Sentenza n. 33 del 1995

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SENTENZA N. 33

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche) e degli artt. 1 e 61 della legge della Regione Puglia 16 maggio 1985 n. 27 (Testo unificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici), promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 1994 dalla Corte di appello di Bari nel procedimento civile vertente tra il Comune di Sannicandro di Bari e l'Impresa Cuccovillo Angelantonio, iscritta al n. 594 del registro ordinanze del 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti l'atto di costituzione del Comune di Sannicandro di Bari nonchè l'atto di intervento della Regione Puglia;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

uditi gli avvocati Vincenzo Caputi Jambrenghi e Felice E.Lorusso per il Comune di Sannicandro di Bari e Giuseppe Abbamonte per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio civile, promosso dal Comune di Sannicandro di Bari contro un'impresa di costruzioni appaltatrice di un'opera pubblica (nuovo mercato coperto) per la dichiarazione di nullità della sentenza arbitrale emessa sulla controversia sorta tra le parti a seguito della deli bera comunale di rescissione del contratto di appalto per colpa grave e negligenza dell'impresa, la Corte di appello di Bari, con ordinanza del 15 febbraio 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 13 settembre 1994) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981 n. 741 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche), in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 102 della Costituzione, e degli artt. 1 e 61 della legge della Regione Puglia 16 maggio 1985 n. 27 (Testo unificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici), in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 117 della Costituzione.

Nell'ordinanza si premette che la "clausola compromissoria è contenuta nel patto con cui i contraenti richiamarono le norme del capitolato speciale e, con quelle, le disposizioni del capitolato generale" approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, tra cui anche l'art. 47, come sostituito dall'art. 16 della legge n. 741 del 1981; donde la rilevanza delle questioni che incidono sulla validità della deroga alla competenza del giudice ordinario - come disciplinata da quest'ultima norma legislativa - comportando, se accolte, la nullità della sentenza arbitrale per vizio del giudice che l'ha emessa.

Nel merito si sostiene che l'art. 16 della legge n. 741 del 1981 - prevedendo che "la competenza arbitrale può essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel bando o invito di gara oppure nel contratto in caso di trattativa privata" - sposta al momento della formazione del rapporto di appalto la scelta della competenza arbitrale, che nella previsione dell'art. 47 del capitolato generale, prima della modifica, si rendeva necessaria solo quando la controversia fosse già insorta, autorizzandosi ciascuna delle parti a privilegiare il ricorso al giudice ordinario.

All'uopo si richiama la giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 1458 del 10 febbraio 1992), secondo la quale occorre la concorde volontà delle parti per derogare al giudizio ordinario e non già, all'opposto, per escludere il giudizio arbitrale. Difatti, una norma che prescriva in via di principio il ricorso ad arbitri per la risoluzione delle controversie, salvo patti difformi inseriti nel contratto, solo apparentemente introduce un'ipotesi di arbitrato facoltativo (che la Corte costituzionale ha considerato legittimo, proprio perchè fonda to sulla concorde volontà delle parti), se non consente anche ad una sola delle parti di optare per il giudizio ordinario. Nella specie, il silenzio mantenuto dalla pubblica amministrazione nel bando di gara, quanto all' individuazione del giudice delle controversie, ha comportato una scelta unilaterale dell'amministrazione committente in favore della competenza arbitrale (prevista in via generale dall'art. 43 del capitolato generale), che il privato è tenuto ad accettare ove non voglia rinunziare alla gara; parimenti deve ravvisarvi un limite all'autonomia dei contraenti anche nel caso della trattativa privata, ove una delle parti intenda insistere per la scelta del giudizio arbitrale.

Quanto alla seconda questione, l' illegittimità costituzionale delle norme regionali denunciate consisterebbe nella mancata previsione che l'ente locale (provincia o comune), che sia parte di un contratto di appalto, possa nominare il proprio arbitro, a differenza di quanto invece è consentito all'appaltatore, espressamente autorizzato a ciò dall' art. 61 della legge regionale n. 27 del 1985. Questo, difatti, prevede che i collegi arbitrali (per le controversie relative alle opere pubbliche da realizzarsi nel territorio regionale - art. 1) siano composti, oltre che da due magistrati (uno ordinario ed uno amministrativo), da due funzionari della regione (uno tecnico ed uno amministrativo) nominati dal Presidente della giunta regionale, e da un libero professionista nominato dall'appaltatore.

