Sentenza n. 16 del 1995

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SENTENZA N. 16

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-                  Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-                  Prof. Gabriele PESCATORE

-                  Prof. Antonio BALDASSARRE

-                  Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-                  Avv. Mauro FERRI

-                  Prof. Luigi MENGONI

-                  Prof. Enzo CHELI

-                  Dott. Renato GRANATA

-                  Prof. Giuliano VASSALLI

-                  Prof. Francesco GUIZZI

-                  Prof. Cesare MIRABELLI

-                  Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-                  Avv. Massimo VARI

-                  Dott. Cesare RUPERTO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari), promosso con ordinanza emessa il 4 novembre 1993 dal Pretore di Bolzano nel procedimento penale a carico di Oberrauch Anton, iscritta al n. 174 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale dell'anno 1994;

Visti gli atti di intervento di Coran Francesco e della Provincia di Bolzano, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Oberrauch Anton, imputato del reato di scarico oltre i limiti di accettabilità, il Pretore di Bolzano, con ordinanza adottata in data 4 novembre 1993 (R.O. n. 174 del 1994), ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari), per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal momento che tale norma consente ai soli difensori di fiducia - e non anche ai difensori d'ufficio - di madrelingua diversa da quella del processo di svolgere nella propria lingua gli interventi orali per la risoluzione di questioni pregiudiziali e per l'illustrazione della difesa, con verbalizzazione nella lingua del processo.

Risulta dall'ordinanza che il processo, nella contumacia dell'imputato, si svolgeva in lingua tedesca, quale lingua presunta dell'imputato individuata in base alla notoria appartenenza dello stesso al gruppo linguistico tedesco, secondo quanto previsto dall'art. 15, primo comma, del d.P.R. n. 574 del 1988, e che il difensore d'ufficio, avv. Francesco Coran, aveva eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. n. 574 del 1988, senza procedere alla illustrazione del merito della difesa.

Il Pretore - dopo aver rilevato che la norma impugnata non è suscettibile di applicazione analogica ai difensori d'ufficio, data la sua natura eccezionale rispetto alla regola generale secondo la quale tutti gli atti processuali devono essere posti in essere nella lingua del processo - ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata, dal momento che l'art. 15, quinto comma, del d.P.R. n. 574 del 1988 prevederebbe, senza alcuna giustificazione razionale, un trattamento differenziato per situazioni identiche, quali quella del difensore di fiducia e del difensore d'ufficio, diverse solo per la fonte del "potere difensivo", così violando l'art. 3 della Costituzione. Risulterebbe, inoltre, violato l'art. 24 della Costituzione essendo imposto al difensore di ufficio l'uso della lingua del processo senza consentirgli quella scelta conferita al difensore di fiducia proprio per garantire l'effettività e l'efficacia dell'intervento difensivo.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Dopo aver messo in risalto che nel d.P.R. n. 574 del 1988 la lingua del processo è individuata in relazione alla lingua materna dichiarata o presunta dell'imputato, l'Avvocatura rileva che le situazioni del difensore di fiducia e d'ufficio non possono ritenersi comparabili.

Secondo la difesa dello Stato la norma impugnata assicurerebbe, infatti, l'effettività del diritto di difesa sotto il profilo della libertà dell'imputato di scegliere il difensore anche in un gruppo linguistico diverso dal proprio, mentre non potrebbe essere invocata a favore del difensore d'ufficio, la scelta del quale può avvenire con modalità tali da garantire la nomina di un difensore della stessa madrelingua dell'imputato. A tal proposito l'Avvocatura prospetta l'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 26, secondo comma, delle norme di attuazione del c.p.p. (approvate con d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271) in base al quale, nei procedimenti nei confronti di appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute, l'autorità giudiziaria, nell'individuare il difensore d'ufficio o nel designare il sostituto del difensore a norma dell'art. 97, quarto comma c.p.p., tiene conto, al fine di assicurare l'effettività della difesa, dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato.

3. - È intervenuto anche l'avv. Francesco Coran, difensore d'ufficio nel giudizio a quo, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

Nella memoria, depositata in prossimità dell'udienza, si sostiene che nel concetto di "parte" andrebbe ricompreso anche il difensore dell'imputato e che, nella specie, si discute della costituzionalità di una norma che riguarda specificamente il difensore.

Quanto al merito, nella memoria sono sviluppate le censure relative agli artt. 3 e 24 della Costituzione e vengono prospettati ulteriori profili di illegittimità con riferimento agli artt. 2 e 4 della Costituzione.

4. - In data 9 novembre 1994, la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato un atto di intervento, chiedendo di respingere la questione di costituzionalità.

Dopo aver affermato l'ammissibilità del proprio intervento, in relazione alla natura della norma impugnata - che ha concorso alla definizione dell'autonomia regionale e provinciale - ed aver giustificato la tardività dello stesso quale conseguenza della mancata notifica della ordinanza di rimessione, la Provincia rileva che la norma impugnata è stata posta a favore dell'indagato e dell'imputato e non del difensore di ufficio e che proprio l'estensione a quest'ultimo della facoltà prevista per il difensore di fiducia verrebbe a integrare una violazione del diritto di difesa, consentendo la nomina di difensori di ufficio non in grado di usare la lingua del processo. Ad avviso della Provincia tale estensione verrebbe anche a determinare una violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Bolzano dubita, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, in quanto tale disposizione consente ai soli difensori di fiducia - e non anche ai difensori d'ufficio - di madrelingua diversa da quella del processo, di svolgere nella propria lingua gli interventi orali per la risoluzione di questioni pregiudiziali e per l'illustrazione della difesa, con verbalizzazione nella lingua del processo.

