ORDINANZA N. 474
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n.356, promosso con ordinanza emessa il 17 marzo 1994 dal Tribunale di sorveglianza di Bari nel procedimento di sorveglianza relativo a Colaprico Claudio, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n.356, nella parte in cui non consente di ammettere ad una misura alternativa alla detenzione il condannato per uno dei reati considerati dal primo comma del medesimo articolo, commesso in data precedente all'entrata in vigore della previsione normativa in questione, che non abbia collaborato con la giustizia a norma dell'art.58-ter ord. pen.;
che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe con l'art.25, secondo comma, della Costituzione, atteso che la "ratio di garanzia sottesa al principio costituzionale di irretroattività delle norme che disciplinano la punizione (...) di un soggetto riconosciuto autore di un reato", impedirebbe allo Stato di "deteriorare la condizione giuridica di determinati condannati, individuati cioè post factum";
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.
Considerato che il procedimento a quo concerne l'applicabilità dell'affidamento in prova al servizio sociale di un condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione per il delitto previsto dall'art.416-bis cod. pen.;
che, secondo quanto dedotto dal giudice a quo, l'istante ha intrapreso un'onesta e apprezzata attività lavorativa e non mantiene più contatti con la criminalità organizzata;
che questa Corte, con sentenza n. 357 del 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come sostituito dall'art.15, primo comma, lettera a), del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma, (tra cui l'affidamento in prova al servizio sociale) possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata;
che, tenuto conto sia della accertata rottura dei collegamenti del condannato con la criminalità organizzata sia della entità della pena al medesimo inflitta, non è da escludere l'incidenza della suddetta pronuncia nel procedimento pendente dinanzi al giudice remittente;
che, pertanto, appare opportuno disporre la restituzione degli atti al medesimo giudice, affinchè, alla luce del nuovo quadro normativo, valuti se la questione da esso sollevata sia tuttora rilevante.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di sorveglianza di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/12/94.