Ma una siffatta previsione non garantirebbe l'indipendenza del giudice rispetto alle parti in conflitto che, nei giudizi arbitrali, è assicurata dalle clausole che consentono a entrambi i contraenti di nominare il proprio arbitro; sarebbe, quindi, lesiva del principio di eguaglianza, per la evidente disparità tra la posizione del Comune e quella dell'impresa; violerebbe, altresì, l'art. 24 della Costituzione, compromettendo il diritto di difesa di una delle parti; ed inoltre si porrebbe in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, essendo precluso alla regione di legiferare in materia che esula da quella dei lavori pubblici, per sconfinare nella "disciplina sulla giurisdizione".

2.- Si è costituito in giudizio il Comune di Sannicandro per aderire alle considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e richiamare la giurisprudenza costituzionale per la quale, alla stregua dei precetti desumibili dagli artt. 24 e 102 della Costituzione, la deroga alla giurisdizione ordinaria è rigorosamente subordinata alla concorde volontà delle parti, sicchè la fonte dell'arbitrato non può essere rinvenuta in una legge o in un atto autoritativo.

Nella normativa in esame sarebbe "invertito" l'ordine logico che consente di ritenere facoltativo, e quindi legittimo, il ricorso all'arbitrato, dal momento che non si richiederebbe la concorde volontà per utilizzarlo come strumento di risoluzione dei conflitti, bensì tale concorde volontà sarebbe richiesta per escluderlo. Con l'ovvia conseguenza che è sufficiente omettere la apposita clausola declinatoria nel bando o nel contratto (questo pure predisposto autoritativamente), perchè l'arbitrato da facoltativo si trasformi in obbligatorio. E poichè nelle gare di appalto non vi è alcuna possibilità per l'impresa partecipante di concorrere alla predeterminazione del contenuto della clausola derogativa della competenza arbitrale - restando questa nella esclusiva disponibilità della stazione appaltante - verrebbe meno quella concorde volontà delle parti ritenuta necessaria per derogare all'ordine comune della giurisdizione.

Per la seconda questione che coinvolge le nor me regionali, nell'atto di costituzione si afferma che l'art. 1 della legge regionale n. 27 del 1985, nel definire l'ambito di operatività della normativa, estesa a tutti i lavori pubblici che si realizzano nel territorio regionale, non sarebbe rispettoso dell'autonomia riconosciuta ai Comuni dalla Costituzione e disciplinata dalla legge statale delimitativa del loro ambito e delle loro competenze".

Quanto all'art. 61 della stessa legge regionale, si osserva che, poichè in base ad esso la regione nomina due suoi rappresentanti, quali componenti del collegio arbitrale, espropriando il Comune della potestà di nominare un proprio arbitro, in tal modo non sarebbe garantita la terzietà del giudice, che è il fondamento della sua funzione e che nei giudizi arbitrali si consegue con il meccanismo di designazione dei componenti il collegio.

Alla patente violazione del diritto di difesa e del principio di eguaglianza, si aggiungerebbe poi la violazione dell'art. 117 della Costituzione, perchè la norma regionale (art. 61, comma 3, e successivi commi di dettaglio dal 4 al 7) inciderebbe in un procedimento giurisdizionale, disciplinato dal codice di procedura civile e dalla normativa statale speciale contenuta nel capitolato generale sui lavori pubblici approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, in una materia cioè che esula dalle competenze regionali, essendo riservata alla legge dello Stato.

3.- E' intervenuta nel giudizio la Regione Puglia, per opporsi all'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale.

