SENTENZA N. 126
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), promosso con ordinanza emessa il 13 dicembre 1990 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce su ricorso proposto da Bleve Francesco contro il Ministero della Difesa, iscritta al n. 525 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. - Con provvedimento del 20 dicembre 1988, registrato alla Corte dei conti in data 18 novembre 1989, il Ministero della difesa dispensava dal servizio permanente, con decorrenza dal 1° febbraio 1989, Bleve Francesco, sottufficiale della marina militare, perchè inidoneo < a disimpegnare le attribuzioni del proprio grado>.
Avverso tale provvedimento il Bleve, che in precedenza ne aveva già ricevuto un altro con una motivazione parzialmente diversa, comprensiva anche dello < scarso rendimento e mediocre condotta in servizio> (provvedimento dichiarato giuridicamente inefficace dallo stesso Tribunale), proponeva ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, deducendo vari profili di illegittimità.
2. - Con ordinanza del 13 dicembre 1990 il TAR adito ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 53 (recte: 52), terzo comma e 97 della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 33 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica).
Premette il giudice a quo che la norma impugnata preclude al militare ogni apporto al procedimento di dispensa dal servizio permanente e lo relega nel ruolo del mero destinatario passivo con lesione di vari parametri costituzionali, fra i quali, innanzitutto, quello di cui all'art. 3 della Costituzione, per la diversità ingiustificata del trattamento riservato ai militari rispetto agli impiegati civili dello Stato.
Se è vero che l'ordinamento militare presenta aspetti peculiari, e differenziati, è altrettanto vero che le disposizioni meno favorevoli, incidenti sul rapporto di servizio del dipendente militare, debbono trovare una ragionevole giustificazione e, comunque, un limite nell'esigenza di salvaguardia dei preminenti interessi dell'apparato militare. Orbene, il diniego di partecipazione del dipendente militare al procedimento - in modo da consentirgli almeno di formulare osservazioni in proposito - non sarebbe finalizzato ad alcuna esigenza di salvaguardia dell'ordinamento militare, con la conseguenza di rendere ingiustamente discriminatorio, e deteriore, il trattamento del militare rispetto a quello, ben più favorevole, previsto per gli impiegati civili dello Stato.
La disposizione impugnata, in quanto informata a principi autoritaristici, contrasterebbe anche con l'art. 52, terzo comma, della Costituzione e con il principio di buon andamento di cui all'art. 97. L'azione amministrativa, infatti, potrebbe trovare migliore esplicazione attraverso l'acquisizione di considerazioni dal punto di vista dell'interessato; e, così, si appronterebbe uno strumento di più puntuale conoscenza dei fatti, con maggior garanzia per il dipendente. L'interesse personale alla conservazione del posto di lavoro e l'interesse pubblico alla copertura dell'organico verrebbero a coincidere nell'ipotesi - che non può essere astrattamente esclusa - in cui l'unità lavorativa fosse, al contrario di quanto unilateralmente stabilito, idonea alla prestazione lavorativa.
3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
Ad avviso dell'Avvocatura, il richiamo al terzo comma dell'articolo 52 sarebbe del tutto inconferente, poichè lo spirito democratico, cui si debbono informare anche le Forze armate, esula dalla materia in esame. Nè sarebbero invocabili i principi del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione: la disposizione impugnata non inciderebbe su situazioni inerenti all'attività dell'amministrazione (quali sarebbero, ad esempio, le statuizioni che regolano l'assunzione o l'avanzamento in carriera dei militari), poichè la normativa concernente la dispensa per incapacità o scarso rendimento non impingerebbe sull'efficienza e la funzionalità dell'azione amministrativa.
Potrebbe, è vero, venire in rilievo il principio di uguaglianza o quello di ragionevolezza, in considerazione della diversità di trattamento dei militari rispetto agli altri pubblici dipendenti, ma il loro status - per il peculiare vincolo gerarchico - giustificherebbe la diversità di disciplina. Nel settore dell'impiego militare sarebbe indispensabile, infatti, poter contare su elementi di sicura affidabilità, in ragione dell'assoluta delicatezza dei compiti da affrontare ove si tratti (come nel nostro caso) di unità con mansioni di comando.
