ORDINANZA N. 24
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del-l'art. 8, secondo comma, e 3, sesto comma, del decreto-legge 19 novembre 1992, n. 440 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), dell'art. 14, secondo e quarto comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonché disposizioni varie) e dell'art. 3, sesto comma, e 9, primo comma, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), promosso con ordinanza emessa il 15 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, sul ricorso proposto dal Comune di Camporotondo Etneo contro il Ministero dell'Interno ed altro, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 prima serie speciale dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli;
RITENUTO che nel corso del giudizio promosso dal Comune di Camporotondo Etneo per chiedere l'annullamento del decreto del Prefetto di Catania n. 440/sett. 3° del 30 giugno 1993, di irrogazione di sanzione ai sensi dell'art. 3, sesto comma, del decreto-legge 19 novembre 1992, n. 440; del decreto del Ministro dell'interno n. 18005/74604/02 del 16 ottobre 1993, di rigetto del ricorso avverso il suddetto decreto prefettizio; nonché della circolare del Ministro dell'interno F.L. n. 21/1992, posta a base dei suddetti decreti, il T.A.R. per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza di cui in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, secondo comma, e 3, sesto comma, del decreto-legge 19 novembre 1992, n. 440 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), non convertito; dall'art. 14, secondo e quarto comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonché disposizioni varie), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38; e degli artt. 3, sesto comma, e 9, primo comma, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito in legge, con modificazioni, della legge 19 marzo 1993, n. 68;
che, a giudizio del giudice a quo, le disposizioni impugnate risulterebbero lesive degli artt. 3 e 97 della Costituzione per il fatto di stabilire, rispettivamente, al 30 novembre 1992 la data ultima per la rideliberazione in aumento, con effetto dall'anno in corso, delle tariffe della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, al fine di rispettare l'obbligo di copertura minima del costo del servizio, in misura non inferiore al 50%, di cui all'art. 14 del decreto-legge n. 415 del 1989, ed al 31 marzo 1993 la data ultima per la trasmissione da parte dei Comuni della certificazione definitiva comprovante il rispetto del suddetto ob-bligo, al fine di non incorrere nella sanzione della perdita dell'incremento del fondo perequativo per la finanza locale, di cui all'art. 3, sesto comma, del decreto-legge n. 440 del 1992, imponendo così agli stessi Comuni un termine ritenuto irragionevolmente breve per gli adempimenti procedimentali indispensabili, tanto più che tali adempimenti sarebbero in parte condizionati dalla attività di altre amministrazioni;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio tramite l'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, per essere stata sollevata nella fase cautelare del giudizio a quo dopo l'accoglimento della domanda di sospensione dell'atto, e comunque infondata nel merito;
CONSIDERATO che l'eccezione di inammissibilità deve essere respinta in quanto il separato provvedimento, precedente l'ordinanza di rimessione, con il quale il T.A.R. remittente ha disposto la temporanea sospensione degli atti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare successiva alla pronuncia di questa Corte, per il suo carattere interinale, non ha determinato l'esaurimento del potere del giudice amministrativo nella fase cautelare del giudizio né, quindi, il venir meno del requisito della rilevanza della sollevata questione (v. sent. n. 444 del 1990);
che la questione risulta manifestamente inammissibile in riferimento agli artt. 3, sesto comma, e 8, secondo comma, del decreto-legge n. 440 del 1992, trattandosi di decreto-legge che ha perso la sua efficacia a seguito della mancata conversione;
che la questione risulta altresì manifestamente inammissibile in riferimento all'art. 14, secondo e quarto comma, del decreto-legge n. 415 del 1989, dal momento che su tale articolo l'ordinanza di remissione non formula specifiche censure;
che il termine del 31 marzo 1993, di cui all'art. 9, primo comma, del decreto-legge n. 8 del 1993 (cui si collega la sanzione disposta nell'art. 3, sesto comma, dello stesso decreto-legge), nel determinare un periodo di quattro mesi a disposizione dei Comuni per il perfezionamento degli atti di ridefinizione delle tariffe, non risulta, in relazione ai tempi ordinari di adozione delle tariffe, viziato da irragionevolezza, tenuto conto del grado di discrezionalità spettante in materia al legislatore e della funzione sollecitatoria della normativa in questione, volta a disincentivare i ritardi nell'azione amministrativa da parte degli enti locali;
che, per questo profilo, la questione deve essere, pertanto, dichiarata manifestamente infondata;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, secondo comma, e 3, sesto comma, del decreto- legge 19 novembre 1992, n. 440, e dell'art. 14, secondo e quarto comma, del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal T.A.R. per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, sesto comma, e 9, primo comma, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dallo stesso T.A.R. per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 12 gennaio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.