Sentenza n. 19 del 1995

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SENTENZA N. 19

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,Presidente

-        Prof. Gabriele PESCATORE Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del d.P.R. 20 gennaio 1993 (recte: 20 gennaio 1992), n. 23 (Concessione di amnistia per reati tributari), promosso con ordinanza emessa il 9 febbraio 1994 dal G.i.p.

presso il Tribunale di Udine nel procedimento penale a carico di Zolli Franca ed altra, iscritta al n. 274 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1994;

udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 1994 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza in data 9 febbraio 1994 (R.O. n. 274 del 1994), il G.i.p. presso il Tribunale di Udine, nel corso dell'udienza preliminare di un procedimento penale a carico di Zolli Franca ed altra (imputate del reato previsto dagli artt. 110 c.p. e 4, primo comma, n. 7 della legge n. 516 del 1982), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del D.P.R. 20 gennaio 1993 (recte: 20 gennaio 1992), n. 23 (Concessione di amnistia per reati tributari), nella parte in cui detta norma non prevede (ed anzi implicitamente esclude) che, ai fini dell'applicazione dell'amnistia, la definizione dei periodi di imposta secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413, giovi anche nei confronti dei concorrenti nei reati previsti in ma- teria di imposte sui redditi ed imposte sul valore aggiunto.

2.- Secondo il giudice a quo, dal dettato dell'art. 182 c.p. e dall'assenza nel d.P.R. n. 23 del 1992 di qualsiasi espressa deroga all'efficacia meramente soggettiva dell'amnistia, discenderebbe che la dichiarazione integrativa o la definizione del periodo di imposta gioverebbe solo a chi ha attivato i meccanismi agevolativi previsti dalla legge e non al concorrente c.d. extraneus non contribuente. Secondo il remittente, l'art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 23 del 1992 andrebbe correlato con la legge n. 413 del 1991, che consente la presentazione delle dichiarazioni integrative solo a soggetti qualificati in virtù del loro status di contribuente, attuale o pregresso, determinando, così, un'irragionevole disparità di trattamento a danno del concorrente nel reato che non rivesta la qualità di contribuente. Ove, poi, sulla base di diversa interpretazione, si ritenesse quest'ultimo facoltizzato a presentare, ai soli fini penali, la dichiarazione integrativa, si verificherebbe ugualmente una situazione irrazionale, in quanto ai sensi dell'art. 32, comma 4, della legge n. 413 del 1991, il concorrente medesimo dovrebbe versare le imposte dovute in base alla dichiarazione integrativa, con ingiustificato arricchimento dell'Erario che, a fronte di un'unica condotta costituente reato, vedrebbe moltiplicati i versamenti dell'imposta.

Considerato in diritto

1.- Con l'ordinanza in epigrafe, il G.i.p. presso il Tribunale di Udine solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del d.P.R. 20 gennaio 1993 (recte: 20 gennaio 1992), n. 23, denunciandone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede -ed anzi implicitamente esclude- che, ai fini dell'applicazione dell'amnistia, la definizione dei periodi di imposta secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413, giovi anche nei confronti dei concorrenti nei reati previsti in materia di imposte sui redditi ed imposte sul valore aggiunto.

Secondo il remittente la norma, in ragione della sua inadeguata formulazione, sarebbe fonte di una ingiustificata disparità di trattamento, in quanto fruiscono della causa estintiva gli autori principali del reato che sono anche coloro che hanno tratto immediati vantaggi dall'attività criminosa e dall'evasione dell'obbligo tributario, mentre ne rimangono esclusi i soggetti che, sebbene abbiano dato un apporto necessario con la loro azione materiale, hanno realizzato, purtuttavia, un fine evasivo altrui.

Ulteriori aspetti di incongruenza della normativa di cui trattasi vengono rilevati, dall'ordinanza, nel fatto di precludere al concorrente "extraneus" non contribuente la facoltà di presentare dichiarazione integrativa e di fruire in tal modo della causa estintiva del reato, non senza evidenziare che, comunque, ove la suddetta facoltà venisse riconosciuta, l'interessato dovrebbe comunque versare un'imposta già assolta attraverso la dichiarazione integrativa presentata dal contribuente.

2.- La questione non è fondata.

La norma sospettata di incostituzionalità, e cioè l'art. 1, comma 1, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, stabilisce che "è concessa amnistia per i reati previsti in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, commessi fino al 30 settembre 1991 e riferibili ai periodi di imposta che possono essere definiti secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413".

Precisa il comma 2 dello stesso articolo che, per ciascuna imposta, l'amnistia si applica, salvo le diverse specifiche ipotesi disciplinate dal successivo comma 3, "a tutti i reati di cui al comma 1 riferibili al periodo di imposta a condizione che il contribuente o chiunque altro, avendone interesse, presenti dichiarazione integrativa per la definizione per l'intero periodo ovvero definisca il periodo stesso".

