ORDINANZA N. 334
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del- l'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, in relazione all'art. 301 del testo unico della legge doganale, come sostituito dall'art.11, diciannovesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1993 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Kasan Sad, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Kasan Sad, imputato del delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di fronte all'accordo delle parti nel senso dell'applicazione della pena nella misura di mesi sei di reclusione e lire 2.400.000 di multa, concessa l'attenuante prevista dal quinto comma dello stesso art. 73, le attenuanti generiche e la diminuente di cui all'art. 444 del codice di procedura penale, premesso che ricorrono le condizioni per l'applicazione della pena su richiesta, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che la sentenza con la quale viene applicata la pena su richiesta comporta l'operatività della confisca nei soli casi previsti dall'art. 240, secondo comma, del codice penale, nonchè dello stesso art. 240, secondo comma, del codice penale, in relazione all'art.301 del testo unico della legge doganale - "come sostituito" dall'art. 11, diciannovesimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 - "nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà della confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato";
che, più in particolare, il giudice a quo lamenta che, nel caso di specie, adottando la sentenza di applicazione della pena su richiesta "non può disporre la confisca della somma di denaro in sequestro - profitto dell'attività di spaccio, quantomeno per quanto concerne l'importo di lire 40.000 che lo stesso imputato ha ricevuto dalla cessione di droga - ricorrendo l'ipotesi di confisca facoltativa prevista dal comma 1° dell'art. 240 C.P.";
che, sempre stando al rimettente, un simile regime, consentendo all'imputato di assicurarsi il profitto del reato, risulterebbe in contrasto: con l'art. 41, secondo comma, della Costituzione, perchè verrebbe a tutelarsi "un'iniziativa economica palesemente dannosa per la sicurezza e contrastante con l'utilità sociale"; con l'art.27, terzo comma, della Costituzione, vanificandosi il fine rieducativo della pena, in quanto "contraddetto e reso più difficile proprio dalla mancata adozione della misura di sicurezza"; con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del contrasto con il principio di ragionevolezza e in relazione al diverso trattamento riservato dal legislatore alle cose che costituiscono il profitto del reato di contrabbando relativamente alle quali l'art. 301 del testo unico della legge doganale ha espressamente previsto la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato anche nel caso di sentenza di "patteggiamento"; infine, con l'art. 76 della Costituzione, perchè l'art.2, n. 45, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.81, non prevede espressamente l'inapplicabilità delle misure di sicurezza facoltative, una mancata previsione ostativa della possibilità per il legislatore delegato di non applicare le misure di sicurezza anche quando il giudice ritenga la pericolosità sociale dell'imputato;
che nel giudizio non si è costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri;
considerato che effettivamente a sèguito della sentenza che applica la pena su richiesta non è consentito il sequestro della somma costituente il provento della cessione di sostanze stupefacenti, da considerare - secondo la pressochè unanime giurisprudenza di legittimità e la dottrina - non prezzo ma profitto del reato;
che non si ravvisa alcun contrasto con l'art.2, n. 45 della legge-delega e, quindi con l'art.76 della Costituzione, nessun ostacolo all'applicabilità della misura di sicurezza patrimoniale derivando dalla detta direttiva, che, anzi, nel prescrivere di disciplinare "gli altri effetti della pronuncia", ha lasciato al legislatore delegato un ampio margine di discrezionalità al fine di incentivare il ricorso a questo rito di deflazione dei dibattimenti;
e che, pertanto, con riferimento al detto parametro costituzionale, la questione va dichiarata manifestamente infondata;
che, per il resto, il giudice a quo richiede a questa Corte una statuizione solo apparentemente di tipo demolitorio, ma in realtà diretta ad introdurre, in relazione al regime dell'applicazione della pena su richiesta, una misura di sicurezza, operazione inibita a questa Corte, spettando interventi additivi di tal genere al solo legislatore, che, nella sfera della sua discrezionalità, può operare scelte anche derogatorie rispetto a quelle previste in via generale in relazione alla sentenza di "patteggiamento", come è, appunto, avvenuto attraverso la "novellazione" dell'art.301 del testo unico della legge doganale, peraltro, erroneamente richiamato dal giudice a quo, quale tertium comparationis;
che la questione deve, dunque, essere dichiarata manifestamente inammissibile in relazione agli artt. 3, 27, secondo comma, e 41, secondo comma, della Costituzione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
b) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 445, primo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 41, secondo comma, 27, secondo comma, e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 22/07/94.