Sentenza n.440 del 1994

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SENTENZA N. 440

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e dell'articolo unico della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell'art. 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive), promossi con le seguenti ordinanze:

1) n. 4 ordinanze emesse il 18 gennaio 1994 dal Magistrato di sorveglianza di Sassari nei procedimenti di sorveglianza nei confronti di Massidda Pier Paolo, Serra Gesuino Massimo, Piovanaccio Costantino e Pisano Giuseppino, rispettivamente iscritte ai nn.230, 231, 232 233 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1994;

2) ordinanza emessa il 28 marzo 1994 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale per i minorenni di Cagliari nel procedimento promosso dal Pubblico Ministero nei confronti di Pillittu Gianluca, iscritta al n.318 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. Con quattro ordinanze di identico contenuto emesse in altrettanti procedimenti di conversione della pena della multa, non eseguita per l'insolvibilità del condannato, nella sanzione sostitutiva della libertà controllata, il Magistrato di sorveglianza di Sassari ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non stabilisce un criterio di ragguaglio tra pena pecuniaria e libertà controllata che si raccordi a quello stabilito dall'art. 135 del codice penale, secondo le modifiche apportate dalla legge 5 ottobre 1993, n.402. Osserva in proposito il giudice a quo che se è vero che l'art.135 c.p. e l'art. 102 della legge n. 689 del 1981 disciplinano materie diverse (l'uno il criterio per il ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria e l'altro il criterio di conversione della pena pecuniaria in libertà controllata o lavoro sostitutivo), al punto che in astratto "si potrebbe ritenere del tutto ragionevole che il legislatore abbia previsto due differenti criteri di ragguaglio per materie fra loro eterogenee", le interferenze che si determinano tra la disciplina dettata dall'art. 135 c. p. e quella prevista dalla legge n. 689 del 1981 in tema di sanzioni sostitutive e pene pecuniarie generano in concreto una disparità di trattamento priva di qualsiasi giustificazione.

Rileva, infatti, il giudice a quo che la libertà controllata, la quale pure deve ritenersi una sanzione sostitutiva più afflittiva della pena pecuniaria, può divenire - nell'ipotesi di conversione per violazione delle prescrizioni - "meno severa della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, convertita a sua volta in libertà controllata per insolvibilità del condannato e di nuovo commutata in pena detentiva per violazione delle prescrizioni".

Il tutto a differenza di quanto scaturiva dal sistema previgente, dal momento che lo stesso stabiliva un identico criterio di ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva e tra pena pecuniaria e libertà controllata.

A conforto della dedotta violazione del principio di uguaglianza, il rimettente prospetta il seguente duplice esempio. Qualora il giudice ritenga di irrogare una pena detentiva pari a tre mesi di reclusione e questa venga convertita ex art. 53 l. n. 689/81 in sei mesi di libertà controllata, nell'ipotesi in cui il condannato violi (sin dal primo giorno) le prescrizioni, la libertà controllata torna ad essere convertita in tre mesi di reclusione. Se invece il giudice decide di convertire la pena di tre mesi di reclusione nella pena pecuniaria, questa sarà pari - in virtù del nuovo criterio di ragguaglio stabilito dall'art. 135 c.p.p - a lire 6.750.000; in caso di insolvibilità, però, dovrà essere convertita ex art. 102 l.n.689/81 secondo il diverso criterio di ragguaglio pari a lire 25.000 per ogni giorno di libertà controllata: il condannato, dunque, dovrà eseguire nove mesi di libertà controllata e, nel caso di violazione delle prescrizioni sin dal primo giorno, la libertà controllata sarà a sua volta convertita in nove mesi di reclusione (art. 108 l. n.689/81).