Il remittente muove dal presupposto che, in base alla normativa denunciata, "il provvedimento di amnistia deve necessariamente correlarsi con la legge n. 413 del 1991", che "consente la presentazione della dichiarazione integrativa solo a soggetti qualificati in virtù del loro status di contribuente, attuale o pregresso", traendone la conseguenza che il sistema della legge sia tale da non consentire di fruire dell'amnistia al concorrente nel reato, pur a fronte dell'avvenuta definizione della pendenza tributaria ad opera del contribuente.

Osserva al riguardo la Corte che, nell'ambito di specifiche normative quali quella qui in esame, fra provvedimento di clemenza e definizione delle pendenze tributarie esiste certamente un nesso inscindibile, dovuto alle stesse motivazioni che ispirano i provvedimenti di amnistia in campo tributario, tra le quali assumono rilievo essenziale quelle connesse al recupero dell'evasione, alla definizione del contenzioso tributario pendente ed al reperimento di entrate fiscali.

Tale connessione non è tale tuttavia da giustificare, quanto ai limiti di applicabilità del provvedimento di clemenza, lo stretto parallelismo, ipotizzato dall'ordinanza, fra soggetto legittimato alla dichiarazione integrativa e soggetto destinatario dell'amnistia.

Il giudice a quo ritiene di confortare la tesi contraria all'estensibilità dell'amnistia al concorrente nel reato extraneus al rapporto tributario con quanto disposto dall'art. 182 c.p., secondo il quale l'estinzione del reato o della pena ha effetto soltanto per coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce, a meno che la legge non disponga altrimenti. Ma tale disposizione, a ben vedere, lungi dal risolvere il problema non fa che trasferirlo all'esegesi dell'art. 1 del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, sulla base del quale vanno individuati i destinatari del provvedimento di clemenza e, quindi, coloro ai quali la causa di estinzione si riferisce. Orbene, dall'esame di quest'ultima disposizione, non è dato trarre la implicazione che viene assunta dal remittente a premessa della sollevata questione in quanto, pur essendo l'amnistia condizionata alla presentazione di dichiarazione integrativa ovvero alla definizione del periodo di imposta ad opera del contribuente o di chiunque vi abbia interesse, l'oggettività del presupposto indicato dalla legge non autorizza a ritenere che il legislatore abbia voluto limitare a chi abbia posto in essere detti adempimenti la causa d'estinzione del reato e quindi gli effetti che, sul piano penale, conseguono alla definizione del rapporto tributario.

Non va, del resto, trascurato il noto canone ermeneutico secondo il quale, tra le possibili interpretazioni della norma, sia da scegliere quella conforme a Costituzione, specie quando ad un'interpretazione nel senso più ampio sopra descritto concorrono argomenti di non trascurabile rilievo, desumibili dalle incongruenze cui si andrebbe altrimenti incontro sia a ritenere che dell'amnistia non possano comunque beneficiare, pur in presenza della definizione della pendenza tributaria ad ope ra del contribuente, i concorrenti nel reato che non siano essi stessi contribuenti, sia a ritenere, così come il giudice remittente adombra in via meramente ipotetica, che essi possano beneficiarne a condizione che effettuino una nuova dichiarazione integrativa, reiterando nel contempo i pagamenti. Senza indugiare sulla problematica, invero non rilevante per dare risposta al quesito posto dal remittente, di chi possa reputarsi legittimato alla definizione della pendenza tributaria, a fronte di una legge che parla sia del contribuente sia di chi "avendone interesse" ponga in essere i relativi adempimenti, va rammentato, traendo spunto da precedenti pronunzie di questa Corte (sentenza n. 59 del 1980), che, in materia di amnistia, è vero sì che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella scelta del criterio di discriminazione fra reati amnistiabili e non, ma, come è evidente, occorre pur sempre, nell'interpretare le norme relative, muovere dal presupposto che egli abbia voluto escludere sperequazioni normative fra attività criminose omogenee che non troverebbero alcuna plausibile giustificazione.

Alla luce delle esposte considerazioni la Corte esprime, pertanto, l'avviso che il dubbio di costituzionalità sollevato dal giudice a quo non abbia fondamento, essendo la lettera della legge idonea a ricomprendere nel provvedimento di clemenza previsto dall'art. 1 del d.P.R.20 gennaio 1992, n. 23, anche il caso del concorrente estraneo, quando il contribuente abbia provveduto a definire la pendenza con il fisco secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23 (Concessione di amnistia per reati tributari), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 12 gennaio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.