel caso di occupazione temporanea o saltuaria.
2. - La questione non è fondata.
La norma impugnata non accomuna nella medesima previsione sanzionatoria due ipotesi diverse, quella del lavoratore collocato in Cassa integrazione guadagni, il quale trova un nuovo impiego a durata indeterminata e a tempo pieno e quella del lavoratore che trova soltanto offerte di lavori temporanei o saltuari. L'art. 8, comma 5, del d.l. n. 86 del 1988 si riferisce alla seconda ipotesi, la sola compatibile con la continuazione dello stato di sospensione dell'originario rapporto di lavoro, che è il presupposto del trattamento di integrazione salariale.
Nella prima ipotesi il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, non già la sanzione della decadenza comminata dal comma 5, bensì la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento. Al nuovo datore di lavoro incombe l'obbligo di comunicare l'assunzione del lavoratore all'INPS.
Non appropriato è il richiamo dell'ordinanza di rimessione alla sentenza n. 78 del 1988 di questa Corte, concernente tutt'altra materia, la quale sanziona con la decadenza dal diritto alla prestazione previdenziale un comportamento impeditivo del controllo dell'INPS successivo, non anteriore (nella forma di una comunicazione preventiva) al fatto in ordine al quale il controllo deve essere eseguito.
3.-Inconsistente è pure l'altra censura, rivolta alla norma impugnata ancora in riferimento all'art. 3 Cost., di non distinguere tra omissione e ritardo della comunicazione. Poichè la norma esige una comunicazione <preventiva>, i due casi rifluiscono in un medesimo tipo di comportamento omissivo.
4.-Non è violato nemmeno l'art. 38, secondo comma, Cost. Il diritto dei lavoratori sancito da questo precetto costituzionale spetta in concreto in quanto sussistano tutte le condizioni stabilite dalla legge. Comunque il lavoratore decaduto dal diritto all'integrazione salariale straordinaria per inosservanza dell'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 8, comma 5, del d.l. n. 86 del 1988, può ottenere, concorrendone i requisiti, il trattamento ordinario di disoccupazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Viterbo con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 26/05/95.