2. - Deve preliminarmente essere dichiarata l'irricevibilità dell'atto di intervento della Provincia autonoma di Bolzano in quanto depositato oltre il termine previsto dagli artt. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Né la tardività potrebbe essere sanata, come la Provincia richiede, tenendo conto della mancata notifica alla stessa Provincia dell'ordinanza di rimessione, dal momento che, nella specie, non essendo in questione una legge provinciale, non sussisteva, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, un obbligo di notifica di tale ordinanza al Presidente della Giunta provinciale.

Deve, inoltre, essere dichiarato inammissibile l'intervento dell'avv. Francesco Coran, difensore d'ufficio dell'imputato nel giudizio principale, dal momento che il difensore si viene a qualificare come rappresentante della parte e non come parte dello stesso giudizio.

3. - La questione non è fondata.

L'ordinanza di rimessione muove dal presupposto che, nelle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua nei procedimenti giudiziari, le posizioni del difensore di fiducia e del difensore d'ufficio siano identiche. Su tale premessa il giudice a quo fonda la censura della norma impugnata, dal momento che la stessa consentirebbe, senza alcuna giustificazione razionale, un trattamento differenziato di situazioni identiche, non garantendo altresì l'efficacia dell'intervento del difensore d'ufficio.

Tale premessa non può essere condivisa per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché non tiene conto della ratio dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. n. 574 del 1988, quale si desume dall'intero contesto della disciplina speciale; in secondo luogo, perché non attribuisce adeguato rilievo alle norme successivamente introdotte, in tema di lingua degli atti del processo penale, dal nuovo codice di procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447) e dalle relative disposizioni di attuazione (d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271).

4. - Il d.P.R. n. 574 del 1988, nel disciplinare l'uso della lingua nel processo penale da parte dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco, ha posto al centro del sistema la tutela dell'imputato. Infatti, la lingua da usare per gli atti processuali è quella materna, che può essere dichiarata dalla persona inquisita, ovvero individuata in via presuntiva in base alla notoria appartenenza al gruppo linguistico e ad altri elementi già acquisiti al processo (artt. 14 e 15 d.P.R. n. 574). L'imputato può inoltre, nei casi e modi disciplinati, "decidere che il processo prosegua nell'altra lingua" (art. 17 d.P.R. n. 574).

La disciplina descritta, non imponendo agli appartenenti alla minoranza linguistica di usare nel processo una lingua diversa da quella materna, attua nel processo penale la tutela del patrimonio culturale della stessa minoranza, tutela riconosciuta dall'art. 6 della Costituzione, nonché dall'art. 100, primo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige.

La facoltà di scelta della lingua del processo come lingua diversa da quella materna, attribuita all'imputato dall'art. 17 del d.P.R. n. 574 a chiusura della disciplina generale, raccorda, d'altro canto, la tutela dell'imputato, quale appartenente alla minoranza linguistica, alla tutela connessa alla garanzia, prevista dall'art. 24 Cost., del diritto di difesa anche come difesa tecnica. Attraverso la disciplina posta con il d.P.R. n. 574 risulta, infatti, assicurata all'imputato la libertà di scegliere il proprio avvocato anche in un gruppo linguistico diverso da quello di appartenenza, potendo la scelta della lingua del processo essere fatta in funzione delle esigenze della difesa tecnica.

Allo stesso modo la norma impugnata - consentendo solo al difensore di fiducia di madrelingua diversa da quella del processo di svolgere interventi orali nella propria lingua, con verbalizzazione nella lingua del processo - collega il complesso di norme che individuano la lingua del processo nella madrelingua dell'imputato con la tutela costituzionale del diritto di difesa, rendendo possibile la scelta del difensore in un gruppo linguistico diverso da quello di appartenenza anche quando, nella ponderazione dei propri interessi, l'imputato ritenga di non esercitare la più ampia facoltà di variazione della lingua del processo di cui all'art. 17 citato.

Resta, peraltro, innegabile che l'effettività della difesa tecnica può conseguire la sua realizzazione migliore ove la lingua del processo venga a coincidere sia con la lingua dell'imputato che con quella del difensore. Tale principio, nella speciale disciplina posta dal d.P.R. n. 574 a tutela della minoranza tedesca, può essere derogato, ma solo in relazione all'esigenza di garantire più intensamente il diritto di difesa, consentendo all'interessato una più ampia libertà nella scelta del proprio difensore. Ipotesi, questa, che non ricorre ove la scelta manchi e si proceda alla designazione di un difensore di ufficio.

5. - A questo va aggiunto che l'art. 26, secondo comma, delle norme di attuazione del nuovo codice di procedura penale (d.P.R. n. 271 del 1989) prevede che nei procedimenti nei confronti di appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute di cui all'art. 109, secondo comma, dello stesso codice, l'autorità giudiziaria debba tener conto, nell'individuare il difensore d'ufficio o nel designare il sostituto del difensore a norma dell'art. 97, quarto comma c.p.p., dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato quando ciò serva ad assicurare l'effettività della difesa.

Tale disposizione, posta per garantire a tutti i cittadini appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute l'effettività e l'efficacia della difesa tecnica, quando la scelta del difensore non sia stata effettuata dalla parte interessata, non può non valere anche per i cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della Provincia di Bolzano (v., in questo senso la sent. n. 271 del 1994, che ha riconosciuto l'applicabilità ai cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, dell'art. 109, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale).

Con riferimento alla fattispecie in esame occorre, dunque, riconoscere che anche nel caso di appartenenti alla minoranza linguistica tedesca, l'autorità giudiziaria, quando si tratti di garantire l'effettività della difesa, è tenuta a nominare, ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 271 del 1989, un difensore di ufficio della stessa madrelingua dell'imputato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, quinto comma, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari), in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione sollevata dal Pretore di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1995.