SENTENZA N. 363
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE Presidente
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 195, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 23 dicembre 1993 dal Tribunale di Firenze sul ricorso proposto dalla s.r.l. Electa, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 1994 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. Nel procedimento promosso dalla società fiduciaria ELECTA s.r.l. di Firenze per l'accertamento del proprio stato di insolvenza il Tribunale di Firenze (con ordinanza del 23 dicembre 1993) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n.267 in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 24 Cost. nella parte in cui - prevedendo che solo i creditori dell'impresa siano soggetti legittimati a ricorrere all'autorità giudiziaria, al fine di ottenere l'accertamento giudiziario dello stato di insolvenza per l'instaurazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa - esclude che legittimato ad adire il giudice ordinario possa essere anche lo stesso imprenditore, la cui impresa sia soggetta a tale procedura concorsuale.
In particolare il tribunale denuncia la violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento tra imprenditori secondo che siano assoggettabili a fallimento ovvero a liquidazione coatta amministrativa. Ed infatti, secondo la disciplina positiva l'unico interesse meritevole di tutela giurisdizionale, in caso di insolvenza, è quello dei creditori che, con l'accertamento di cui all'art. 195 cit., rendono esperibili le azioni volte alla ricostruzione del patrimonio del debitore; mentre rimane ingiustificatamente privo di tutela il corrispondente interesse del debitore all'attivazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa; interesse che, qualora la liquidazione si renda necessaria per la grave crisi economica in cui versa l'azienda, si configura equivalente a quello riconosciuto all'imprenditore in sede di fallimento e la cui tutela si impone allorquando l'autorità amministrativa competente non intervenga tempestivamente, lasciando che la situazione dell'azienda si aggravi.
Inoltre l'esclusione della legittimazione del debitore con riguardo alla possibilità di adire l'autorità giurisdizionale al fine di ottenere l'accertamento dello stato di insolvenza della propria azienda, si pone in contrasto con il diritto fondamentale e inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del giudizio (art. 24 Cost.).
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od infondata.
Osserva l'Avvocatura che la speciale procedura apprestata dagli artt. 194 e segg. l. fall. trova giustificazione nelle finalità pubblicistiche connesse all'attività delle imprese ad essa soggette, le quali sebbene si avvalgano prevalentemente di strutture ed attività ricadenti nella sfera del diritto privato, involgono tuttavia molteplici interessi, o perchè attengono a particolari settori dell'economia nazionale, in relazione ai quali lo Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o perchè si trovano in rapporto di complementarità, dal punto di vista teleologico ed organizzativo, con la pubblica amministrazione; conseguentemente il parametro dell'art. 3 Cost è stato malamente invocato essendo diverse le situazioni poste a confronto.
Nè - secondo l'Avvocatura - sussiste violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.); ed infatti le finalità pubblicistiche che danno ragione dell'assoggettamento di una impresa alla liquidazione coatta in luogo del fallimento, giustificano altresì la disciplina posta dall'art. 195 l. fall. in ordine alla legittimazione dei soli creditori all'istanza per la dichiarazione dello stato d'insolvenza avendo il legislatore inteso riservare alla Amministrazione ogni valutazione circa l'apertura della procedura, con la sola eccezione dei creditori in funzione della par condicio.
Considerato in diritto
1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 24 Cost. - dell'art. 195, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare) nella parte in cui esclude che legittimato ad adire il giudice ordinario per l'accertamento dello stato di insolvenza al fine dell'instaurazione della procedura di liquidazione coatta amministrativa, possa essere lo stesso imprenditore, la cui impresa sia soggetta a tale particolare procedura concorsuale per sospetta violazione sia del principio di parità di trattamento rispetto alla parallela disciplina del fallimento (in quanto l'art. 6 l. fall. prevede invece che il debitore sia legittimato a chiedere la dichiarazione del proprio falli mento), sia del diritto alla tutela giurisdizionale, che nella fattispecie viene negata al debitore (assoggettabile a liquidazione coatta amministrativa, ma non a fallimento) in relazione al suo interesse ad ottenere la dichiarazione del proprio stato di insolvenza.
2. La questione non è fondata.
L'art. 195 cit. (norma questa che il giudice rimettente ritiene, con motivazione non implausibile, applicabile anche alle società fiduciarie di cui al d.l. 5 giugno 1986 n. 233, conv. in legge 1 agosto 1986 n. 430) facoltizza i creditori di un'impresa assoggettabile (ma non ancora assoggettata) a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento a domandare l'accertamento giudiziale del suo stato di insolvenza, che - ove pronunciato - deve essere comunicato all'autorità amministrativa competente per la vigilanza perchè disponga la liquidazione. Si ha quindi che al potere di quest'ultima di attivare d'ufficio la procedura si affianca, limitatamente all'ipotesi dell'insolvenza, la possibile iniziativa dei creditori, quale espressione della pretesa alla esecuzione concorsuale, non essendo altrimenti possibile il ricorso per la dichiarazione di fallimento atteso che, secondo il canone generale fissato dal secondo comma dell'art. 2 l. fall., le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non sono assoggettabili a fallimento, salvo che la legge disponga diversamente. Che la legittimazione riconosciuta ai creditori sia espressione della più generale pretesa ad agire in executivis è altresì significato dal parallelo riconoscimento della legittimazione dei creditori a proporre reclamo avverso l'eventuale decreto del tribunale che respinga il ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza (sesto comma dell'art. 195 che richiama il precedente art. 22). Il legislatore nella sua discrezionalità ha così ritenuto che l'apprezzamento, da parte dell'autorità vigilante, dell'interesse pubblico all'attivazione, o meno, della procedura di liquidazione non potesse essere così assorbente da prevalere anche sulla pretesa creditoria alla procedura esecutiva concorsuale anzichè individuale.