Per la prima questione ricorda che le disposizioni del capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici hanno natura ed efficacia normativa per i soli contratti riguardanti lo Stato, mentre non operano nei contratti di appalto stipulati da altri enti pubblici se non sono specificamente richiamate nei contratti medesimi, e in questo caso esse assumono la natura di clausole contrattuali. Nella fattispecie in esame le parti, mediante il richiamo alle norme del capitolato speciale e, con quelle, alle disposizioni del d.P.R. n. 1063 del 1962, hanno esercitato il loro potere di autonomia contrattuale garantito, per le situazioni di vantaggio compromettibili, dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, essendo state entrambe libere al momento della conclusione del contratto di scegliere la forma più consona di risoluzione delle eventuali controversie.

Per la seconda questione, prospettata nei confronti degli artt. 1 e 61 della legge regionale n. 27 del 1985, nell'atto di intervento si sostiene che la normativa denunciata garantisce la massima tutela possibile degli enti territoriali diversi dalla regione, nelle ipotesi di insorgenza di delicate questioni di diritto devolute alla competenza arbitrale, assicurando agli enti locali - mediante la nomina, in qualità di arbitri, di rappresentanti dell'ente territoriale maggiormente rappresentativo (la regione) - competenze e capacità difficilmente rinvenibili all'interno di enti di minori dimensioni, quale il Comune.

Considerato in diritto

1.- E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981 n. 741 il quale stabilisce che la competenza arbitrale, prevista in via generale dagli art. 43 e seg. del capitolato generale di appalto per le opere di competenze del Ministero dei lavori pubblici (d.p.r. n. 1063 del 1962), "può essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in ca so di trattativa privata". Si sostiene nell'ordinanza di rinvio che tale previsione violerebbe gli artt. 24 e 102 della Costituzione, in quanto avrebbe introdotto un arbitrato solo apparentemente facoltativo (nel senso, richiesto dalla giurisprudenza della Cassazione, che trovi la sua fonte nella concorde volontà delle parti contraenti), ma in realtà obbligatorio, dal momento che la facoltà di scelta del giudice sarebbe rimessa solo alla pubblica amministrazione committente e quindi ad un atto autoritativo, alla predisposizione del cui contenuto non può concorrere in alcun modo l'impresa partecipante alla gara o alla trattativa privata.

Con la stessa ordinanza il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale degli art. 1 e 61 della legge della regione Puglia n. 27 del 1985 - che per tutti i lavori pubblici che si realizzano nella regione, e quindi anche per quelli comunali, prevedono che i collegi arbitrali siano composti (oltre che da due magistrati) da due funzionari nominati dalla regione e da un professionista nominato dall'appaltatore, mentre non è previsto alcun arbitro nominato dal comune, che pure è parte del contratto di appalto - perchè essi viole rebbero l'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe discriminata una parte rispetto all'altra, con conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione, non essendo garantito il diritto di difesa, e dell'art. 117 della Costituzione, perchè la norma regionale (art. 61) "esula dalla specifica materia dei lavori pubblici per sconfinare nella materia della disciplina sulla giurisdizione".

2.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge n. 741 del 1981 è inammissibile per irrilevanza.

Nel porre il dubbio di costituzionalità l'ordinanza di rinvio premette che "la clausola compromissoria è contenuta nel patto con cui i contraenti richiamarono le norme del capitolato speciale e, con quelle, le disposizioni del capitolato generale approvato con il d.p.r. n. 1063 del 1962, che includono l'art. 47 come sostituito dall'art. 16 della legge n. 741 del 1981" e soggiunge che "di detta clausola non era necessaria la specifica approvazione, prescritta dall'art. 1341 del codice civile in quanto... il rinvio integrativo in questione non configura una ipotesi di contratto per adesione... bensì una fattispecie di contratto per relationem perfectam, nel quale il riferimento al predetto ca pitolato deve considerarsi come risultato di una scelta concordata".

