Sentenza n. 405 del 1994

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SENTENZA N. 405

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 199 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dal Tribunale militare di Cagliari nel procedimento penale a carico di Lai Alberto, iscritta al n. 726 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1.- Nel giudizio penale a carico di Lai Alberto imputato del reato di minaccia ad inferiore (ex art. 196 cod. pen. mil. di pace) il Tribunale militare di Cagliari ha sollevato - con riferimento all'art. 3 Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 199 cod. pen. mil. di pace.

A tenore della norma impugnata, le disposizioni relative agli episodi di insubordinazione e di violenza, minacce ed ingiurie contro inferiori non si applicano se i fatti in questione sono stati commessi "per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare".

Nel caso di specie, l'imputato - un sottotenente dell'Esercito - si sarebbe reso responsabile del reato per cause estranee al servizio ed alla disciplina militare e fuori da luoghi militari. Osserva, peraltro, il giudice a quo che il reato è stato commesso nei riguardi di un brigadiere dei carabinieri ed in presenza di militari dell'Arma appartenenti alla pattuglia da questi comandata, in servizio di pubblica sicurezza. Pertanto, si dovrebbe applicare, ai sensi dell'art. 199 del cod.pen. mil. di pace, la previsione di cui all'art. 196 del medesimo codice che commina una pena meno grave di quella prevista per il reato comune di minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336, primo comma, codice penale.

Il Tribunale militare ha pertanto ritenuto di dover sollevare giudizio di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost., rilevando che la semplice circostanza della presenza di militari riuniti per servizio non può costituire, di per sè sola, ragione sufficiente per un verso per parificare nel trattamento finalistico il fatto commesso per cause inerenti al servizio e alla disciplina e quello commesso per cause estranee, e, per altro verso per qualificare, più lievemente, dal punto di vista della pena, la fattispecie in questione. Il Tribunale remittente ricorda, altresì, che la Corte costituzionale si è già pronunciata su analoga questione con sentenza n.45 del 1992, dichiarandola non fondata. Tuttavia la questione viene riproposta, considerando che il precedente della Corte si riferisce ad un'ipotesi in cui il reato militare viene sanzionato più pesantemente di quello comune.

2.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere una pronuncia di inammissibilità o, comunque, di non fondatezza.

Con riguardo alla richiesta di inammissibilità, l'Avvocatura sottolinea che il giudice remittente prospetta, nell'ordinanza di remessione, l'interpretazione in base alla quale la dizione "presenza di militari riuniti per servizio" non ricomprende i carabinieri in servizio di polizia giudiziaria o di sicurezza. Pertanto, se il giudice avesse seguito questa strada interpretativa, non sarebbe stato necessario investire della questione il giudice delle leggi.

L'Avvocatura, comunque, ritiene che la questione debba essere dichiarata non fondata, sulla base del precedente di cui alla sentenza n. 45 del 1992.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale militare di Cagliari ritiene che l'art. 199 del codice penale militare di pace, nella parte in cui prevede l'applicabilità del reato di minaccia ad inferiore per la circostanza della "presenza di militari riuniti per servizio", contrasti con l'art. 3 Cost..

2.- Va preliminarmente disattesa la censura di inammissibilità prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, intervenendo in giudizio, ha sostenuto che il giudice a quo ha prospettato nell'ordinanza di remissione un'interpretazione che consentirebbe di risolvere la questione senza ricorrere al giudizio di legittimità costituzionale.

Vale a dire quella di non considerare come militari in servizio gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri che svolgono funzioni di pubblica sicurezza.

Invero, un'attenta lettura dell'ordinanza di remissione consente di superare tale dubbio di ammissibilità, in quanto da essa si ricava che, in realtà, lo stesso giudice a quo mostra di non ritenere percorribile siffatta via interpretativa. Pertanto la questione di legittimità prospettata dal Tribunale militare di Cagliari va esaminata nel merito.

3.- L'art. 199 del codice penale militare di pace consente che la minaccia di un militare nei con fronti di un inferiore sia punita ai sensi dell'art. 196 dello stesso codice - e non ai sensi dell'art. 336 del codice penale ordinario - allorchè - tra le altre ipotesi considerate - l'inferiore sia stato minacciato alla presenza di militari riuniti per servizio. Il Tribunale militare di Cagliari, giudicando sulle minacce profferite da un militare nei confronti di un inferiore alla presenza di più carabinieri riuniti per servizio di pubblica sicurezza, pur non ritenendo che questo servizio possa essere ricompreso nella nozione oggettiva di "servizio militare", prende atto che la lettera dell'art. 199 cod. pen. mil. di pace non specifica, relativamente alla presenza dei militari riuniti per servizio, che il servizio stesso debba essere interpretato nel senso inteso da esso giudice remittente, rendendo così applicabile la norma al caso di specie.

Ciò premesso, il Tribunale militare di Cagliari dubita che il citato art. 199 violi l'art. 3 della Costituzione, in quanto la sanzione da esso prevista (pena massima di tre anni di reclusione militare) è inferiore a quella prevista dall'art. 336 cod. pen. (che prevede una pena massima di cinque anni di reclusione). Per effetto della norma impugnata - secondo il giudice a quo - si determinerebbe una consistente deroga al principio di proporzione tra fatto e pena, in quanto la disciplina speciale verrebbe applicata con effetti favorevoli al militare superiore, laddove, invece, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 45 del 1992), il comportamento tenuto da un militare superiore nel grado nei confronti di un inferiore, alla presenza dei militari riuniti in servizio, dovrebbe essere punito più severamente in relazione alla lesione del bene della disciplina militare. In sostanza la presenza dei militari riuniti in servizio renderebbe la stessa condotta meno grave, con lesione del principio di ragionevolezza sotto il profilo della mancanza di proporzionalità.

4.- La questione non è fondata.

L'argomentazione del Tribunale militare si basa sulla errata premessa della uguaglianza delle condotte previste e punite rispettivamente dagli artt. 196 del codice penale militare di pace e dall'art. 336 del codice penale ordinario per inferirne la sproporzione - in favore dell'autore del reato - della pena prevista dall'impugnato art. 199.

In realtà i fatti descritti dalle predette norme sono diversi. Mentre l'art. 196 punisce la mera "minaccia di un ingiusto danno" da parte di un militare nei confronti di un inferiore, il primo comma dell'art. 336 del codice penale ordinario - al quale fa riferimento l'ordinanza di remissione - punisce la minaccia a un pubblico ufficiale o a un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo a compiere un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio. In altri termini, in quest'ultima ipotesi è previsto un elemento teleologico di consistente gravità - che qualifica il comportamento dell'autore - diretto a costringere il soggetto passivo del reato a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto d'ufficio - del tutto insussistente nell'ipotesi delineata dal codice militare.

Le disposizioni ex artt. 196, primo comma, cod. pen. mil. di pace e 336, primo comma, cod. pen., contemplando fattispecie diverse, non irragionevolmente individuano un trattamento sanzionatorio differenziato.

Quindi, venendo meno tale argomentazione del giudice a quo, cade anche il dubbio circa la conformità all'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento di uguali situazioni, dell'art. 199 cod. pen.mil. di pace che fra le condizioni che elenca per l'applicazione dei reati di insubordinazione e di quelli di abuso di autorità (tra i quali ultimi si colloca il reato di minaccia ad inferiore) prevede quella delle presenza di più militari riuniti per servizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 199 del codice penale militare di pace sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale militare di Cagliari con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/11/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/11/94.