ORDINANZA N. 25
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), promosso con ordinanza emessa il 5 novembre 1993 dalla Corte d'Appello di Milano nel procedimento penale a carico di Dolci Michele ed altro, iscritta al n. 401 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28 prima serie speciale dell'anno 1994.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Federazione Italiana della Caccia;
udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli;
RITENUTO che con ordinanza del 5 novembre 1993 la Corte di Appello di Milano, nel corso del giudizio instaurato con ricorso del Procuratore della Repubblica di Milano avverso la sentenza di assoluzione degli imputati Dolci Michele e altro emessa dal Pretore di Sondrio - sezione distaccata di Morbegno, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 Cost., la questione di legittimità costituzionalità degli artt. 30 e 31 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nella parte in cui hanno escluso la configurabilità del reato di furto nell'ipotesi di violazione del divieto di caccia su terreno innevato (R.O. n. 401 del 1994);
che il giudice a quo ha premesso che i due imputati sono stati assolti nel giudizio di primo grado dal reato di cui agli artt. 624-625 n. 7, cod. pen. e che dopo la proposizione dell'appello è intervenuta una nuova disciplina in materia di caccia, contenuta nella legge n. 157 del 1992, e pertanto devono riesaminarsi le argomentazioni espresse nella sentenza di assoluzione, dal momento che durante la vigenza della precedente normativa sulla caccia, prevista dalla legge 27 dicembre 1977, n. 968, si era affermata una interpretazione giurisprudenziale, richiamata dal pubblico ministero appellante, secondo la quale la caccia di frodo integrava la fattispecie del reato di furto, mentre l'art. 31 della legge n. 157 ha depenalizzato il delitto di furto venatorio, prevedendo soltanto sanzioni amministrative per una serie di fatti tra i quali rientra univocamente quello contestato agli imputati nel giudizio a quo;
che secondo il giudice remittente il nuovo regime sanzionatorio pone in essere una rilevante diminuzione della tutela dell'ambiente, in violazione degli artt. 9 e 42 Cost., e causa una disparità di trattamento tra coloro che si impossessano del bene mobile indisponibile costituito dalla selvaggina, per i quali viene meno l'imputazione per il reato di furto, e coloro che si impossessano di ogni altro bene mobile indisponibile dello Stato, per i quali tale reato resta configurabile;
che, infine, il giudice a quo sostiene che la questione sollevata "non tende alla introduzione di una nuova fattispecie di illecito penale... ma richiede soltanto la pronuncia di illegittimità di una riduzione o eliminazione di tutela penale ... con il conseguente ripristino della situazione normativa precedente, modificata in maniera costituzionalmente illegittima dalla legge n. 157/1992";
che nel giudizio davanti alla Corte hanno spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e la Federazione Italiana della Caccia, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
CONSIDERATO che deve essere preliminarmente dichiarata l'inammissibilità dell'intervento in giudizio della Federazione Italiana della Caccia, dal momento che tale ente associativo non ha assunto la qualità di parte nel giudizio a quo;
che il giudice remittente, pur sollecitando una pronuncia formalmente demolitiva, mira comunque ad ottenere una decisione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate in grado di determinare il "ripristino" della situazione normativa precedente, che consentiva, in fattispecie quali quelle contestate agli imputati nel giudizio a quo, l'applicabilità delle sanzioni previste dagli artt. 624, 625 e 626 cod. pen., in fattispecie quali quelle contestate agli imputati nel giudizio a quo;
che la Corte nell'ordinanza n. 146 del 1993 - con la quale è stata decisa analoga questione concernente le medesime disposizioni impugnate nel presente giudizio - ha già affermato che, secondo la propria costante giurisprudenza, "al giudice costituzionale non è dato di pronunciare una decisione dalla quale possa derivare la creazione - esclusivamente riservata al legislatore - di una nuova fattispecie penale: e ciò in forza del principio di legalità sancito dall'art. 25, comma 2, Cost.";
che, inoltre, come ribadito anche nell'ordinanza n. 215 del 1994 - con la quale è stata dichiarata manifestamente inammissibile una analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 della legge n. 157 del 1992 - "la caccia rappresenta un settore dell'ordinamento regolato organicamente da una disciplina speciale, nel cui ambito l'identificazione delle fattispecie da sanzionare, del tipo di sanzioni da applicare e della gradua zione delle sanzioni stesse spetta alla discrezionalità del legislatore";
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 30 e 31 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 9 e 42 della Costituzione, dalla Corte d'Appello di Milano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 12 gennaio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.