Orbene, è la stessa premessa da cui muove il giudice a quo che denota l'irrilevanza della questione di costituzionalità dato che questa è stata sollevata nell'assunto che, ai fini della deroga della giurisdizione ordinaria, è necessaria la concorde volontà delle parti, là dove, si sostiene, "il silenzio mantenuto nel bando di gara quanto alla competenza per le controversie comporta già una scelta unilaterale della pubblica amministrazione committente, scelta che il partecipante è tenuto ad accettare ove non voglia rinunciare alla stessa gara; e parimenti un limite all'autonomia dei contraenti va ravvisato nel caso della trattativa privata ove uno dei contraenti intenda insistere per la soluzione del giudizio arbitrale".

Da quanto precede risulta, in primo luogo, che il profilo di incostituzionalità relativo "al bando di gara" non riguarda il giudizio a quo, in quanto la controversia concerne un contratto di appalto concluso a trattativa privata. Quanto poi alla ipotesi della trattativa privata, relativamente alla quale, come si è appena ricordato, si asserisce che "un limite all'autonomia dei contraenti va ravvisato... ove uno dei contraenti intenda insistere per la soluzione del giudizio arbitrale", l'evenienza così prospettata non concerne anch'essa il giudizio a quo, perchè l'ordinanza di rinvio precisa - come già detto - che "la clausola compromissoria è contenuta nel patto con cui i contraenti richiamarono le norme del capitolato speciale e con quelle le disposizioni del capitolato generale approvato con il d.p.r. n. 1063 del 1962, che includono l'art. 47 come sostituito dalla legge n. 741 del 1981". Una precisazione, dunque, indicativa di una positiva volontà delle parti, sia pure espressa per relationem, di voler compromettere per arbitri le eventuali controversie nascenti dal contratto.

La questione risulta, perciò, sotto entrambi i profili del bando di gara e della trattativa privata, sollevata in astratto, senza attinenza al giudizio a quo, onde la sua irrilevanza.

3.- In merito alla seconda questione con la quale vengono congiuntamente denunciati, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione, gli artt. 1 e 61 della legge della regione Puglia n. 27 del 1985, va osservato che l'art. 1 è stato evidentemente menzionato a scopo meramente cautela tivo, ma in realtà è estraneo all'incidente di costituzionalità. Difatti tale articolo si limita a fissare le finalità e l'ambito di applicazione della disciplina regionale, oggetto della legge, indicandoli nella "materia delle opere e dei lavori pubblici o di pubblico interesse che si realizzano nella regione, con o senza l'intervento finanziario regionale". La questione di costituzionalità relativa a detto art. 1 è perciò inammissibile, perchè nessuna diretta rilevanza esso ha nel giudizio a quo, come invece l'art. 61 della legge regionale stessa che riguarda la composizione dei collegi arbitrali ed il cui sindacato è perciò esaustivo ai fini della risoluzione dell'incidente di costituzionalità nei termini in cui è stato sollevato.

4.- Passando all'esame della questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, citato da ultimo, (punto n. 3), precede, secondo l'ordine prospettato nell'ordinanza di rinvio, il profilo riferito all'art. 3 della Costituzione, rispetto al quale la questione è fondata.

Osserva il giudice a quo che la norma regionale, nello stabilire che i collegi arbitrali, per la risoluzione delle controversie relative ai lavori pubblici realizzati nel territorio regionale, siano composti da due magistrati, da due funzionari della regione (uno tecnico ed uno amministrativo), nominati dal presidente della regione, e da un libero professionista, nominato dall'appaltatore, determina con tale composizione una evidente disparità di trattamento tra la posizione dell'ente locale committente, quando esso sia diverso dalla regione, "rispetto all'altro contraente che può includervi un professionista di propria fiducia".

L'assunto deve essere condiviso. Essendo l'arbitrato un modo di risoluzione di controversie tra i soggetti dell'ordinamento, alternativo alla devoluzione di esse al giudice ordinario su concorde volontà delle parti, una legge, la quale preveda la composizione del collegio arbitrale per la soluzione di controversie fra un soggetto pubblico ed un privato, non può far venir meno la caratteristica fondamentale dell'istituto secondo cui, se è dato ad una delle parti di designare uno o più componenti del collegio che deve decidere la controversia, pari facoltà deve essere concessa all'altra parte.