Da ciò la deroga all'esclusività dell'impulso pubblico; deroga peraltro da una parte limitata non solo soggettivamente (ai soli creditori), ma anche oggettivamente (per il solo accertamento dello stato di insolvenza e non anche di altri eventuali presupposti che parimenti, secondo specifiche normative di settore, consentono la procedura di liquidazione), dall'altra parte bilanciata dall'(atipico ed eccezionale) obbligo del tribunale di sentire, prima di provvedere, l'autorità amministrativa che ha la vigilanza sull'impresa.
3. Parallelamente lo stato di insolvenza rappresenta il presupposto della dichiarazione di fallimento; il quadro dei soggetti legittimati a tale accertamento è però diverso perchè ai creditori si aggiungono il pubblico ministero e lo stesso imprenditore debitore ed è altresì prevista la dichiarazione d'ufficio (art. 6 l. fall.). Ma non di meno la posizione dei creditori rimane connotata da una sua specificità perchè essi soli sono altresì legittimati (ex art. 22 cit.) a proporre reclamo avverso il decreto del tribunale che respinge il ricorso per la dichiarazione dello stato di fallimento, mentre il debitore (fallito) può proporre reclamo soltanto avverso la pronuncia del tribunale che respinga l'istanza per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile (sent. n.129 del 1975).
Però, a prescindere da questa fattispecie particolare (che peraltro presuppone che sia già stato dichiarato il fallimento del debitore istante), può in generale rilevarsi che la legittimazione del debitore - proprio in quanto non integrata dalla legittimazione al reclamo avverso il provvedimento negativo - si atteggia quale potere di impulso, sostanzialmente non dissimile da una mera facoltà sollecitatoria del potere d'ufficio dello stesso tribunale adito, e risponde ad un obbligo di diligenza del debitore stesso che deve evitare di aggravare il proprio dissesto (art.217, comma 1, n.4, l. fall.).
4. Questo potere di impulso non è invece previsto nella liquidazione coatta amministrativa; ma di ciò rende sufficiente ragione la peculiarità di tale procedura concorsuale rispetto al fallimento; peculiarità che questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, evidenziando le sue tipiche finalità pubblicistiche, <<finalità che giustificano gli interventi della pubblica amministrazione>> (sent. n.87 del 1969). Tale procedura infatti riguarda imprese che. pur operando nell'ambito del diritto privato, <<involgono tuttavia molteplici interessi o perchè attengono a particolari settori dell'economia nazionale, in relazione ai quali lo Stato assume il compito della difesa del pubblico affidamento, o perchè si trovano in rapporto di complementarità, dal punto di vista teleologico e organizzativo, con la pubblica amministrazione>> (sent. n. 87 del 1969 cit.). Più in generale la diversità della disciplina dettata per la liquidazione coatta amministrativa rispetto a quella del fallimento ha superato il vaglio di costituzionalità proprio per le ritenute <<finalità pubblicistiche connesse alla attività delle diverse categorie di imprese ad essa soggette>> (sent. n.159 del 1975).
D'altra parte il fatto che il legislatore abbia inteso concentrare nella pubblica amministrazione vigilante il potere di attivare la procedura di liquidazione, con la sola eccezione della già vista legittimazione dei creditori, non esclude che il debitore, al fine di non aggravare il proprio stato di dissesto, possa segnalare all'autorità amministrativa il suo stato di insolvenza obbligando così quest'ultima a prenderlo in considerazione ed a valutarlo; sicchè la censurata diversità di disciplina rispetto al fallimento appare in concreto assai contenuta (per quanto sopra detto in ordine ai limiti di legittimazione del reclamo ex art. 22 cit.), oltre che pienamente coerente con le distinte connotazioni strutturali delle due procedure concorsuali in comparazione.
Non sussiste quindi la denunciata violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) per disomogeneità del tertium comparationis allegato dal giudice rimettente, la quale giustifica la diversità di disciplina.
5. Neppure è violato il diritto alla tutela giurisdizionale perchè rientra nella discrezionalità del legislatore configurare come interesse di mero fatto ovvero interesse legittimo ovvero diritto d'azione l'interesse dello stesso debitore ad essere assoggettato alla procedura di liquidazione coatta amministrativa piuttosto che alle procedure esecutive individuali atteso che in ogni caso, seppur con modalità diverse (che non vengono in rilievo in questa sede), è assicurata la difesa in ordine alla pretesa creditoria o al titolo esecutivo azionati nei suoi confronti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 1, r.d. 16 marzo 1942 n.267 (legge fallimentare) sollevata, in riferimento agli artt.3, comma 1, e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.
Gabriele PESCATORE, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 27 Luglio 1994.