Ordinanza n. 131 del 1995

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ORDINANZA N.131

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

-        Prof. Antonio BALDASSARRE,Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 417 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 21 aprile 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi nel procedimento penale a carico di Buggè Carmelo ed altri, iscritta al n. 414 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

RITENUTO che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 417 del codice di procedura penale -- il quale stabilisce i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio -- "nella parte in cui non prevede alcuna sanzione per l'inosservanza del precetto processuale"; che il giudice a quo osserva che, di fronte ad una richiesta di rinvio a giudizio assolutamente generica sia in ordine alla formulazione del capo di imputazione, sia in ordine alla indicazione delle fonti di prova (indicate come "rapporto cc e atti allegati", di cui peraltro non vi sarebbe traccia nel fascicolo), non è possibile nè emettere una sentenza di non luogo a procedere, essendo in radice preclusa qualsiasi valutazione su un determinato fatto storico, nè, come più volte affermato dalla Corte di cassazione, dichiarare la nullità della richiesta, con conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero; che, ad avviso del remittente, ciò determinerebbe la violazione, da un lato, dell'art. 24 della Costituzione, in quanto l'imputato non può difendersi da un fatto non sufficientemente enunciato; dall'altro, degli artt. 111 e 112 della Costituzione, in quanto, se l'unica strada percorribile fosse quella della sentenza di non luogo a procedere, il giudice non potrebbe assolvere all'obbligo della motivazione, e il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale verrebbe svuotato di contenuto; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per l'infondatezza della questione osservando che, in un processo di parti, se l'accusa è inconsistente per carenza effettiva di argomenti, o per negligenza del pubblico ministero, il giudice non può che concludere nel senso della mancanza di elementi per accogliere la richiesta di rinvio a giudizio.

CONSIDERATO che, in ordine alla asserita genericità della formulazione dell'imputazione, la questione si fonda sull'erroneo presupposto che sia precluso al giudice per le indagini preliminari di sollecitare il pubblico ministero a procedere alle necessarie integrazioni e precisazioni dell'imputazione medesima; che questa Corte ha già avuto modo di affermare (sent. n. 88 del 1994) che, di fronte alla esigenza di una diversa descrizione del fatto rispetto a come enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, nulla impedisce al giudice per le indagini preliminari di invitare il pubblico ministero a modificare l'imputazione mediante un provvedimento di trasmissione degli atti, che può essere adottato anche dopo la chiusura della discussione (purchè, ovviamente, prima della pronuncia dei provvedimenti di cui all'art. 424 del codice); che ad identica conclusione occorre pervenire nel caso in esame, in cui si tratta di precisare gli estremi del fatto contestato; che va, anzi, sottolineato che, di fronte ad una imputazione assolutamente generica, tale da incidere negativamente sullo svolgimento del contraddittorio e quindi sull'esercizio del diritto di difesa, il detto intervento del giudice si rende doveroso; che, ovviamente, tutto ciò presuppone che l'imputazione, così come formulata dal pubblico ministero, sia, ad avviso del giudice, inadeguata rispetto alle obiettive risultanze degli atti, poichè altrimenti il problema investirebbe evidentemente il merito della decisione che il giudice è chiamato a pronunciare ai sensi dell'art. 424 del codice di procedura penale; che in ordine, poi, alla asserita genericità dell'indicazione delle fonti di prova, quel che rileva non è tanto la mancata o incompleta indicazione di dette fonti nella richiesta, quanto l'effettiva esistenza delle stesse nel fascicolo, il cui contenuto è conoscibile dalla difesa; che, ciò posto, è evidente che anche quest'ultimo aspetto attiene al merito della decisione che il giudice deve adottare al termine dell'udienza preliminare, senza che sia possibile ravvisare alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati; che, in conclusione, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 417 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 111 e 112 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palmi con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/04/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14/04/95.