Nè, come si è sostenuto dalla regione intervenuta nel presente giudizio, tale esigenza può ritenersi soddisfatta con l'attribuzione ad un altro soggetto pubblico, quale la regione, del potere di nomina, in un collegio di cinque componenti, di due di essi da parte del presidente della regione, scelti uno tra i funzionari tecnici e l'altro tra quelli amministrativi della regione stessa.

In proposito va ancora qui ricordato che nella censura di incostituzionalità si lamenta la mancanza nell'ente locale territoriale, che sia parte della controversia deferita all'arbitrato, della facoltà, invece concessa all'altra parte, di nominare uno degli arbitri. Ma questa facoltà non può ritenersi legittimamente esercitata dal presidente della regione - cui la legge impugnata conferisce tale potere anche quando sia parte della controversia un ente territoriale diverso dalla regione - non potendo egli in alcun modo esprimere la volontà di detto ente se non alterando il sistema delle autonomie, che considera assolutamente distinte la soggettività di ciascuno degli enti suddetti e la conseguente attribuzione dei poteri per la cura degli interessi pubblici dei quali essi siano rispettivamente titolari. La prospettazione che traspare dagli argomenti difensivi della regione - secondo cui "tale procedimento è dettato dalla normativa regionale contestata proprio per garantire la massima tutela possibile degli enti territoriali ...", in quanto la regione "in qualità di massima espressione del decentramento amministrativo... assicura la maggiore garanzia di competenza e di capacità dei rappresentanti dell'ente territoriale locale nel procedimento arbitrale, dove si richiedono competenze tecniche difficilmente reperibili all'interno dell'ente di minori dimensioni" - esprime una concezione dell'assetto delle autonomie locali, come quello dell'assoggettamento degli enti minori alla "tutela" di quelli maggiori, non rispondente al disegno costituzionale. Questo, fatti salvi i poteri di indirizzo della regione concepita come momento centrale del sistema delle autonomie (sent. n. 343 del 1991), distribuisce con pari dignità i poteri fra gli enti locali in ragione della cura degli interessi pubblici loro rispettivamente attribuiti, senza possibilità di sovrapposizione o di sostituzione in ragione della maggiore dimensione di alcuni rispetto ad altri. Inoltre, la suddetta tesi difensiva della regione, muove da una premessa estranea alla censura formulata dal giudice "a quo", il quale lamenta la violazione del principio di parità fra le parti delle controversie deferite ad arbitrato per non essere consentito all'ente committente (nella specie il comune) di indicare "l'arbitro di scelta e nomina proprie, rispetto all'altro contraente, che può includervi un professionista di propria fiducia". Ciò che dunque viene censurato nell'ordinanza di rinvio non è che il comune sia privato della possibilità di nominare un arbitro scelto fra i propri dipendenti o fra i propri cittadini - il che, sia pure su di un piano di mero fatto, avrebbe potuto far riconoscere qualche fondamento alla tesi difensiva della regione - bensì che non gli sia consentito di nominare un arbitro di propria scelta alla pari della controparte della controversia, onde la fondatezza della censura per violazione del principio di eguaglianza.

5.- L'accoglimento della questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, assorbe le altre censure dedotte in ordine successivo in riferimento agli artt. 24 e 117 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 61 della legge della regione Puglia 16 maggio 1985 n. 27 (Testo modificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici), nella parte in cui non prevede che fra i cinque componenti del collegio arbitrale uno di es si sia nominato dall'ente locale territoriale, diverso dalla regione, che sia parte della controversia;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 16 della legge 10 dicembre 1981 n. 741 (Ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche) sollevata, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 102 della Costituzione, dalla Corte di appello di Bari con l'ordinanza indicata in epigrafe;

b) dell'art. 1 della legge della regione Puglia 16 maggio 1985, n. 27 (Testo unificato ed aggiornato di leggi regionali in materia di opere e lavori pubblici) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 117 della Costituzione, dalla Corte di appello di Bari con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1995.