Da questo esempio risulta evidente - secondo il giudice a quo - l'assurda disparità di trattamento scaturita dalla situazione creatasi per effetto del mancato adeguamento del criterio di ragguaglio fissato nell'art. 102, comma terzo, della legge 24 novembre 1981, n. 689, al nuovo criterio di ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie dall'art. 135 codice penale, come modificato dalla legge 5 ottobre 1993, n. 402. Ed infatti la libertà controllata, che deve ritenersi una sanzione sostitutiva maggiormente afflittiva rispetto alla pena pecuniaria, finisce col divenire, nell'ipotesi patologica in cui si renda necessaria la sua conversione per violazione delle prescrizioni, meno severa della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, convertita a sua volta in libertà controllata per insolvibilità del condannato e di nuovo commutata in pena detentiva per violazione delle prescrizioni.

2. Nello spiegare intervento in giudizio, l'Avvocatura dello Stato, oltre a riportarsi alle considerazioni svolte in altro giudizio (avente peraltro un diverso tema), ha osservato che la questione "mette in evidenza un problema effettivo" che tuttavia non dipende - ad avviso della difesa dello Stato - dalla norma impugnata: la questione, sostiene l'Avvocatura, sarebbe pertanto infondata.

3. Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Cagliari solleva, invece, sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge 5 ottobre 1992, n. 402, nella parte in cui ha omesso di modificare l'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, nel senso di prevedere che nell'ipotesi di conversione in libertà controllata o in lavoro sostitutivo delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, la somma da considerare per il relativo cal colo sia rispettivamente di lire 75.000 per ogni giorno di libertà controllata e di lire 150.000 per ogni giorno di lavoro sostitutivo.

Osserva il giudice a quo che la legge n. 689 del 1981, nel dettare disposizioni in materia di pene pecuniarie, aveva creato un sistema armonico stabilendo che il computo per il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive fosse effettuato calcolando lire 25.000 o frazione di lire 25.000 per un giorno di pena detentiva, e ciò in relazione a tutti gli istituti per i quali fosse necessario operare il ragguaglio.

Anche l'art. 102, terzo comma, della stessa legge indicava (forse superfluamente, rileva il giudice a quo, in quanto già operava la previsione dettata in via generale dall'art. 135 c.p., valida "a qualunque effetto giuridico") la medesima somma ai fini della conversione in libertà controllata delle pene pecuniarie ineseguite per insolvibilità del condannato: il che, osserva il rimettente, consente di ritenere che la somma di lire 25.000 rispondesse alla stessa ratio e fosse ispirata al principio del favor rei. La modifica apportata all'art. 135 c.p., priva di una corrispondente elevazione degli importi stabiliti dall'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, ha così determinato una ingiustificata ed irrazionale disarmonia del sistema, regolando in modo diverso situazioni sostanzialmente omogenee e aggravando la posizione di diseguaglianza in danno dei nullatenenti. In conclusione, osserva il giudice a quo, non sussiste alcuna ragione logica per creare una diversità di trattamento tra un condannato insolvibile e un condannato che debba invece godere di altri benefici, nonostante che per entrambi debba operarsi il ragguaglio tra pene di specie diversa.

4. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto dichiararsi non fondata la questione riportandosi all'atto di intervento spiegato in altro giudizio avente peraltro un diverso oggetto.

Considerato in diritto

1. Pur se riferite a fonti normative differenti, le questioni investono, partendo da versanti fra loro posti su di un piano di complementarità logica, un identico tema del decidere: i relativi giudizi vanno pertanto riuniti per essere definiti con unica sentenza.

