SENTENZA N. 87
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 385, quarto comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1991 dal Pretore di Brescia, sezione distaccata di Chiari nel procedimento penale a carico di Bruno Luciano, iscritta al n. 342 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del _Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
l. Con ordinanza emessa il 30 aprile 1991 (pervenuta a questa Corte l'8/6/1993), il Pretore di Brescia, sezione distaccata di Chiari, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 385, quarto comma, del codice penale "nella parte in cui non consente che l'attenuante da esso prevista possa applicarsi al reato previsto dal terzo comma dello stesso articolo".
Il remittente premette che l'imputato - citato a giudizio per rispondere del delitto di cui all'art. 385, terzo comma, del codice penale perchè si era allontanato dalla propria abitazione ove era stato posto agli arresti domiciliari - ha chiesto, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, l'applicazione della pena di giorni 54 di reclusione, pena determinata applicando, fra l'altro, l'attenuante di cui al quarto comma del medesimo art. 385 del codice penale (secondo cui "quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita"), in quanto l'imputato era successivamente rientrato nella sua abitazione. Senonchè il pubblico ministero non ha prestato il consenso, ritenendo non applicabile alla fattispecie la detta circostanza attenuante.
Ciò posto, il giudice a quo, rilevato che la norma impugnata, per il modo in cui è formulata, effettivamente non è applicabile alla fattispecie, osserva che le due ipotesi delittuose previste dal primo e dal terzo comma dell'art. 385 del codice penale tutelano lo stesso bene giuridico e che, pertanto, il fatto che il ravvedimento attuoso dell'evaso venga valutato favorevolmente soltanto nell'ipotesi di cui al primo comma determina una evidente disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
2. É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza della questione.
Osserva l'Avvocatura dello Stato che le due situazioni - evasione dal carcere ed evasione dagli arresti domiciliari -, pur violando lo stesso bene giuridico, non sono eguali, nè omogenee, non foss'altro per le diverse difficoltà che comporta la prima rispetto alla seconda.
Pertanto, conclude l'Avvocatura, non è illogico, e comunque rientra nella discrezionalità del legislatore, prevedere una pena diversa, attraverso l'applicazione di un'attenuante, per fatti di egual natura, ma diversi sotto il profilo della condotta oggettiva.
Considerato in diritto
l. Il Pretore di Brescia, sezione distaccata di Chiari, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 385, quarto comma, del codice penale, "nella parte in cui non consente che l'attenuante da esso prevista possa applicarsi al reato previsto dal terzo comma dello stesso articolo".
Il menzionato articolo del codice penale, dopo aver configurato, nei primi due commi, il delitto di evasione e le relative circostanze aggravanti, estende, al terzo comma, l'applicabilità delle precedenti disposizioni - per quanto qui interessa - "anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani"; prevede, infine, al quarto ed ultimo comma, che la pena è diminuita "quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna".
Il giudice remittente, ritenendo che detta speciale attenuante non sia in radice applicabile, data la formulazione della norma, alla fattispecie criminosa dell'allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, ravvisa in tale preclusione un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'ipotesi, identica quanto agli effetti, del rav vedimento attuoso dell'evaso.
2. La questione dell'applicabilità o meno della diminuente di cui alla norma impugnata anche all'ipotesi dell'allontanamento dal locus custodiae è stata oggetto di divergenti pronunce della Corte di cassazione. A dirimere il contrasto è, tuttavia, di recente intervenuta la medesima Corte a sezioni unite (sentenza n. 11343 del 10 dicembre 1993), la quale ha definitivamente adottato la soluzione af fermativa, osservando, fra l'altro, che l'opposta interpretazione darebbe luogo a disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe e non si sottrarrebbe, quindi, a sospetti di incostituzionalità.
L'interpretazione della norma impugnata fornita dal giudice cui spetta la nomofilachia determi na, pertanto, il venir meno del presupposto da cui muove il remittente, con la conseguenza che la questione sollevata deve dichiararsi non fondata.
Spetta ovviamente al medesimo giudice a quo verificare, in ordine alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, se nel comportamento tenuto dall'imputato siano ravvisabili gli estremi cui, secondo la citata decisione della Corte di cassa zione, è in concreto subordinata la concessione dell'attenuante in questione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 385, quarto comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Brescia, sezione distaccata di Chiari, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della consulta, il 07/03/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15/03/94.