SENTENZA N. 391
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1993 (recte: 12 gennaio 1994) dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Cassani Giulio Cesare e la Syracuse University - Syracuse in Italy Program, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di costituzione di Cassani Giulio Cesare e della Syracuse University - Syracuse in Italy Program nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi l'avvocato Giorgio Bellotti per Cassani Giulio Cesare e l'avvocato Mario Tonucci per la Syracuse University - Syracuse in Italy Program e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Un cittadino statunitense aveva proposto al Pretore di Firenze, quale giudice del lavoro, più domande, il cui presupposto era costituito dall'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro da lui intrattenuto, in qualità di docente, con la Syracuse University di Firenze, istituzione culturale con sede legale nello stato di New York: rapporto svoltosi sulla base di un contratto stipulato negli U.S.A.
Il Pretore aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, trattandosi di obbligazione sorta all'estero tra cittadini stranieri, i quali avevano validamente derogato con patto scritto ex art. 2 del codice di procedura civile alla giurisdizione che l'art. 4, n. 2 del codice di procedura civile riconosce al giudice italiano per tutte le obbligazioni da eseguirsi sul territorio nazionale.
In sede di gravame, il Tribunale di Firenze, con ordinanza emessa il 12 gennaio 1993 (recte: 12 gennaio 1994), ha sollevato, in riferimento agli artt. 35, 36, 37, e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 cod. proc. civ., "nella parte in cui consente, attraverso la mediazione giurisdizionale del giudice straniero, che abbiano esecuzione in Italia contratti di lavoro il cui contenuto è contrario all'ordine pubblico di cui all'art.31 delle preleggi".
A parere del giudice a quo la volontà delle parti, determinando lo Stato ove il processo avrà luogo, individuerebbe, "sia pure indirettamente, anche la legge sostanziale che verrà applicata al rapporto". E poichè, ai sensi dell' art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale, non possono avere effetto in Italia leggi contrarie all'ordine pubblico, "non potrebbe trovare ingresso nel nostro Paese, neppure attraverso la mediazione giurisdizionale straniera", la legge di uno Stato estero che qualifichi una prestazione lavorativa come autonoma, laddove l'opposta qualificazione in termini di lavoro subordinato costituisca il presupposto per l'applicazione di norme previdenziali e infortunistiche.
Il Tribunale osserva, con riguardo al rapporto di lavoro, che, per la presenza di numerose norme inderogabili, il "quantitativo di diritto straniero importabile" nel nostro ordinamento sarebbe "contingentato" per effetto del detto limite. Il rapporto di lavoro è regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente ed anche contro la volontà delle parti da cui trae origine, onde le limitazioni di carattere pubblicistico non potrebbero "non estendersi coerentemente al piano processuale attraverso cui quelle stesse limitazioni potrebbero essere escluse".
Nella specie - sempre a detta del Tribunale remittente - non potrebbe il giudice straniero, dovendo necessariamente applicare la legge dello Stato di New York (che non contemplerebbe il limite dell'art.31), "valutare se il rapporto contenga elementi contrari all'ordine pubblico italiano". Il Tribunale di Firenze ritiene quindi che sussista un contrasto tra l'impugnato art. 2 cod proc. civ. e l'art. 31 delle preleggi, che non sarebbe risolvibile accordando la precedenza al momento della giurisdizione, in ragione della sua logica priorità (come del resto deciso in altra occasione dallo stesso giudice a quo), ma esclusivamente riducendo la portata dell'una o dell'altra norma.
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità per irrilevanza della questione, prospettata nell'eventualità che una possibile pronuncia del giudice straniero dia esecuzione in Italia a contratti in ipotesi contrari all'ordine pubblico.
Nel merito, l'Autorità intervenuta sostiene che l'ordinanza di rimessione muove da un presupposto errato. In realtà, mentre l'art. 31 postula la giurisdizione italiana, introducendo come limite al funzionamento del diritto privato internazionale, il generale concetto di ordine pubblico (e rivolgendosi appunto al giudice italiano), l'art. 2 impugnato sancisce una deroga alla giurisdizione italiana e non implica necessariamente che il giudice straniero non possa applicare la legge italiana.
3. Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite entrambe le parti private. Il ricorrente in primo grado ha aderito alle motivazioni dell'ordinanza di rimessione, mentre l'appellante ha insistito sulla ontologica diversità delle due norme (artt. 2 cod. proc. civ. e 31 preleggi), escludendo in nuce il contrasto tra la norma impugnata e gli evocati parametri costituzionali. A parere della Syracuse University - che eccepisce anche l'inammissibilità per omessa motivazione circa l'asserita violazione degli artt. 35, 36, 37 e 38 della Costituzione - la scelta della giurisdizione non determina (neppure indirettamente) anche la scelta della legge sostanziale.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2 del codice di procedura civile, in quanto consentirebbe, attraverso la mediazione giurisdizionale del giudice straniero, che abbiano esecuzione in Italia con tratti di lavoro dal contenuto contrario all'ordine pubblico di cui all'art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale.
Sostiene in particolare il giudice remittente che l'articolo 2 cod.proc. civ. - a norma del quale la giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata per le obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un cittadino non residente nè domiciliato nella Repubblica, purchè la deroga risulti da atto scritto - e l'art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale - a stregua del quale in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, così come le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio del nostro Stato - appaiono confliggenti fra di loro. L'ultima norma citata, infatti, impedisce che si travalichino le limitazioni all'autonomia negoziale delle parti, nella specie quelle di valore costituzionale poste dalla legislazione in tema di obbligazioni lavoristiche. Ma l'art. 2 cod. proc. civ., che facoltizza la deroga alla giurisdizione, si estende, per consolidata giurisprudenza, anche a tali obbligazioni; e dunque il ricorso ad esso, nell'àmbito delle controversie di lavoro, consentirebbe di eludere il divieto posto dall'altra norma, atteso che la scelta della giurisdizione determina nello stesso tempo, sia pure indirettamente, anche la legge sostanziale applicabile, la quale può in ipotesi regolare il rapporto di lavoro in modo meno favorevole per il lavoratore.
Donde il dubbio espresso sulla legittimità costituzionale dell'articolo medesimo.
2. La questione è inammissibile.
La violazione dei parametri costituzionali viene denunziata dal Tribunale di Firenze sulla base di una duplice ipotesi: che la lex causae coincida con la lex fori e che dall'applicazione della prima scaturisca una decisione contraria all'ordine pubblico (la cui efficacia nel nostro ordinamento resterebbe peraltro esclusa ex art. 797, n. 7 cod.proc. civ.). La prospettazione appare dunque legata a mere eventualità, che rendono evidente il difetto di una rilevanza attuale della questione. Infatti la legge che le parti intendono far applicare ben potrebbe essere quella del luogo in cui il rapporto si svolge; ed inoltre, non può dirsi a priori che il giudice straniero, sia pure applicando la propria legge, pervenga a conclusioni contrastanti con il limite dell'ordine pubblico di cui all'art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale. Conclusioni, che comunque non possono considerarsi quale effetto necessario dell'art. 2 cod. proc.civ., la cui portata normativa si esaurisce sul piano processuale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2 del codice di procedura civile sollevata dal Tribunale di Firenze in relazione agli articoli 35, 36, 37 e 38 della Costituzione con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/11/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 17 Novembre 1994.