2. Il Magistrato di sorveglianza di Sassari impugna l'art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) nella parte in cui, stabilendo l'ammontare della sanzione pecuniaria che deve essere conteggiata per un giorno di libertà controllata da applicare in sede di conversione delle pene della multa e dell'ammenda non eseguite per insolvibilità del condannato, fissa un valore che non si rapporta al nuovo criterio di ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva indicato dall'art.135 del codice penale, come modificato dalla legge 5 ottobre 1993, n.402. A conforto della dedotta violazione del principio di uguaglianza il giudice a quo adduce l'ipotesi in cui il giudice ritenga di dover applicare la pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva: in tal caso - correttamente osserva il rimettente - la quantificazione della pena pecuniaria sarà effettuata alla stregua del nuovo importo di ragguaglio stabilito dall'art. 135 c.p., mentre, in ipotesi di insolvibilità, tale pena deve essere convertita in libertà controllata secondo il diverso meccanismo di computo stabilito dall'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981; sicchè, nell'ipotesi in cui il condannato violi sin dal primo giorno le prescrizioni inerenti alla libertà controllata applicata in sede di conversione, lo stesso, a norma dell'art. 108, primo comma, dovrà espiare un periodo di pena detentiva triplo rispetto a quello preso a base dal giudice nella sentenza di condanna. Dal meccanismo normativo censurato scaturisce, dunque, che, ove si renda necessario convertire la libertà controllata per la violazione delle prescrizioni, le conseguenze saranno diverse a seconda che tale sanzione sia stata applicata in sostituzione di pene detentive ovvero in sede di conversione di pene pecuniarie, col paradosso di rendere più afflittivi gli effetti in quest'ultima ipotesi malgrado la diversità delle situazioni di partenza.

3. Considerazioni e censure di indiscutibile esattezza, quelle svolte dal giudice a quo, che testimoniano le profonde aporie che hanno turbato l'armonia del sistema a seguito della non coordinata modifica che il legislatore ha recentemente apportato all'art. 135 del codice penale. Malgrado ciò, non può tuttavia non rilevarsi come la questione, per i termini in cui è stata proposta, si presenti del tutto eventuale agli effetti della decisione che il rimettente è chiamato ad adottare, giacchè la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata - oggetto dei giudizi a quibus - prescinde evidentemente dagli epiloghi, soltanto ipotetici, che possono scaturire dalle vicende applicative della sanzione sostitutiva e, quindi, da una eventuale conversione di questa nella pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena pecuniaria originariamente inflitta.

La questione deve dunque essere dichiarata inammissibile per carenza del necessario requisito della rilevanza.

4. Il Magistrato di sorveglianza del Tribunale per i minorenni di Cagliari ha invece sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 5 ottobre 1993, n. 402, nella parte in cui, aumentando da lire venticinquemila a lire settantacinquemila il valore in base al quale effettuare il ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, ha omesso di operare l'identica variazione del corrispondente importo alla cui stregua deve essere determinato, a norma dell'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, il periodo di libertà controllata da applicare nell'ipotesi di conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato. Da ciò scaturisce, ad avviso del giudice a quo, un ingiustificato ed irragionevole squilibrio del sistema atto a vulnerare il principio di uguaglianza, considerato che l'omesso coordinamento normativo finisce per generare una disparità di trattamento fra situazioni "sostanzialmente omogenee", aggravando la posizione dei condannati che versino in condizioni di insolvibilità.

Pur se formalmente attinta è la fonte novellatrice dell'art.135 c.p., il petitum che il giudice a quo mostra di perseguire è chiaramente volto a sollecitare una pronuncia "riadeguatrice" dell'art.102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, nel senso di raccordare il valore ivi indicato al nuovo importo che ora funge da criterio di ragguaglio fra pene detentive e pene pecuniarie. Ricondotta in tali esatti termini, la questione è fondata.

5. Dai lavori parlamentari che hanno preceduto l'approvazione della legge n. 402 del 1993 emerge infatti con estrema chiarezza come l'unico aspetto preso in considerazione dal legislatore sia stato quello di aumentare, triplicandolo, il valore di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, nel dichiarato intento di ampliare la possibilità di fruire del beneficio della sospensione condizionale della pena nei casi di condanna a pena congiunta o anche soltanto a pena pecuniaria ma di ammontare elevato, avuto riguardo, in particolare, al diminuito valore della moneta intervenuto dall'epoca in cui l'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689, aveva in precedenza riadeguato l'importo posto a base dell'art. 135 c.p. (si veda, a tal proposito, la relazione al disegno di legge n. 982 presentato al Senato il 17 febbraio 1993). Una valutazione di favore, dunque, alla quale non sono state mosse obiezioni di rilievo, salvo le "riserve" espresse dal rappresentante del Governo "circa un provvedimento che altera comunque il rapporto di valori tra pene detentive e pecuniarie", a fronte della ritenuta "esigenza di procedere congiuntamente ad un generale innalzamento delle entità delle pene pecuniarie edittali, che pure hanno risentito dell'effetto erosivo dell'inflazione" (Commissione Giustizia del Senato, seduta del 22 aprile 1993 in sede deliberante).

