ORDINANZA N. 37
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 269 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino nel procedimento penale a carico di Conidi Salvatore iscritta al n. 607 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.
RITENUTO che il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino, chiamato a pronunciarsi per la seconda volta, nel procedimento penale per ricettazione instaurato a carico di Salvatore Conidi, sull'istanza, avanzata dal Pubblico ministero contestualmente alla domanda di archiviazione del procedimento, per la distruzione della documentazione magnetica delle intercettazioni telefoniche effettuate sull'utenza dell'indagato, dopo che la Corte di cassazione, annullato il precedente provvedimento di rigetto emesso dallo stesso giudice nelle forme prescritte dall'art. 554 c.p.p. per il provvedimento di archiviazione, gli aveva restituito gli atti per una nuova decisione da assumersi nel rispetto del rito camerale, ha sollevato, con ordinanza emessa il 13 luglio 1994, questione di legittimità costituzionale dell'art. 269 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione;
che, ad avviso del giudice a quo, l'interpretazione dell'art. 269 c.p.p. data dalla Corte di cassazione, secondo la quale la richiesta del Pubblico ministero di distruzione della documentazione relativa all'eseguita intercettazione telefonica obbliga il giudice competente per la decisione a fissare l'udienza in Camera di consiglio, ai sensi dell'art. 127 c.p.p., violerebbe, innanzitutto, i principi stabiliti dalla legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81, nell'art. 2, n. 41, nella parte in cui tale direttiva, senza prevedere la fissazione di alcuna udienza al riguardo, esprimerebbe il principio generale dell'obbligatoria conservazione della documentazione delle intercettazioni telefoniche, derogabile soltanto per la tutela della riservatezza degli interessati;
che la stessa interpretazione, inoltre, determinerebbe, nell'ipotesi in cui l'istanza di cancellazione delle registrazioni venisse contestualmente avanzata alla richiesta di archiviazione, una ingiustificata disparità di trattamento, nell'ambito delle persone sottoposte ad indagini preliminari, fra quelle nei cui confronti siano state effettuate intercettazioni telefoniche, le quali verrebbero informate, a causa della obbligatoria fissazione dell'udienza camerale, dell'instaurazione a loro carico di un procedimento penale conclusosi con l'archiviazione, e le persone nei cui confronti non siano state disposte intercettazioni telefoniche;
che il Presidente del Consiglio è intervenuto in giudizio, riportandosi integralmente alle argomentazioni esposte nel proprio atto di costituzione in un altro giudizio relativo ad una questione di legittimità costituzionale del tutto identica a quella in esame.
CONSIDERATO che la presente questione di costituzionalità è stata già esaminata da questa Corte, che con la sentenza n. 463 del 1994 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dell'art. 269, secondo comma, ultima proposizione, c.p.p., nella parte in cui impone l'applicazione del rito camerale disciplinato dall'art. 127 c.p.p. alla decisione del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta del pubblico ministero, avanzata contestualmente all'istanza di archiviazione, vòlta alla distruzione della documentazione attinente a intercettazioni telefoniche;
che nella medesima decisione questa Corte ha affermato che tale interpretazione non risulta in contrasto con la direttiva n. 41, lettera e), contenuta nell'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 e, quindi, non viola l'invocato art. 76 della Costituzione, essendo "anzi l'unica compatibile con la salvaguardia dei principi costituzionali", "in dipendenza del fatto che nell'ipotesi in esame vengono in considerazione valori e interessi non diversi da quelli coinvolti nell'ipotesi espressamente contemplata dall'art. 269, c.p.p." come presupposto per la fissazione dell'udienza camerale, poiché "la decisione giudiziale, da chiunque formulata, relativa alla distruzione del materiale documentale attinente a intercettazioni telefoniche incide in ogni caso sopra un diritto costituzionale - quello alla riservatezza delle proprie comunicazioni - che è stato riconosciuto da questa Corte come un diritto inviolabile ai sensi dell'art. 2 della Costituzione e, in quanto tale, restringibile dall'autorità giudiziaria soltanto nella misura strettamente necessaria alle esigenze di indagine legate al compito primario concernente la repressione dei reati" (v. sentt. nn. 63 del 1994, 81 del 1993, 366 del 1991 e 34 del 1973);
che l'interpretazione denunziata, inoltre, non comporta la violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo prospettato dal giudice a quo, dal momento che "l'incisione sulla sfera privata, tutelata come diritto costituzionale inviolabile, è un elemento sufficiente a giustificare il diverso trattamento (processuale) delle ipotesi in cui tale incisione sia avvenuta rispetto a quelle in cui non sia occorsa, considerato che la differenziazione del trattamento è strettamente limitata alla decisione sul predetto elemento";
che l'ordinanza introduttiva del presente giudizio non adduce motivazioni diverse e ulteriori rispetto a quelle già esaminate da questa Corte nella citata decisione n. 463 del 1994;
che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 269, secondo comma, ultima proposizione, c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1995.