SENTENZA N. 50
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 519, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1994 dal Tribunale di Macerata nel procedimento penale a carico di Palumbo Luigino, iscritta al n. 523 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto in fatto
1.- A seguito di contestazione dibattimentale di un reato connesso effettuata dal pubblico ministero a norma dell'art. 517 cod. proc. pen., il Tribunale di Macerata, su eccezione del medesimo pubblico ministero, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 519, comma 2, cod. proc. pen., ritenendo tale questione rilevante e non manifestamente infondata per le stesse ragioni già esposte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 241 del 1992.
Il tribunale remittente precisa in punto di fatto che, in conseguenza della riferita contestazione suppletiva, il pubblico ministero aveva depositato una lista testimoniale funzionale all'esercizio del diritto alla prova in ordine alle nuove ipotesi criminose, lamentando in tale occasione "l'impossibilità normativa di esercitare il predetto diritto".
Considerato in diritto
1.- E' stata sollevata la questione del contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost. dell'art. 519, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente al pubblico ministero di esercitare il diritto alla prova in ordine ai fatti oggetto della contestazione dibattimentale del reato concorrente regolata dall'art. 517 cod. proc. pen.. Il giudice a quo osserva che non possono non valere nel caso in esame gli stessi princìpi che avevano condotto la Corte, con la sentenza n. 241 del 1992, a dichiarare, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 519, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui, nei casi di contestazione del fatto diverso a norma dell'art. 516 del medesimo codice, "non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove".
2.- La questione è fondata.
Come esattamente osservato dal tribunale remittente, la contestazione del reato concorrente o delle circostanze aggravanti risultanti nel dibattimento, disciplinata dall'art. 517 cod. proc. pen., è evenienza che, quanto all'esigenza delle parti di esercitare il diritto alla prova in ordine all'ampliamento del thema decidendum, evoca considerazioni del tutto analoghe a quelle svolte nella citata sentenza n. 241 del 1992 con riferimento alla contestazione del fatto diverso effettuata a norma dell'art. 516 del medesimo codice. Anche nel caso in esame, dunque, se si parte dalla premessa interpretativa che l'ammissibilità della contestazione dibattimentale non è affatto subordinata alla presenza di elementi sufficienti a dare compiuta dimostrazione dei relativi fatti, ma, al contrario, si raccorda all'emergere di elementi idonei a configurarla in termini di serietà e concretezza, appare evidente che il diritto alla prova, assicurato a tutte le parti dall'art. 190 cod. proc. pen., non può subire, nell'ipotesi considerata dall'art. 517, come in quella di cui all'art. 516, né preclusioni derivanti dallo stadio processuale né limitazioni diverse da quelle poste in via generale dal medesimo art. 190.
Ora, posto che all'imputato, proprio in dipendenza da altro enunciato della sentenza n. 241 del 1992, è stata assicurata piena facoltà di prova in ogni caso di nuova contestazione dibattimentale, appare lesiva del principio di parità delle parti la mancata previsione della facoltà sia del pubblico ministero sia delle parti private diverse dall'imputato di chiedere, nei casi regolati dall'art. 517, l'ammissione di nuove prove.
3.- L'art. 519, comma 2, cod. proc. pen. va perciò dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost. (restando con ciò assorbito l'altro parametro invocato), nella parte in cui, in caso di nuova contestazione effettuata a norma dell'art. 517 cod. proc. pen., non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 519, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui, in caso di nuova contestazione effettuata a norma dell'art. 517 del medesimo codice, non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammis sione di nuove prove.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1995.