ORDINANZA N. 479
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 105 del codice di procedura penale e dell'art. 2, primo comma, numero 4), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1994 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Monterosso Massimiliano, iscritta al n.519 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il Tribunale di Catanzaro, impossibilitato a celebrare il dibattimento nei confronti di un imputato in stato di custodia cautelare per l'astensione dalle udienze deliberata dagli avvocati e procuratori del luogo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 102 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 105, commi 1 e 4, del codice di procedura penale e delle corrispondenti previsioni dettate dall'art. 2, numero 4), della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, "nella parte in cui hanno comportato l'abrogazione dell'art. 131 c.p.p.";
che a tal proposito il giudice a quo rileva che l'esercizio della amministrazione della giusti zia viene compromesso dalla normativa censurata in quanto esposto al rischio di paralisi anche a tempo indeterminato, senza possibilità di controlli esterni all'ordine forense, il quale ultimo finisce per godere di un "inaccettabile privilegio", in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, e con conseguenti riverberi anche sulla effettività della funzione giurisdizionale;
che la competenza del consiglio dell'ordine forense ad irrogare sanzioni per il caso di abbandono o rifiuto di difesa costituirebbe dunque, nell'ipotesi di sciopero dei difensori, una "inaccettabile situazione di giurisdizione domestica, attuata da iudex in causa propria", idonea a compromettere anche l'art. 24 della Costituzione, in quanto risulterebbe frustrato il diritto di difesa dell'imputato alla celebrazione del giudizio e alla difesa;
e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, pur concludendo nel senso della infondatezza, ha dedotto la inammissibilità della questione sotto un duplice profilo: da un lato, infatti, il petitum risulterebbe ambiguo, in quanto non è dato comprende re se venga richiesta una pronuncia additiva o di mero accoglimento; dall'altro, e sempre che il rimettente abbia inteso sollecitare una sentenza additiva, la questione sarebbe inammissibile trattandosi di scelte discrezionali da riservare al legislatore;
considerato che, al di là delle pur condivisibili deduzioni svolte dall'Avvocatura, è assorbente il rilievo che le disposizioni oggetto di censura non presentano rilevanza alcuna agli effetti del procedimento che il giudice a quo è chiamato a celebrare, considerato che la scelta dell'organo cui devolvere la competenza ad irrogare sanzioni disciplinari per il caso di abbandono o rifiuto di difesa è aspetto che, in sè e per sè considerato, in nessun modo interferisce con lo svolgimento dell'attività dibattimentale e con le relative cause di sospensione;
e che, pertanto, la questione deve essere di chiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 105 del codice di procedura penale e dell'art. 2, primo comma, numero 4), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 102 della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/12/1994.