ORDINANZA N. 102
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 178, lett. b), 180 e 484, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1993 dal Pretore di Torino - Sezione distaccata di Moncalieri nel procedimento penale a carico di Caramellino Emilio ed altro, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.15, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che, nel corso del dibattimento penale a carico di Caramellini Emilio e Maggi Riccardo, il Pretore di Torino - Sezione distaccata di Moncalieri, "nell'ambito e nell'esercizio dei poteri di controllo sulla regolare costituzione delle parti", ai sensi dell'art. 484, primo comma, del codice di procedura penale, constatato che le funzioni di pubblico ministero erano state delegate dal Procuratore Generale presso la Corte di appello - a sèguito di precedente avocazione del processo - ad un ufficiale di polizia giudiziaria, dopo aver qualificato la detta de lega, alla stregua dell'art. 72 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sostituito dall'art. 22 del d.P.R. 22 settembre 1988, n.449, provvedimento affidato alla esclusiva competenza del procuratore della Repubblica presso l'ufficio giudicante (cioé, presso la pretura), ne aveva dichiarato la nullità;
che tale statuizione, impugnata per cassazione dal Procuratore Generale, veniva annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione perchè ritenuta provvedimento abnorme;
che, con ordinanza del 13 gennaio 1993, il medesimo Pretore - al quale gli atti erano stati trasmessi dalla Corte di cassazione successivamente all'annullamento - dopo aver contestato l'affermata abnormità del suo precedente provvedimento - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 76 della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 484, primo comma, 178, lettera b, e 180 del codice di procedura penale, nella parte in cui, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, vincolante nel processo a quo, "non prevedono che il giudice possa controllare la regolare costituzione della parte pubblica (P.M.) ed emettere i conseguenti eventuali provvedimenti";
che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva che, essendo il procedimento pervenuto nuovamente alla fase dell'accertamento della regolare costituzione delle parti, gli resterebbe preclusa non soltanto la pronuncia di un provvedimento identico a quello a suo tempo adottato, ma la stessa verifica della regolare costituzione del pubblico ministero, "magari sotto profili diversi da quello oggetto del provvedimento adottato", peraltro non enunciati dall'ordinanza di rimessione;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo assume che la violazione da parte delle norme denunciate del principio di eguaglianza deriverebbe dalla irragionevole disparità di trattamento riservata alla parte pubblica rispetto alla parte privata, solo nei confronti di quest'ultima potendo effettuarsi il controllo sulla regolare costituzione, mentre, relativamente all'inosservanza degli artt.101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, addebita al combinato disposto così censurato, da un lato, di sottrarre al giudice la specifica funzione giurisdizionale quanto alla regolare costituzione del pubblico ministero, dall'altro lato, di legittimare la partecipazione al dibattimento pretorile di rappresentanti della accusa pubblica sprovvisti delle qualità richieste dalla legge, ed infine, in ordine alla compromissione dell'art. 76 della Costituzione per contrasto con l'art. 2, n. 3, della legge- delega 16 febbraio 1987, n. 81, che la parità delle parti, assicurata da tale precetto, sarebbe assoggettata ad un regime di "ingiustificata alterazione", "a scapito delle parti private e delle loro difese nonchè del complessivo equilibrio del dibattimento come sede in cui si esplica appieno la dialettica processuale tra le parti";
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata, col contestare, anzi tutto, che il giudice a quo abbia introdotto un vero e proprio incidente di legittimità costituzionale, addebitandogli di non avere correttamente interpretato il decisum della Corte di cassazione la quale si sarebbe limitata a statuire che, nel caso di specie, il potere di controllo della regolare costituzione del pubblico ministero è stato erroneamente esercitato;
considerato che il rimettente ha interpretato la pronuncia della Corte di cassazione non già nel senso - reso palese dai limiti della cognitio conseguente all'impugnazione del Procuratore Generale - della illegittimità dell'ordinanza con la quale era stato disposto l'annullamento della delega, ma nel senso che la detta pronuncia precluderebbe la verificabilità, da parte del giudice del dibattimento, della regolare costituzione del pubblico ministero di udienza;
e che appare significativo come tale interpretazione lo abbia determinato a censurare non l'art. 72 dell'Ordinamento giudiziario (come, a sua volta, interpretato dalla Corte di cassazione), ma le disposizioni del codice di procedura penale concernenti, per un verso, la disciplina del controllo sulla costituzione delle parti e, per un altro verso, il regime di invalidità derivante dalla violazione delle norme regolanti la detta costituzione, così deviando rispetto alla effettiva questione da introdurre nel processo a quo;
e che tutto ciò si è verificato, oltre che per l'errata interpretazione della misura dell'effetto demolitorio della pronuncia della Corte di cassazione, anche per il fatto che una questione incentrata sull'art.72 dell'Ordinamento giudiziario avrebbe potuto condurre non a sollevare un incidente di costituzionalità ma soltanto a proporre un problema di ordine interpretativo, peraltro già definito con efficacia di giudicato dalla sentenza della Corte di cassazione;
che, di conseguenza, risultando le norme denunciate coinvolte del tutto impropriamente nel giudizio di legittimità, la questione ora sollevata deve essere dichiarata inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 484, primo comma, 178, lettera b, e 180 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76, 101, secondo comma, 102, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Torino - Sezione distaccata di Moncalieri, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24/03/94.