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame della Corte l'art. 33 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), che consente all'amministrazione la dispensa dal servizio permanente del sottufficiale non idoneo a disimpegnare le attribuzioni del proprio grado per insufficienza delle qualità necessarie o per scarso rendimento, senza procedere alla contestazione dei fatti e, comunque, all'assegnazione di un termine per la presentazione delle proprie osservazioni, come avviene per tutti gli impiegati civili dello Stato, ai sensi dell'art. 129, terzo e quarto comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato). Del citato art. 33 si sospetta il contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza contenuti nell'art. 3, nonchè con quelli di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione di cui all'art. 97, e con il terzo comma dell'art. 52 del la Costituzione, in base al quale l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
Poichè il provvedimento impugnato dal sottufficiale contiene soltanto l'ipotesi della "incapacità", quale formula della dispensa, non rileva in questo giudizio il secondo comma del citato art. 129, riguardante la "previa ammonizione" dell'impiegato per lo "scarso rendimento". Le ulteriori garanzie elencate dai commi terzo e quarto dell'art. 129 trovano, tuttavia, identica applicazione nelle due diverse ipotesi di dispensa.
L'invocato tertium comparationis, vale a dire la previsione contenuta nei commi terzo e quarto dell'art. 129 del d.P.R. n. 3 del 1957, - dopo aver conosciuto, in una prima fase, un'interpretazione riduttiva - ha successivamente visto affermarsi, con una ricostruzione più corretta e adeguata alla lettera e allo spirito dello "statuto", una esegesi della norma volta a garantire al dipendente pubblico, in caso di dispensa, il diritto alla contestazione degli addebiti, dei fatti ascritti e, finanche, il diritto di estrarre copia degli atti del procedimento, per l'affermato collegamento con l'art. 111 dello stesso d.P.R. n. 3 del 1957.
Al contrario, l'art. 33 della legge n. 599 del 1954 - che, nell'ambito della complessiva disciplina dello stato giuridico dei sottufficiali dell'esercito, della marina e dell'aeronautica, detta una specifica regola circa la dispensa per inidoneità e per scarso rendimento - non prevede nè comunicazione dei fatti, nè difesa, risolvendosi l'azione amministrativa in un provvedimento unilaterale, privo di una qualsiasi forma di partecipazione o interlocuzione da parte dell'interessato.
Certo, in seguito all'emanazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, contenente norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, e particolarmente in base all'art. 7, la giurisprudenza ha affermato che l'avviso di procedimento, in esso previsto, deve precedere ogni provvedimento idoneo a incidere sulla posizione del soggetto interessato all'azione della pubblica amministrazione, atteggiandosi a requisito di legittimità del provvedimento conclusivo. Così che - se il provvedimento impugnato nel procedimento principale non fosse anteriore all'entrata in vigore della legge n. 241 - il Tribunale amministrativo rimettente avrebbe potuto, e dovuto, risolvere il caso utilizzando l'indicato strumento normativo; ma essendosi verificata la conclusione del procedimento in una data anteriore all'emanazione della legge n. 241, la questione sollevata assume rilevanza per il canone tempus regit actum.
2. - Passando al merito, la questione è fondata.
Come si è già visto, la previsione impugnata riservava ai sottufficiali delle tre armi un trattamento deteriore rispetto al genus degli impiegati civili dello Stato. Tale discriminazione - venuta meno, ora, in virtù della già citata legge n. 241 - non poteva trovare, neanche per il passato, una valida ragione giustificatrice nel peculiare status dei militari. Infatti, nel caso in esame non si contesta la legittimità costituzionale dell'istituto della dispensa, ma la carenza di garanzie procedimentali a presidio della difesa: che risultano altresì strumentali al buon andamento dell'amministrazione militare sotto il profilo della migliore utilizzazione delle risorse professionali. Di qui, la lesione non soltanto dei principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza introdotti dall'art. 3, ma anche del canone di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione.
Resta assorbita la censura mossa con riferimento all'art. 52 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 33 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), nella parte in cui non prevede che al sottufficiale proposto per la dispensa dal servizio sia assegnato un termine per presentare, ove creda, le proprie osservazioni e sia data la possibilità di essere sentito personalmente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/04/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 14/04/95.