Tale essendo stato il circoscritto obiettivo perseguito attraverso la disposizione novellatrice dell'art. 135 c.p., ne consegue che il legislatore ha assunto una posizione per così dire amorfa rispetto agli inevitabili riverberi che dalla modifica normativa ineluttabilmente scaturivano, vuoi sul piano generale delle sanzioni sostitutive, vuoi, soprattutto, sullo specifico tema che qui rileva, vale a dire sull'ormai squilibrato valore che l'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981 stabilisce agli effetti del computo della libertà controllata da applicare in sede di conversione delle pene pecuniarie. Posizione questa che se da un lato non consente di ritenere un siffatto e macroscopico squilibrio come frutto di una scelta discrezionale, dall'altro, e per converso, impedisce di pervenire ad una ragionevole ricostruzione del sistema, per essere la norma sottoposta a scrutinio ormai fortemente compromessa da un sostanziale e sopravvenuto "vuoto di fini". Se, infatti, la determinazione del valore secondo il quale operare la conversione delle pene pecuniarie in libertà controllata fu stabilita dal legislatore del 1981 in perfetta aderenza all'importo che l'art.135 c.p. , contestualmente novellato, fissava come criterio di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, e se, ancora, tutto ciò ebbe a ricevere veste precettiva attraverso disposizioni non soltanto topograficamente ma anche logicamente fra loro correlate (artt.102 e 101 della legge n. 689 del 1981), se ne può allora desumere che l'identità degli importi indicati nelle due norme poste a raffronto non fu dovuta al caso, ma rappresentò il frutto di una precisa e coerente scelta di politica criminale, al fondo della quale stava l'avvertita esigenza - più volte posta in risalto da questa Corte - di non aggravare le conseguenze che derivano dalla condanna in dipendenza delle condizioni economiche del reo. Così ricostruita la funzione che la norma sottoposta a censura è chiamata a svolgere nell'ordinamento, ne consegue che l'immutato valore ivi indicato, in presenza delle modifiche subite dall'art. 135 del codice penale, finisce per determinare uno svuotamento delle finalità ti piche che l'istituto della conversione deve soddisfare, con conseguente grave compromissione del principio di uguaglianza che qui assume tutto il suo risalto per le intuibili conseguenze che quell'istituto è in grado di determinare sul piano delle libertà della persona.

Pur essendo, quindi, in astratto da condividersi l'osservazione svolta dal Magistrato di sorveglianza di Sassari circa il fatto che "si potrebbe ritenere del tutto ragionevole che il legislatore abbia precisato due differenti criteri di ragguaglio per materie fra loro eterogenee", resta assorbente il rilievo che, in assenza di una chiara scelta innovativa su tale specifico profilo, spetta a questa Corte il compito di riadeguare il sistema - ormai incrinato - negli stessi termini e con le medesime proporzioni che il legislatore, facendo corretto uso del proprio potere discrezionale, aveva previsto prima della recente novella, caducando, dunque, in parte qua, l'ormai inaccettabile previsione dettata dall'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui stabilisce che, agli effetti della conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando venticinquemila lire, o frazione di venticinquemila lire, anzichè settantacinquemila lire, o frazione di settantacinquemila lire, di pena pecuniaria per un giorno di libertà controllata;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102, terzo comma, della medesima legge n.689 del 1981, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Sassari con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/12/94.