Ordinanza n. 105 del 1994

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ORDINANZA N. 105

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, così come interpretato dall'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n.438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n.384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), promosso con ordinanza emessa l'11 febbraio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale del Trentino-Alto Adige sul ricorso proposto da Chiaro Pietro ed altri contro il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 670 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.46, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto che nel corso del giudizio instaurato da alcuni magistrati ordinari per l'accertamento di diritti patrimoniali ad essi spettanti, al fine di ottenere un livello stipendiale allineato a quello del collega Antonio Francesco Esposito, di minore anzianità dei ricorrenti, che gode fin dal 1990 di un trattamento economico più favorevole, ai sensi dell'art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonchè dell'art. 12 del successivo d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, avendo egli in precedenza prestato servizio alle dipendenze del Senato della Repubblica, in qualità di referendario parlamentare, il Tribunale amministrativo regionale del Trentino-Alto Adige, con ordinanza dell'11 febbraio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, così come interpretato dall'art. 7, settimo comma, della legge 14 novembre 1992, n. 438, di conversione del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384;

che il giudice a quo nell'ordinanza osserva che in base all'art. 2, quarto comma, del decreto legge 11 luglio 1992, n.333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica" è stata prevista l'abrogazione immediata di talune norme, ed in particolare del "secondo periodo del terzo comma, dell'art. 4 del decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681", che fissava per la prima volta - con specifico riferimento al personale militare - il principio dell'allineamento stipendiale, poi esteso ad altre categorie di dipendenti pubblici, e che con l'art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, recante "Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali" è stata dettata una disposizione secondo cui la norma di cui sopra va interpretata "nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere più adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorchè aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992";

che secondo il collegio remittente tali nuove disposizioni, che si applicano anche al personale di magistratura, hanno carattere retroattivo e soppressivo di situazioni soggettive già maturate e comportano pertanto una ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti pubblici in analoghe situazioni, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, e che, sempre ad avviso del giudice a quo, una tale situazione di sperequazione potrebbe altresì riverberarsi negativamente sulla stessa efficienza dell'amministrazione, poichè il pubblico dipendente "non allineato" vedrebbe conservato un maggiore trattamento economico a favore di colleghi casualmente già raggiunti da provvedimenti di al lineamento, e ciò non potrebbe che influire negativamente sul rendimento dei primi, con conseguente violazione del principio di buon andamento, oltre che di imparzialità, sancito dall'art. 97 della Costituzione;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che con la sentenza n. 6 del 1994 questa Corte ha già dichiarato infondata identica questione di legittimità costituzionale sul rilievo che la soppressione con efficacia retroattiva dell'istituto dell'allineamento stipendiale è stata determinata dalla irrazionalità e dalle diseguaglianze che si sono andate determinando nelle applicazioni pratiche di tale istituto;

che, sempre con la sentenza n. 6 del 1994, la Corte ha affermato che - nella particolarità della situazione che il legislatore si è trovato a dovere affrontare per la necessità di evitare gravi sperequazioni - non può assumere rilievo il richiamo al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione che risulterebbe violato a causa della disparità tra coloro che hanno potuto già acquisire l'allineamento e coloro che non possono ottenere tale vantaggio, pur trovandosi in posizione identica ai primi, dal momento che la richiamata disparità "non potrebbe giustificare la sopravvivenza, sia pure limitata, di un istituto che si è voluto espungere radicalmente dall'ordinamento proprio in relazione alla sua intrinseca irrazionalità ed agli effetti sperequativi che andava determinando";

che il giudice a quo nella sua ordinanza di rinvio propone, senza introdurre nuove argomentazioni, la questione di costituzionalità dell'art. 2, quarto comma, del decreto- legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, così come interpretato dall'art. 7, settimo comma della legge 14 novembre 1992, n. 438, già ritenuta infondata da questa Corte;

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale all'esame di questa Corte va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, così come interpretato dall'art. 7, settimo comma, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Trentino-Alto Adige con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/03/94.